Bella…ciao

Bella…ciao

di Tiziano Tussi

articolo 1, comma 1, si prevede il riconoscimento da parte della Repubblica della canzone «Bella ciao» quale espressione popolare dei valori fondanti della propria nascita e del proprio sviluppo. Il comma 2 dello stesso articolo stabilisce, inoltre, che la canzone «Bella ciao» sia eseguita, dopo l’inno nazionale, in occasione delle cerimonie ufficiali per i festeggiamenti del 25 aprile, Anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Con l’articolo 2 si prevede che, nelle scuole di ogni ordine e grado, l’insegnamento relativo al periodo storico della Seconda guerra mondiale e della Resistenza comprenda anche lo studio della canzone «Bella ciao».

Questi sono i due articoli di legge che un nutrito gruppo di parlamentari Democratici con l’aggiunta di pochi altri di Italia Viva, M5S, e Leu hanno proposto, con data 30 aprile 2020, al Parlamento ed evidentemente venuta a maturazione ora, nella discussione e nel Paese. Proposta farsesca se non fosse seriamente intesa dai proponitori. Lasciamo perdere le personalità dei proponenti e vediamo almeno di ricordare qualcosa di politicamente rilevante. Anche per questa proposta di legge si assiste alla solita inzuppata nel latte ribollito del cuore – la pappa del cuore (Hegel). Una politica di sinistra che ha perso oramai ogni ancoraggio alle problematiche significative del mondo del lavoro, si arrabatta a cercare ambiti non disturbanti il manovratore – leggasi il capitale globalizzato – e voglia perdere il sonno e le energie per battaglie di contorno, massimo contorno. Così come le questioni di genere, eventualmente da ribaltare anche a livello linguistico, come difesa della vita e della vita dei più esposti, certo anche delle donne, anche se non in assoluto. Vi sono molte altre “categorie” a rischio – handicappati ad ogni titolo, non acculturati e/o poco acculturati (chi si ricorda della commedia di Dario Fo, premio Nobel per la letteratura, 1997 L'operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone, Cremona, Tip. Lombarda, 1969), ammalati, barboni e/o randagi, disoccupati. Pare che i loro problemi non prendano sul serio i nostri parlamentari.

Ora si sono buttati su una canzone Bella ciao, che dovrebbe diventare una specie di secondo inno nazionale, aggiunto a quello storico. Ora diciamo pure che il nostro inno ha parole ben vetuste e datate. La musica è ben adatta ad un inno nazionale ma il testo non è proprio un esempio di contemporaneità. Ed anche nella terminologia del lessico che lo compone rivela tutti i suoi anni. Le parole sono di Goffredo Mameli e la musica di Michele Novaro, siamo al 1847. In Russia è stato cambiato il testo e mantenuta la musica del vecchio inno sovietico. Ma va bene lo stesso. Qui da noi solo la vetustà delle parole dell’inno nazionale potrebbe spingere verso una direzione di riadattamento. Ma per ora teniamoci pure l’Inno di Mameli. L’aggiunta di Bella ciao non avrebbe nessun senso: una mancanza di senso di due tipi. Il primo riguarda la gestazione e l’uso resistenziale della canzone che non coglie nessun motivo di unitarietà della Resistenza, sulla quale ci sarebbe storicamente molto da scavare. E la sua origine, la sua nascita è quantomeno pasticciata. L’altra motivazione è ben più pregnante, quindi tralasciando queste prime due al loro destino di discussione dialettica infinita: Bella ciao è stato un canto che si è sempre più qualificato come una voce di contro potere. In tutto il mondo viene cantata ogni volta che c’è da mettere in piazza la pochezza del potere e la sua protervia, che sta di fronte a chi si ribella alle ingiustizie in vari Paesi, che chiedono più giustizia, più equità, più libertà. Al contrario, una richiesta come questa, dell’istituzionalizzazione di Bella ciao, da parte dei buonisti targati PD, più altre frattaglie, tende a ridurre l’impatto liberatorio della canzone ad un ruolo di cornice istituzionale che non fa del male a nessun potere. 

Il suo impatto decisamente debole si ritorcerebbe su chi la volesse tenere come canto di fiducia in un domani migliore. Una volta che lo Stato, il potere in atto, se ne appropriasse, sarebbe perduta ogni carica critica ed eversiva. Non svolgerebbe più un ruolo di apripista per un popolo che cantandola volesse dire al potere di turno di togliersi da torno. 

Un canto di piazza, un canto di rottura dell’equilibrio squilibrato proposto dal potente di turno, sia esso una persona od un sistema, un canto di lotta. Ma se ad intonarla è la fanfara dei Carabinieri dove va a finire tutto questo? Infatti, in tutto il mondo è stata così interpretata: un canto di lotta. Chi la canterebbe più se diventasse una specie di Inno di Mameli in seconda battuta.? Ma torno a dire, i tempi sono questi, tempi di quaquaraquà che blaterano alla luna.

«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… 

Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…» (Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961, don Mariano Arena al capitano Bellodi)


Sciascia ne capiva di umanità. Noi ci fermiamo agli ominicchi, per non appesantire troppo. Ma è proprio così soddisfacente avere al potere degli ominicchi?

 

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