Aggiornamenti sulla Bielorussia

 riceviamo e pubblichiamo

Articolo molto interessante di analisi politica e aggiornamento degli sviluppi della crisi bielorussa

Il coordinamento del Giga


https://revolucionvoxpopuli.wordpress.com/2020/08/14/il-bielorusso-laboratorio-della-rivoluzione/


Armato e in mimetica Lukashenko chiama «topi» i manifestanti

Bielorussia. Mosca non risponde al telefono ma promette aiuti contro il covid Beffa per il presidente negazionista. Annunciato «sciopero bianco»

Nei tinelli delle case bielorusse la gente è rimasta sbigottita domenica sera nel vedere in video Alexander Lukashenko sorvolare con l’elicottero le piazze dove si manifestava definendo quella parte del suo popolo «topi», e vederlo poi circolare nelle strade adiacenti al palazzo governativo con giubbotto antiproiettile e mitragliatrice in mano, salutando gli omon di guardia chiamandoli «bellini».

UNA PAGLIACCIATA che si è colorata di «autogolpe» quando ha fatto spegnere anche la connessione mobile in parte della capitale dei principali operatori per alcune ore e mosso qualche reparto di autoblindo in giro per la città per intimidire la popolazione.

IL PRESIDENTE IN CARICA a fronte di un’opposizione che non vuole sapere di andarsene a casa (anche domenica malgrado il maltempo oltre 100 mila persone in strada a Minsk, 20 mila a Grodno e Brest e piazze piene anche in tanti altri centri minori) sta cercando in ogni modo un casus belli per scatenare un’altra ondata di repressione nel paese.

Domenica pomeriggio un aereo dell’esercito bielorusso è entrato per qualche minuto nello spazio aereo lituano ma l’esercito del paese baltico ha evitato l’escalation.

Lukashenko ha chiamato per la quarta volta dall’inizio della crisi il presidente russo Vladimir Putin ma quest’ultimo ha promesso solo che le prime partite di vaccini anti-covid verranno spedite proprio in Bielorussia. Si tratta di una specie di beffa visto che il presidente bielorusso negava fino a poco tempo fa l’esistenza stessa della pandemia.

La serrata delle fabbriche preannunciata da Lukashenko, essendo un autogol dal punto di vista economico, ieri mattina non c’è stata, tuttavia sono stati arrestati due degli attivisti più in vista del comitato di sciopero della fabbrica Mtz ma i lavoratori sembrano voler ora intraprendere forme di lotta che pesino meno sui salari: da oggi alla Bieloruscalya è iniziato uno sciopero bianco (i lavoratori svolgono le mansioni regolamento alla mano rallentando la produttività) che nei paesi dell’ex-Urss viene chiamato «sciopero italiano».

AL FIANCO DEI LAVORATORI bielorussi in lotta si schiera il più forte sindacato indipendente russo la Confederazione del lavoro che «chiede ai lavoratori di Russia, Ucraina, Moldova, Kirghizistan, Kazakistan di opporsi alle intenzioni delle autorità della Repubblica di Bielorussia di sostituire i lavoratori in sciopero con gli scioperanti dei nostri paesi» si dice nell’appello.


In Siria i contractors di Minsk, con Erdogan e contro Putin

Bielorussia. Secondo fonti siriane e russe, Lukashenko avrebbe inviato nel paese mediorientale ex ufficiali dell'esercito, cecchini e artiglieri, che avrebbero compiuto attacchi contro le forze di Damasco e di Mosca

In Siria, secondo informazioni fatte circolare da ambienti dell’esercito russo, nelle immediate vicinanze della zona smilitarizzata accanto a dei distaccamenti di truppe turche starebbero operando dei contractors bielorussi che rispondono direttamente al presidente Lukashenko o al suo più prossimo entourage.

Una situazione che sarebbe ben nota da tempo al Cremlino che avrebbe diffidato più volte Minsk ad avventure che hanno portato i soldati di ventura slavi a combattere nei mesi scorsi sia contro le truppe della Federazione e del governo di Damasco, sia contro le unità curde Ypg.

Secondo quanto si apprende da fonti siriane, si tratterebbe di ex ufficiali ma anche di militari ancora attivi dell’esercito bielorusso, in particolare cecchini e artiglieri. Un contingente non modesto, se come viene fatto trapelare si tratterebbe di 150 uomini.

Non molto tempo fa, giornalisti siriani hanno riferito dell’uccisione di individui a consiglieri militari russi. Una notizia confermata anche dal reporter di guerra moscovita Semion Pegov: «A quanto pare, l’alleanza Lukashenko-Aliyev-Erdogan in un modo o nell’altro sta continuando a fare il suo gioco alle spalle della Russia, fornendosi reciprocamente servizi, anche di natura militare». Un legame così stretto, secondo Pegov, da far pensare che le voci secondo cui la famiglia Lukashenko preveda di usare la Turchia come primo «aeroporto alternativo» in caso di fuga da Minsk non sembrano infondate.

Non sarebbe un caso che il presidente turco sia stato tra i primi a congratularsi per la rielezione con Lukashenko, due settimane fa, e che Volodomyr Zelensky (altro grande alleato di Erdogan) non abbia calcato la mano nella denuncia delle violazioni dei diritti democratici in Bielorussia.


Bielorussia come il Donbass: gli Usa preferiscono che sia Putin a mediare

Il vice di Pompeo a Mosca da Lavrov. Dal suo esilio in Lituania anche anche Svetlana Tikhanovskaya apre alla Russia

Martedì sera Stephen Bigan, il vice di Mike Pompeo, è atterrato a Mosca per un incontro con Sergey Lavrov, il ministro degli Esteri russo. Si è riparlato dell’annosa questione, da tempo in alto mare, degli accordi sulla non proliferazione degli armamenti nucleari ma soprattutto, come ha riconosciuto lo stesso capo della diplomazia russa, di Bielorussia.

«DURANTE I COLLOQUI, il sottosegretario di Stato Bigan ha condannato l’uso della violenza contro il popolo bielorusso e ha espresso sostegno alla sovranità della Bielorussia e del suo diritto all’autodeterminazione» ha twittato Rebecca Ross, dell’ambasciata americana a Mosca. In realtà, dietro la ritualità della nota, gli Usa intendono promuovere la Russia a mediatrice nella crisi di Minsk come già avvenuto con il Donbass. Una posizione scomoda ma inevitabile per Mosca che da prima delle elezioni bielorusse lavora per giungere al superamento del regime di Lukashenko ma senza perdere la Bielorussia come partner strategico e militare. Un cammino tortuoso che in questa fase forzatamente si attesta sulla posizione espressa da Lukashenko: nuovo voto sì ma non su “pressione della piazza”.

SU QUESTA LINEA LAVROV in conferenza stampa ha affermato di aver richiamato l’attenzione degli americani «sull’iniziativa del presidente Lukashenko, presentata già prima delle elezioni e ripetuta già nel periodo post-elettorale di voler attuare una riforma costituzionale per il consolidamento della società e per la successiva riorganizzazione presidenziale, parlamentare e dei governi locali». Un approccio che evita di affrontare il cuore del problema: la trattativa diretta tra il governo in carica e il “comitato di coordinamento” dell’opposizione.

SVETLANA TIKHANOVSKAYA, in autoesilio in Lituania, ha aperto anch’essa a Mosca riaffermando l’importanza dei legami culturali ed economici tra i due paesi slavi, ma finché non dirà delle parole scolpite nella pietra sulla posizione internazionale della Bielorussia è chiaro che non troverà orecchie attente sulla Moscova.

Dopo domenica le manifestazioni si sono ridotte e il ministro degli Interni bielorusso punta a usare il guanto di velluto nella repressione: sono in corso molti arresti amministrativi, qualche decina di lavoratori sono stati denunciati e licenziati ma per ora i reparti antisommossa restano nelle caserme. A questo punto il paese più che implodere potrebbe lentamente ripiegarsi su se stesso.

NELLA RIUNIONE DEL GOVERNO dell’altro ieri Lukashenko ha affermato di non essere in grado di pagare la rata del debito estero di agosto e ha denunciato che «i disordini sono già costati al paese 500 milioni di dollari». Il rublo ucraino già deprezzatosi di oltre il 25% dall’inizio di gennaio rischia di collassare. Non a causa di manovre speculative esterne come segnalano gli specialisti – essendo la piazza finanziaria di Minsk troppo ristretta per operazioni simili – ma a fronte della corsa della popolazione a cambiare i propri risparmi in valute forti come il dollaro e l’euro.

SULLO SFONDO PESA anche la concomitante vicenda del presunto avvelenamento di Alexey Navalny. Dopo che Merkel aveva chiesto a Putin – senza ricevere risposta – di aprire un’inchiesta su quanto avvenuto i russi vanno al contrattacco. «La domanda sorge inevitabile, chi avrebbe beneficiato di tale avvelenamento? Il governo russo chiaramente no» si legge nel comunicato diffuso dal ministero degli Esteri. La diplomazia russa vuol far intendere che si tratterebbe sì di un caso internazionale, ma contro la Federazione.


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