La riforma del lavoro in Spagna e la logica delle controriforme giurisprudenziali italiane
Ogni volta che in Italia abbiamo affrontato una riforma del lavoro si sono persi diritti e tutele, potere di acquisto e di contrattazione. Parliamo degli ultimi 40 anni perchè riforme parziali come quella del 1970 sono state ben diverse, dentro quel percorso storico progressivo di ampliamento dei diritti e delle tutele e sull'onda di lunghe e strenue lotte del movimento operaio.
Gli anni neoliberisti ci hanno abituato a interventi finalizzati a soddisfare esigenze padronali o sono frutto di un attacco, feroce, delle associazioni datoriali.
Pensavamo , poco prima della pandemia, che su su alcune tematiche quali tempo determinato, salario minimo e reddito di cittadinanza, avremmo potuto strappare qualche risultato, magari come contropartita del successo elettorale del Mov 5 Stelle, qualcuno si è illuso che anche in assenza di conflitto sarebbero stati portati a casa dei risultati salvo scoprire poi che gran parte delle promesse si sono subito volatizzate.
Non sappiamo se sia intenzione del Governo rimettere mano ad una riforma del lavoro soprattutto se pensiamo che in 30 anni hanno già ottenuto innalzamento dell'età pensionabile, sistema contributivo per la previdenza, deroghe continue al contratto nazionale e la sostanziale liberalizzazione dei subappalti con il ripristino dei licenziamenti collettivi. Qualche intervento ulteriore ci sarà ma i rapporti di forza sono a favore delle associazioni datoriali e i risultati ottenibili saranno comunque insoddisfacenti.
Qualcuno sta guardando alla Spagna dove nel 2021 hanno approvato una legge sui riders che ha dato il via ad una iniziativa comunitaria per regolamentare il lavoro in questo settore, la Spagna sta assumendo decisioni importanti come la crescita del salario minimo legale e sotto molti aspetti registra una inversione di tendenza rispetto agli interventi promossi dai socialisti prima e dai conservatori poi.
Nell'immaginario neoliberista la Spagna sta andando verso riforme che porteranno maggiore rigidità nel mercato del lavoro, per rigidità i padroni intendono tutele e diritti.
La riforma in atto in Spagna si prefigge obiettivi ambiziosi quali la riduzione degli spazi per il tempo determinato, una riforma della contrattazione, qualche ostacolo ai processi di esternalizzazione selvaggia e altri interventi a tutela del potere di acquisto.
Una riforma che ha scontentato i settori radicali e combattivi dei movimenti sindacali spagnoli(ad esempio per la durata ridotta degli ammortizzatori sociali) che non hanno mancato di evidenziare criticità e contraddizioni e misure parziali. Un tempo, al momento della scadenza di un contratto nazionale, subentravano i contratti decentrati aziendali con evidente perdita salariale , da oggi i contratti nazionali restano al loro posto e l'applicazione del contratto aziendale dovrebbe avvenire solo se più favorevole rispetto a quello nazionale.
Sempre la riforma spagnola prevede interventi atti a limitare le forme di esternalizzazione del lavoro con appalti o interinale , la equiparazione dei salari esternalizzati con quelli dei servizi a gestione diretta , la riduzione dei rinnovi dei contratti a tempo determinato. Poi ci sono altri interventi legati al tirocinio professionale. con interventi sulla retribuzione e sulla durata stessa del tirocinio al fine di evitare abusi datoriali con un sistema sanzionatorio a carico delle aziende inadempienti. A leggere il testo della riforma parrebbe scomparso in Spagna il vento neoliberista , ad esempio c'è tutto un capitolo dedicato alle integrazioni salariali da parte delle imprese con tanto di esenzione contributiva.
Se pensiamo al dibattito in Italia sembra di essere lontani anni luce e, per quanto le richieste fossero assai più radicali, resta il fatto che in Spagna si sono affrontati innumerevoli problematiche guardando alla parte salariale e normativa, alla contrattazione e agli ammortizzatori sociali nell'ottica di ridurre gli spazi per la precarietà, un occhio di riguardo poi alla tutela del potere di acquisto. Una riforma senza dubbio innovativa, non rivoluzionaria, con qualche concessione significativa, forse dettata dalla volontà del centro sinistra di smarcarsi dai dettami neoliberisti che hanno abbattuto la domanda alimentando la precarietà
Nel 2019 i lavoratori a tempo determinato in Spagna erano il 26,8%, la percentuale più alta dell’Ue e la grande diffusione di questa tipologia lavorativa rappresenta un grande limite anche per il locale capitalismo.
Forse al contrario dell ' Italia in Spagna hanno compreso che precarietà e flessibilità non aiutano la ripresa dell'economia se non per riducendo il potere di acquisto e il costo del lavoro anche se alla lunga tali misure si mostrano inadeguate, specie nei processi di ristrutturazione dell'economia.
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