Recovery Fund: è il momento degli avvoltoi

 Recovery Fund: è il momento degli avvoltoi

Marco Bersani

Se la pandemia ha insegnato qualcosa, la sospensione dei vincoli finanziari imposti da Maastricht in avanti e i conseguenti fondi messi a disposizione dal Recovery Fund dovrebbero servire ad un radicale cambio di rotta, provando a costruire, con tutti gli attori sociali, un grande piano di conversione ecologica, sociale e culturale, che metta al centro l'abbandono del modello liberista e la costruzione di una società della cura, di sé, dell'altr*, del pianeta e delle future generazioni.

D'altronde, a meno che non sia brandito come un'ulteriore minaccia a diritti e reddito, lo slogan “Niente sarà più come prima” pareva suggerire un cambio di paradigma, basato sulla consapevolezza che la pandemia non è un fenomeno esogeno, arrivato come un nemico invisibile da un altro pianeta, bensì il portato delle profonde contraddizioni sistemiche di questo modello insostenibile.

Sempre ricordando che, poiché Babbo Natale non esiste, il pasto non è gratis e senza cancellazione del debito e trasformazione della Bce in una banca centrale pubblica, ci stiamo preparando a spendere oggi per essere di nuovo chiusi in gabbia a doppio mandato domani, la predisposizione del piano per accedere alle risorse del Recovery Fund dovrebbe essere l'occasione per una riflessione collettiva che attraversi l'intero Paese e ne sciolga i nodi principali.

Servono soldi per la sanità, ma quanti e per quale concetto di salute e di sistema sanitario?

Servono risorse per la scuola, ma quanti e per quale idea di istruzione, formazione e ricerca?

Servono soldi per le infrastrutture, ma per fare le grandi opere climalteranti e che devastano i territori o per il riassetto idrogeologico e la ristrutturazione delle reti idriche del Paese?

Serve spesa pubblica, ma per le armi o per i diritti delle persone?

 

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