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Dossier Litio in America Latina a cura del Giga

 riceviamo e pubblichiamo


Il «triangolo del litio» fa gola al mondo

ESTRAZIONI. Alternativo al petrolio per i trasporti e considerato un perno della transizione ecologica, il metallo leggero è il nuovo business «verde»

Tra Argentina, Cile e Bolivia si estende un’area desertica destinata ad attrarre sempre di più l’attenzione mondiale: la chiamano «il triangolo del litio», disseminata com’è di saline dove riposano i maggiori depositi di uno dei minerali simbolo dell’immaginario decarbonizzato.

IL LITIO È STATO investito del ruolo di liberarci dalla dipendenza dal petrolio come fonte energetica, almeno nel settore dei trasporti. Le batterie al litio, leggere e durature, alimentano la mobilità del futuro: si usano per biciclette, monopattini, ma anche per macchine e autobus elettrici. È stato stimato che domineranno il mercato dell’auto elettrica fino al 2030. Il consumo di litio, secondo la Commissione Economica dell’Onu per l’America Latina, è aumentato del 16% nel 2016 e del 60% nel 2017. Un boom spinto dalla necessità di uno scenario prossimo venturo più verde che però per le zone dove viene estratto tanto verde rischia di non essere.

DEPOSITI DI LITIO IN NATURA SI TROVANO anche nelle rocce e ricavarlo, come avviene per esempio in Australia o in Cina, ha un certo costo, sia economico che ambientale. Nelle saline invece il litio viene ricavato semplicemente facendo evaporare l’acqua per mezzo della radiazione solare: niente esplosivi, niente pile di rocce sterili, niente residui tossici. Ma questo non significa che non ci possano essere delle conseguenze. Nonostante l’abbondanza di letteratura scientifica sull’importanza del litio nella transizione ecologica, gli studi sugli impatti a corto e medio raggio della sua estrazione da ecosistemi dinamici e fragili come le saline sono ancora rari. La poca informazione esistente è stata commissionata dalle compagnie estrattive stesse. Come dire, prima viene l’approccio mercantile e poi, forse, quello sostenibile e rispettoso dei diritti delle popolazioni locali.

IL 62% DELLE RISERVE MONDIALI DI LITIO sono rappresentate dalle saline e l’80% di queste riserve si trova nel triangolo. Il minerale è destinato a cambiare le relazioni fra le economie latinoamericane e il mondo globalizzato: le aspettative sono alte ma anche le preoccupazioni; queste aree per quanto desertiche non sono vuote ma abitate da tempo immemore da popolazioni andine di etnia aymaras, quechuas e atakameñas che oltre ai rischi ambientali denunciano la continuazione di un meccanismo di appropriazione estrattivista che allontana le risorse grezze di cui sono ricche le periferie del mondo per generare valore da un’altra parte.

UN MECCANISMO che l’ex presidente boliviano Evo Morales ha cercato di contrastare nazionalizzando le riserve di litio e dando inizio a dei processi di industrializzazione interna. La Bolivia possiede la più grande riserva di litio al mondo: il Salar de Unuy, una gigantesca distesa di sale di 10 mila km. Posto sulle Ande a un’altitudine di 3.600 metri, è un luogo impressionante dove lo scintillio del sale confonde cielo e terra creando un unico manto lattiginoso visibile anche dallo spazio; nel tempo è diventato una visitatissima zona turistica, con tutti i pro e contro che questo significa, ed ora a interferire con i delicatissimi equilibri socio-ecologici di una riserva naturale abitata da comunità indigene è arrivata anche l’estrazione del litio.

SI TROVA NELLO STATO DI POTOSI’, il più povero di un paese fra i più poveri al mondo che fin dall’epoca coloniale ha pagato pegno: da 500 anni la sua montagna, Cerro Rico, è la miniera d’argento più estesa del pianeta, attiva ancora oggi tra lavoro minorile ed incidenti mortali. Affrancare la Bolivia dal neocolonialismo estrattivo e lanciarla sul mercato del litio, producendo anche batterie e auto elettriche, è stata una delle missioni di Evo Morales. Iniziato formalmente nel 2008 con l’approvazione di un decreto che metteva fine alle concessioni e dichiarava proprietà di stato le evaporiti del Salar di Unuy, il processo è proseguito faticosamente e non senza contraddizioni che hanno suscitato critiche e proteste.

LE PIÙ ACCESE QUELLE DELL’OTTOBRE 2019, nel pieno della campagna presidenziale che vedeva la controversa quarta candidatura di Evo, quando i campesinos e i mineros del Potosì hanno bloccato la regione denunciando che delle risorse stavano approfittando tutti tranne loro. Il fattore scatenante è stato l’ingresso di firme straniere nella compagnia statale Ylb (Yacimientos del Litio Bolivianos), come la società tedesca Aci System, che doveva portare investimenti e tecnologie necessarie per poter produrre le batterie al litio interamente in Bolivia. L’accordo dopo estenuanti trattative, è stato ritirato. In stallo anche i dialoghi con la Cina, la maggior produttrice di auto elettriche al mondo.

IL COLPO DI STATO E LA FUGA di Evo Morales all’estero ha frenato ulteriormente questi processi, e diversi analisti geopolitici non escludono che dietro il colpo di stato ci sia proprio il litio. Più precisamente gli interessi sul minerale degli Usa. Ad avallare questa versione anche un controverso tweet di commento al golpe di Elon Musk, «noi colpiremo chiunque vogliamo», e le azioni della sua Tesla che sono raddoppiate subito dopo la rinuncia di Morales. Con il ritorno del Movimento al Socialismo alla guida del paese le risorse minerarie rimarranno ai boliviani, ma se e come ne beneficeranno è ancora tutto da vedere; inoltre sono forti le preoccupazioni per la mancanza di valutazione degli impatti ambientali e sociali dell’estrazione e degli impianti di processamento. A differenza di altri depositi, nel Salar di Unuy il litio deve essere separato da un altro minerale, il magnesio, e le popolazioni indigene che vi abitano, oltre a vedere profanato un luogo sacro, temono la riduzione della già scarsa disponibilità di acqua potabile.

QUESTE PREOCCUPAZIONI SONO LE STESSE che attraversano il Cile e Argentina, paesi che hanno dato inizio allo sfruttamento del litio in Sudamerica fin dagli anni ’80. In Cile un’intensa attività mineraria ha già provocato nel tempo la perdita di luoghi come il Salar di Punta Negra, prosciugato dopo che per anni compagnie straniere hanno pompato 1.400 litri di acqua al secondo per estrarre rame, mentre le comunità residenti avevano diritto solo a 1.5 lt/s. Il boom del litio ora fa temere per il Salar di Atacama, il deserto più arido del mondo, dove operano la Società Chimica del Cile, una compagnia inizialmente statale poi privatizzata durante la dittatura, e la compagnia americana Albermarle. Produrre una tonnellata di litio consuma di massima due milioni di litri di acqua: come denuncia il consiglio delle comunità di Atacama, non è mai stato condotto nessuno studio su quanta acqua verrebbe effettivamente prelevata e che effetto avrebbe sul deserto.

COME PER IL CILE, ANCHE IN ARGENTINA, dove operano principalmente imprese straniere, la questione è l’accesso all’acqua. Ci sono già due centri produttivi, Salinas Grandes y Laguna de Guayatayoc e numerosi processi in fase di sviluppo. Contro uno di questi in particolare si è costituito il collettivo locale Apacheta, animato da indios allevatori di lama e capre, per denunciare la violazione del loro diritto a un consenso previo e informato a un progetto che rischia di lasciarli a secco in una zona che è già molto arida.


Il litio del Cile in mani sbagliate

LA FEBBRE DELL'ORO BIANCO. Con un piede già fuori dalla Moneda, Piñera serve alle élite l’ultima mega-concessione. Una polpetta avvelenata per il neo presidente Boric e il suo governo. Che vorrebbe nazionalizzare. Insorge la società civile

Il compito di servire gli interessi delle élite Piñera ha voluto assolverlo scrupolosamente fino alla fine del suo sciagurato mandato. Al punto da lanciare a ottobre, quando mancava appena un mese al ballottaggio, una gara d’appalto per la concessione ai privati di licenze relative alla produzione, divisa in cinque quote, di 400mila tonnellate di litio.

E NON SI È FERMATO QUI. Con un piede già fuori dalla Moneda – a soli due mesi dall’insediamento di Gabriel Boric – ha disposto l’assegnazione di due quote di 80mila tonnellate ciascuna, per un periodo di 27 anni, alla società cinese Byd Chile Spa e a quella cilena Operaciones mineras del Norte Sa (di proprietà del gruppo Errázuriz), le quali hanno avuto la meglio sulle due imprese leader nella produzione mondiale di litio: la cilena Sqm (Sociedad Química y Minera de Chile) e la statunitense Albermarle, le quali possono comunque consolarsi con i colossali profitti accumulati in decenni di saccheggio del Salar de Atacama, il lago salino nella regione di Antofagasta considerato la più grande riserva di litio al mondo.

Con la sua decisione, Piñera è passato davvero sopra a tutto: al rifiuto di gran parte della società civile, alle resistenze dei parlamentari dell’opposizione, ai ricorsi in tribunale, all’obbligo di consulta preventiva dei popoli indigeni residenti nell’area, alla discussione in corso nella Convenzione costituzionale e alla richiesta di Gabriel Boric di sospendere la gara d’appalto per lasciare che fosse il nuovo governo a occuparsi della questione.

CON UNA PROPOSTA ben distinta: quella di creare un’impresa statale per l’estrazione e l’industrializzazione del litio, la cui domanda, legata al suo uso nella fabbricazione di batterie per auto elettriche, è destinata secondo le previsioni a crescere del 21% entro il 2030.
Piñera, tuttavia, non ha voluto sentire ragioni, insistendo sulla necessità che il Cile, il quale rappresenta il 32% della produzione globale del cosiddetto oro bianco (contro il 46% dell’Australia), recuperi la sua posizione di leadership: «Eravamo il primo paese nella produzione di litio e oggi non lo siamo più».

Ed è così che ha battuto tutti sul tempo. Proprio mentre i parlamentari dell’opposizione convocavano mercoledì una sessione speciale alla Camera dei deputati nel tentativo di evitare la vendita di parte della riserva di litio a enti privati, il ministro delle Miniere Juan Carlos Jobet annunciava, con due giorni d’anticipo, l’assegnazione delle due quote, corrispondenti all’1,8% delle riserve stimate nel paese, in cambio di 121 milioni di dollari. «Una mancanza di rispetto verso un potere dello Stato», ha commentato il deputato del Partido por la Democracia Raúl Soto, denunciando «una totale mancanza di trasparenza nel processo».

E DI «UNA CATTIVA DECISIONE» ha parlato Boric, annunciandone una revisione e ribadendo l’obiettivo di «creare un’impresa nazionale del litio che operi in accordo con le comunità e contribuisca allo sviluppo produttivo del paese».

Qualcosa, però, non ha funzionato all’interno dell’équipe del presidente eletto, apparsa decisamente remissiva durante le riunioni sostenute con il governo uscente: «Non abbiamo individuato alcun vizio legale. Il prossimo governo dovrà rispettare una decisione adottata nei canali istituzionali», ha dichiarato il collaboratore di Boric Diego Pardow. «Le basi della gara d’appalto, così come sono state redatte, non lasciano margine per una sospensione o un rinvio», ha detto a sua volta il coordinatore del gruppo sull’attività mineraria Willy Kracht. Non esattamente una dichiarazione di guerra.

Ma sul saccheggio del litio il nuovo governo dovrà necessariamente prendere posizione, anche considerando i gravi e irriversibili danni arrecati agli ecosistemi del deserto di Atacama, dove l’estrazione delle acque sotterranee da parte di Albemarle e Sqm (quest’ultima controllata dal genero di Pinochet Ponce Lerou) è stata calcolata in 2mila litri al secondo, con conseguenze devastanti sulle riserve d’acqua utilizzate dalle comunità. In questo quadro – mette in guardia il biologo Domingo Lara -, se non si procede all’espropriazione di «parte delle attuali quote di estrazione» e non si cambia «la relazione con le comunità», lo stesso progetto di Boric di un’impresa statale del litio rischia di limitarsi appena ad «aggiungere un nuovo attore alla depredazione ambientale».

A PRENDERE POSIZIONE, intanto, è la società civile, nel quadro del processo di partecipazione della popolazione ai lavori della Convenzione costituzionale: l’Iniziativa popolare sulla «Nazionalizzazione delle miniere di rame, litio e oro», promossa da un cartello di associazioni, ha già superato le 15mila firme necessarie per venire discussa all’interno della Convenzione e punta a superare le 100mila firme entro il primo febbraio.

ERRATA CORRIGE

Con un piede già fuori dalla Moneda, Piñera serve alle élite l’ultima mega-concessione. Una polpetta avvelenata per il neo presidente Boric e il suo governo. Che vorrebbe nazionalizzare. Insorge la società civile


Diritti degli indigeni, rame e litio nazionalizzati: i lavori della Costituente in Cile

AMERICA LATINA. Le norme elaborate dalla Convenzione sono destinate a scontrarsi con il quorum dei 2/3 in plenaria

Da quanto si sta muovendo all’interno della Convenzione costituzionale, sembrerebbe davvero che il Cile sia deciso a voltare pagina. Forti aspettative ha suscitato infatti, il 27 gennaio, l’approvazione, da parte della commissione sul Sistema politico, della norma che trasforma il Cile in uno «stato plurinazionale e interculturale», con il conseguente riconoscimento del diritto dei popoli originari all’autonomia e all’autogoverno.
Come pure, due giorni prima, aveva risvegliato grande attenzione il via libera della commissione Ambiente all’iniziativa popolare sui «diritti dei popoli e delle nazioni preesistenti alla terra, al territorio, alle risorse e ai beni naturali», in base a cui verrebbero annullate autorizzazioni e concessioni per lo sfruttamento di suoli, acque e foreste all’interno dei territori indigeni.
E stesso risalto ha assunto l’1 febbraio, sempre in commissione Ambiente, il voto a favore della nazionalizzazione di risorse strategiche come il rame e il litio, in virtù del «diritto sovrano e inalienabile dello stato a disporre liberamente delle proprie ricchezze».

NORME, QUESTE, che non sono passate inosservate agli occhi degli imprenditori. Se il presidente della Società nazionale mineraria Diego Hernández ha parlato di «un cattivo segnale» che «non contribuisce al clima di certezza giuridica di cui ha bisogno il settore», il presidente della Confederazione della produzione e del commercio Juan Sutil si è precipitato dalla presidente della Convenzione María Elisa Quinteros per ricordarle che il Cile potrà pure diventare plurinazionale, ma che risulterebbe inconcepibile annullare le concessioni alle imprese «che rendono possibile lo sviluppo» nell’Araucanía. Come se il diritto all’autodeterminazione dei mapuche possa conciliarsi con l’attuale modello di saccheggio delle terre che sono state loro usurpate.
Ma se gli imprenditori annunciano battaglia, i paletti introdotti in difesa dello status quo dall’accordo che ha reso possibile la Convenzione offrono all’oligarchia sufficienti rassicurazioni. Ad attendere infatti tali norme, approvate «in generale» dalle commissioni tematiche con una maggioranza superiore al 50%, sarà, dopo l’esame dell’articolato, la prova del voto in plenaria, dove il quorum è, come noto, quello dei due terzi e dove quindi è assai improbabile che possano ottenere il via libera, almeno nella loro stesura originaria.

SI È INTANTO CONCLUSO con un successo superiore alle aspettative il processo attraverso cui la cittadinanza ha potuto partecipare ai lavori della Convenzione, presentando le proprie proposte di articoli costituzionali. Più di 980mila le persone che hanno sostenuto qualcuna delle oltre 1.500 iniziative presentate, di cui 78 hanno ottenuto le 15mila firme (provenienti da almeno quattro regioni) necessarie per venire discusse da una delle sette commissioni tematiche, prima di finire anche loro nel prevedibile tritacarne della plenaria.
Tra queste, le norme per il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, per i diritti della natura, per un’educazione statale, pubblica e comunitaria, per il lavoro e la sicurezza sociale. Ma anche per il riconoscimento della responsabilità politica e penale di Piñera per le violazioni dei diritti umani e per la libertà dei prigionieri politici della rivolta sociale.

Passa la riforma mineraria. Il litio è bene pubblico

MESSICO. Dopo la Camera anche il Senato vota a favore: ora estrazione e commercio del minerale saranno gestiti da una nuova società statale

Dopo la Camera anche il Senato del Messico vota a favore della riforma della legge mineraria. Il litio è bene pubblico, la sua estrazione e il suo commercio saranno gestiti da una nuova società che verrà fondata a breve. Il litio viene così considerato minerale strategico per lo sviluppo nazionale. Dentro e fuori le stanze istituzionali si confrontano e scontrano tre diversi modelli di paese: quello neoliberista difeso dai partiti tradizionali e oggi d’opposizione, il modello anticapitalista che ha nell’asse Ezln – Cni la sua espressione più avanzata e infine il modello incarnato dal presidente Andres Manuel Lopez Obrador, che vorrebbe riportare il Messico a prima del 2013 e cioè a uno stato di formale sovranità energetica (sancita dalla costituzione) per sviluppare un capitalismo di stato nel nome del liberismo sociale. Lo scontro frontale è certamente legato alla politica istituzionale dell’alleanza Pri – Pan – Prd, capace di bloccare la riforma costituzionale sull’energia elettrica, che conteneva anche la nazionalizzazione del litio. Obrador vorrebbe cancellare la riforma energetica firmata durante il governo precedente, che cambiando la costituzione ha realizzato il “sogno” neoliberista che Salinas de Gortari aprì con il suo governo e con la firma del Nafta. Il governo di Enrique Pena Nieto ha poi definitivamente rotto il monopolio di stato sullo sfruttamento delle risorse energetiche, facendo entrare capitali privati nell’estrazione e nel commercio di petrolio, gas, energia elettrica e molto altro.

POCHE ORE DOPO la bocciatura della riforma costituzionale però Amlo ha incassato la “costituzionalità” della legge sull’energia elettrica varata e stoppata lo scorso anno con l’accusa di danneggiare potenzialmente la libera concorrenza a vantaggio della centralità delle compagnie pubbliche nel mercato energetico. Così è scattato il piano “B” sul litio e l’idea di modificare la legge sulle risorse minerarie per nazionalizzarlo. In attesa del verdetto della corte costituzionale, Amlo si era giocato l’idea di modificare la carta fondamentale sia per evitare di vedersi rifiutare la legge per «incostituzionalità» sia per blindarne i contenuti e obbligare un futuro governo ostile ad avere i 2/3 del parlamento a favore. La sinistra radicale osserva con attenzione: se da un lato è interessata all’idea di allontanare le imprese private dalle risorse naturali, dall’altro sono spaventati dagli esempi di Venezuela e Bolivia, dove i patti sociali tra governo e movimenti sociali – soprattutto indigeni – sono saltati proprio sulle politiche estrattiviste. Se l’impresa di stato ragionerà con le stesse logiche di quelle private il conflitto sarà solo questione di tempo. «Nelle leggi ci sono scritte tante cose, di cui alcune supporrebbero la proprietà collettiva di beni come, per esempio, l’acqua», ha detto Juan Bobadilla, portavoce del Cni. «Ma se guardiamo con attenzione l’acqua è di fatto egemonizzata dalle grandi imprese. In Messico, poi, non si rispettano le leggi. È probabile che qualche politico troverà il modo per espropriare il litio. Lo abbiamo già visto fare con altre risorse, e può succedere ancora. Ma per il momento non sappiamo quale sarebbe la risposta di questo governo».



Il Messico (e l’America latina) cercano di arginare l’assalto delle multinazionali minerarie

ESTRAZIONI. Il presidente Lopez Labrador ha nazionalizzato le preziose miniere, anche Cile, Bolivia e Argentina non vogliono cedere alle potenze straniere

La recente decisione del Parlamento messicano di nazionalizzare le miniere di litio ha rilanciato il dibattito sulla sovranità nazionale e sulla necessità di attuare un sistema di controllo nella gestione delle risorse nei paesi dell’America latina. Nel testo approvato dal Parlamento si legge che «l’esplorazione e lo sfruttamento del litio sono attività di pubblica utilità e lo Stato deve avere l’uso esclusivo».

IL PRESIDENTE MESSICANO LOPEZ LABRADOR ha parlato della «necessità di riconoscere il litio come patrimonio nazionale e riservare la sua estrazione a beneficio del popolo del Messico». Viene messo in discussione anche l’accordo stipulato con la compagnia cinese Ganfeng Lithium che prevedeva l’estrazione di litio nello Stato di Sonora. Le riserve nazionalizzate si trovano negli Stati di Puebla, Jalisco e Sonora e sarebbero superiori a 2 milioni di tonnellate. Secondo il Centro geologico degli Stati Uniti, il Messico si collocherebbe tra i primi dieci paesi per la disponibilità di litio.

SI PREVEDE DI AFFIDARE LE MINIERE DI LITIO a una impresa pubblica per impedire che finiscano nelle mani delle multinazionali. Si è ancora nella fase di esplorazione, mentre per l’estrazione bisognerà attendere ancora 4-5 anni, dopo aver creato le strutture e gli impianti necessari a portare il minerale in superficie e lavorarlo. La nazionalizzazione non toccherà gli altri minerali come oro, argento e rame. E’ il litio, per il ruolo strategico che ha assunto a livello mondiale, che viene posto sotto tutela statale.

I NUOVI GOVERNI CHE SI SONO RECENTEMENTE insediati nei paesi latino-americani sembrano orientati a promuovere iniziative concertate per gestire le grandi risorse di litio di cui dispongono e arginare l’assalto delle multinazionali. Una settimana prima della decisione del Parlamento messicano era stato organizzato, su iniziativa del Ministero dell’energia della Bolivia e della Commissione economica per l’America latina, il primo Forum internazionale sul litio a cui avevano partecipato i rappresentanti dei paesi del «triangolo del litio» (Cile, Bolivia, Argentina) e del Messico. Si erano analizzate le prospettive del litio in America latina e cercato di individuare percorsi comuni per fronteggiare i complessi problemi legati al suo sfruttamento.

SI CONFRONTANO DUE VISIONI DIFFICILMENTE conciliabili: da una parte chi punta allo sfruttamento minerario attraverso privatizzazioni e concessioni, dall’altra chi vuole assegnare allo Stato un ruolo centrale nelle gestione delle risorse naturali, rispettando popolazioni e territori. L’ingresso del Messico tra i paesi con riserve sposta ancora di più il baricentro del litio verso i paesi latino-americani.

SECONDO L’US GEOLOGICAL SURVEY più del 60% delle riserve mondiali di litio sarebbero concentrati nei salares (saline) di Cile, Bolivia e Argentina. Nell’area che si trova al confine dei tre Stati si sono create condizioni geologiche favorevoli alla formazione di laghi salati ricchi di litio. In particolare, in Bolivia le riserve ammonterebbero a 21 milioni di tonnellate, mentre in Argentina e Cile sarebbero, rispettivamente, di 19 milioni e 9,8 milioni. L’assalto al litio di questi paesi è iniziato da tempo e ha fortemente condizionato l’economia e la politica.

IN BOLIVIA IL GOLPE DEL 2019 CONTRO il presidente Evo Morales fu strettamente collegato al controllo delle riserve di litio del Salar de Uyuni, una regione andina del sud ovest del paese dove si trova il più grande giacimento di litio del pianeta. Anche in Cile intorno al litio si è consumato un forte scontro tra il nuovo presidente Gabriel Boric, insediatosi nel marzo di quest’anno, e il suo predecessore che, alla scadenza del mandato, aveva concesso ad una impresa privata l’autorizzazione a estrarre 160 mila tonnellate del metallo. In Cile le riserve di litio sono concentrate nell’area del Salar de Atacama e il presidente Boric ha inserito nel suo programma la proposta di creare una impresa pubblica per gestire le grandi riserve e favorire lo sviluppo produttivo del paese.

IL CILE FINO AL 2017 E’ STATO IL PRIMO PAESE produttore di litio, superato negli ultimi anni dall’Australia. Ma questa elevata capacità produttiva è stata pagata a caro prezzo dalle popolazioni cilene che vivono nelle aree di estrazione. Le comunità indigene di Atacama lottano da decenni contro le società chimiche e minerarie che operano nella zona (la Sqm Salar, a capitale cileno, e la Albemarle, formata da investitori internazionali). L’estrazione del litio per evaporazione è una delle forme più impattanti e invasive del territorio perché prosciuga tutte le risorse idriche delle aree confinanti, impedendo la vita delle popolazioni.

LA STESSA SITUAZIONE SI VERIFICA IN ARGENTINA nella Provincia di Catamarca, nel nord ovest del paese, dove il litio la fa da padrone con gravi danni agli ecosistemi. La logica estrattivista non si è mai posta in questi anni in America latina il problema della sostenibilità ambientale e sociale. I nuovi governi che si sono insediati puntano molto sul litio per risollevare le loro economie, ma hanno preso l’impegno di procedere di concerto con le popolazioni locali e nel rispetto dell’ambiente. Si tratta di vedere in che misura si potranno realizzare questi impegni e quali interessi prevarranno nella gestione di quello che è diventato il minerale più ambito.


La corsa al litio fa salire la febbre al mondo intero

METALLI RARI. Il 60% delle riserve mondiali (90 milioni di tonnellate) è in Bolivia, Cile e Argentina. Oggi se ne producono 100 mila tonnellate. Fra 20 anni, saranno 40 volte di più

La corsa al litio è in pieno svolgimento. A questo metallo bianco-argento, reattivo e infiammabile, è stato assegnato un ruolo strategico nella transizione energetica. Se è stato il petrolio a segnare la storia del ventesimo secolo, nei decenni a venire sarà il litio al centro degli interessi e la contesa per controllarne le riserve sarà sempre più aspra.

SCOPERTO ALL’INIZIO DEL 1800, il litio fino a 30 anni fa veniva prevalentemente impiegato nella preparazione di lubrificanti, nell’industria del vetro e della ceramica, per formare leghe metalliche con alluminio, manganese, cadmio. La forte crescita della domanda di questi anni e l’estrazione su larga scala sono legati alla produzione di batterie ricaricabili per veicoli elettrici, computer, telefoni cellulari. Ma anche le turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici hanno bisogno di batterie al litio per accumulare energia e distribuirla quando non c’è il vento o il sole.

LE BATTERIE AGLI IONI DI LITIO si caratterizzano per avere il triplo di energia immagazzinata e il doppio di potenza rispetto a quelle tradizionali al nichel. Dalle Ande all’Australia la ricerca del litio è sempre più estesa e ha assunto un carattere di urgenza. Si cerca di stimare le riserve presenti nelle diverse aree del pianeta e quantificare il fabbisogno per le voraci industrie che producono batterie. L’industria globale del litio è in forte espansione e coinvolge sia i paesi che detengono il prezioso metallo che quelli che se lo accaparrano dopo che è stato immesso sul mercato dalle società minerarie.

SECONDO L’ULTIMO rapporto dell’Us Geological Survey, le riserve mondiali di litio ammonterebbero a 90 milioni di tonnellate e circa e il 60% del totale si troverebbe nel «triangolo del litio» costituito da Bolivia, Cile, Argentina. Ma sono stime che vanno verificate e va valutata nelle diverse realtà la convenienza economica ad estrarre il metallo. Quello che emerge dai dati è l’aumento della produzione globale tra il 2016 e il 2021: nell’arco di 5 anni è quasi triplicata, passando da 35 mila tonnellate alle 100 mila attuali. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia nei prossimi 20 anni la domanda di litio aumenterà di almeno 40 volte rispetto a quella attuale.

PER OTTENERE IL LITIO SI PUO’ PARTIRE dalla roccia o dall’acqua salata che lo contiene. Nei deserti di sale delle regioni andine si trova disciolto in concentrazioni relativamente elevate (fino all’1%) nei depositi sotterranei di acqua salata insieme a sodio, potassio, magnesio. L’acqua deve essere pompata in superficie e lasciata evaporare nei salares (saline) per alcuni mesi per aumentare la concentrazione del cloruro di litio. Il trattamento successivo avviene in appositi impianti dove il litio viene separato dagli altri metalli, combinato con carbonato di sodio (soda) per ottenere il carbonato di litio. E’ questo il prodotto finale che, essiccato e ridotto in polvere, viene commercializzato e utilizzato dalle industrie che costruiscono batterie. I salares dei paesi latino-americani hanno cambiato la geografia del litio.

QUESTA FORMA DI ESTRAZIONE ha costi di produzione inferiori rispetto alla tecnica impiegata partendo dalla roccia, ma l’impatto ambientale e sociale è devastante. Nelle aree confinanti con le zone di estrazione si verificano gravi fenomeni di siccità. La risalita di acqua salata dal sottosuolo per formare le saline fa affluire acqua dolce dalle zone circostanti, determinando uno squilibrio idrico che porta al prosciugamento di fiumi, laghi e falde acquifere nei territori in cui vivono molte comunità andine. Inoltre, le grandi quantità di soda e di altre sostanze chimiche che vengono impiegate hanno prodotto un avvelenamento irreversibile dei suoli.

IN AUSTRALIA E IN ALTRI PAESI IL LITIO si ottiene partendo dal principale minerale che lo contiene, lo Spodumene. Il minerale subisce una serie di trasformazioni chimiche che portano alla formazione di carbonato di litio. Si tratta di un processo che richiede il raggiungimento di temperature molto elevate e l’energia necessaria viene fornita dai combustibili fossili. Le imprese australiane sono quelle che hanno sviluppato le tecnologie più avanzate per lavorare i minerali ricchi di litio, ottenendo in alcuni anni una produzione superiore a quella degli altri paesi.

LA CINA E’ IL PRINCIPALE BENEFICIARIO del litio australiano. Il paese asiatico, pur essendo uno dei principali produttori di litio è anche il primo importatore mondiale. Anche in Canada, Russia e Usa sono presenti siti minerari per ricavare il metallo, ma bisogna sempre operare a grandi profondità perché sono rare le rocce che contengono litio a cielo aperto. Questo spiega l’assalto delle società minerarie al più accessibile litio in salamoia di Cile e Bolivia rispetto al quello di miniera. Sono quattro le società che controllano gran parte del mercato del litio: Sociedad Quimica y Minera (Cile), Talison (Australia), Chemetall (Germania), Fmc (Stati Uniti). I principali clienti sono i produttori asiatici di batterie agli ioni di litio. La Cina detiene il 60% della produzione mondiale di batterie, seguita da Giappone e Corea del Sud. I tre paesi asiatici detengono quasi il 90% della quota di mercato. Secondo il rapporto della Sne Research, la società cinese Catl controlla da sola il 32% delle vendite, seguita dalla coreana Lg Energy Solutions e dalla giapponese Panasonic.

ANCHE IN EUROPA SIAMO IN PIENA FEBBRE del litio. La produzione europea non supera il 2%, concentrata soprattutto nelle miniere di Spodumene del Portogallo, ma sono una decina i progetti che si propongono di estrarre litio dal sottosuolo europeo e le imprese australiane con la loro tecnologia sono in prima fila. Il Portogallo è al centro degli interessi, ma anche in Finlandia, nella regione dell’Ostrobotnia, e in Spagna, nella regione dell’Estremadura, si è pronti a scavare per portare in superficie il minerale. Per le sue caratteristiche geologiche viene esplorato con particolare interesse il territorio al confine tra Germania, Austria e Repubblica Ceca. L’Unione Europea ha destinato dei fondi (Programma Horizon 2020) a progetti sperimentali per ricavare il litio dalle acque geotermiche, in particolare nell’alta valle del Reno.

SI STANNO ANCHE STUDIANDO TECNICHE in grado di estrarre il litio dall’acqua marina, ma non sembra una strada percorribile perché la quantità presente è troppo bassa. La spasmodica ricerca di litio in ogni ambiente del pianeta è destinata a durare nel tempo. Si tratta, però, di una risorsa limitata e non rinnovabile e solo una parte delle riserve di litio che sono state individuate potrà essere portata in superficie. L’estrazione del litio avviene soprattutto in funzione degli autoveicoli elettrici che assorbiranno più del 70% della produzione totale. Ma sono molti gli interrogativi che accompagnano la corsa all’auto elettrica, vista come la soluzione di tutti i problemi. Non sono pochi gli studiosi che ritengono che si stia spingendo troppo sui veicoli elettrici, senza considerare gli elevati costi ambientali e sociali che l’estrazione del litio comporta: il grande impiego nel corso del processo produttivo di combustili fossili, l’elevato consumo di acqua (per ottenere un chilo di litio sono necessari 2 mila litri di acqua), i fenomeni di grave inquinamento dovute all’impiego di sostanze tossiche, le elevate quantità di gas serra che vengono liberate. Sono tutti fattori che ridimensionano, in gran parte, i vantaggi che derivano dall’utilizzo delle auto elettriche.

Umore e depressione sotto il controllo del litio





Tutto (o quasi) quello che si trova in natura è stato sperimentato e spesso utilizzato dall’umanità per il ristabilimento della salute compromessa. È il caso anche del litio che, pur […]

Tutto (o quasi) quello che si trova in natura è stato sperimentato e spesso utilizzato dall’umanità per il ristabilimento della salute compromessa. È il caso anche del litio che, pur avendo un grado di tossicità non trascurabile, ha nello stesso tempo proprietà terapeutiche di tutto rispetto. D’altra parte, tutte le sostanze naturali presentano queste caratteristiche: è infatti possibile produrre una intossicazione (naturalmente con dosaggi adeguati) anche con le altrimenti benefiche salvia, rosmarino o menta oppure con la semplice e indispensabile acqua (assunzioni acute di acqua oltre i 5 litri in poche ore possono produrre gravi squilibri elettrolitici con nausea, vomito, allucinazioni e stato confusionale). Niente di nuovo.

Già qualche secolo fa quel genio di Paracelso (1493-1541) ci ammoniva: «Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit» (tutto è veleno, ma solo la dose gli impedisce di nuocere).

Attualmente l’impiego in terapia dei sali di litio (il carbonato e in misura minore il citrato) avviene prevalentemente nell’ambito di alcune patologie psichiatriche come la depressione o il disturbo bipolare (oscillazioni del tono dell’umore che alterna fasi di eccitazione e euforia ad altre di depressione; il 30 marzo è la Giornata Mondiale del Disturbo Bipolare).

Il litio rende stabile l’umore, consentendo ad esempio non solo di migliorare la qualità della vita, ma anche di ridurre in modo significativo il rischio di suicidio. Naturalmente, occorre tener conto di alcune precauzioni: reni, tiroide e cuore devono funzionare bene mentre la dieta deve essere appropriata per prevenire l’aumento di peso talvolta associato a questa terapia.

Infine, visto che la dose terapeutica del litio è assai vicina a quella tossica (ricordate Paracelso?), è importante controllare con regolarità la litiemia, il livello del litio nel sangue.

La cosa curiosa (ma in realtà nella scienza capita spesso) è che la scoperta dell’utilità del litio per la stabilità dell’umore è avvenuta per caso, durante la sperimentazione di questo minerale per il trattamento della gotta (il litio favorisce l’eliminazione degli urati, cristalli che si depositano sulle articolazioni producendo dolorose crisi infiammatorie). È proprio da questa ben nota capacità del litio di sciogliere i depositi di cristalli (come nella gotta) e i calcoli renali («mal della pietra» per gli antichi) che secondo alcuni deriverebbe la sua denominazione (in greco lithos significa appunto pietra).

Una recente (2020) ricerca bibliografica sulla relazione tra presenza di litio nell’acqua potabile pubblica e tassi di mortalità per suicidio (The British Journal of Psychiatry, 217(6), 667-678) ha esaminato 415 lavori pubblicati tra il 1945 e il 2018 e confermato l’esistenza degli effetti protettivi del litio. Tanto che qualcuno ha perfino prospettato la possibile utilità dell’integrazione di litio nell’acqua potabile.

Idea un po’ balzana e caduta per fortuna nel dimenticatoio. Anche perché questo farmaco, benefico per molti aspetti, in caso di errori nel dosaggio e/o di altre condizioni difficilmente controllabili o prevedibili quando l’assunzione avviene attraverso l’acqua potabile (sudorazioni eccessive, diarrea, vomito, gravidanza, allattamento, età avanzata, ecc.) produce effetti collaterali non trascurabili.

C’è in ballo anche l’ipotesi che l’assunzione di litio nei soggetti con disturbo bipolare possa avere in qualche modo anche una funzione protettiva sul cervello. Ad esempio, potenziando struttura e funzione dell’ippocampo, una parte del cervello dedicata alla memoria (J Psychiatry Neurosci. 2012 Sep;37(5):333-43). Una osservazione che ha aperto un ulteriore promettente filone di ricerca, anche se mancano ancora risultati definitivi.

Anche nelle cosiddette medicine complementari il litio e i minerali che lo contengono (tormalina litica, lepidolite) hanno un ruolo interessante. I minerali citati sono nell’armamentario della Litoterapia dechelatrice, un metodo che utilizza a scopo terapeutico la somministrazione per bocca di alcuni minerali e di rocce, diluiti per evitarne la tossicità. La tormalina litica e la lepidolite possono affiancare altre terapie negli stati depressivi, nell’insonnia e in tutte le turbe del sistema nervoso.

Infine, Lithium carbonicum (carbonato di litio) è il rimedio omeopatico utilizzato essenzialmente per la cura dei reumatismi, soprattutto localizzati alle piccole articolazioni (dita delle mani e dei piedi, polsi e caviglie). Ne beneficiano le articolazioni dolenti, gonfie, rosse, nodose e deformate, specialmente se associate ad iperuricemia. Una curiosa consonanza con le storiche e ormai farmacologicamente superate proprietà antigottose dei sali di litio.

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