Riflessioni sul (quasi) post Covid

 

Le dieci, le undici (di sera), mezzanotte. Aboliamo il coprifuoco non serve a niente e i ristoranti…

Spesso discussioni senza fine ed inutili dato che, specialmente i più giovani se ne sono spesso disinteressati a e stanno per strada ad ore molto più notturne. Ma è bello leggere: “…tutto, da vicino o da lontano, è in rapporto con questo fine insieme volgare e terribile della nutrizione, direi quasi della masticazione...” (Arthur Schopenhauer, Intervista a la “Revue de Paris”, 19 dicembre 1864, riportata ne Il corriere della Sera, 12 agosto 1992). Se poi aggiungiamo un folgorante romanzo di Knut Hamsun, Fame (1890, in italiano diverse edizioni) sul rapporto angosciato e schifiltoso con il cibo abbiamo fatto un distico esplicativo (Hamsun è premio Nobel per la letteratura nel 1920.

Mangiare – l’aperitivo, l’apericena – è diventata l’unica preoccupazione anche in un periodo che dovrebbe averne ben altre. Bere, il divieto di bere la birretta, accompagna questa spasmodica ricerca di consumo del cibo. Certo c’è anche la socialità del cibo e del vino, ma a questa si potrebbe forse ovviare con un consumo privato. Ma questo modo non regge la scena la scelta intima, privata. È lo scenario della città (del paese) che mangia che si va cercando. “Fare un aperitivo” pare l’ultima cosa ci resti da portare a termine. Una preoccupazione assoluta, uno sbracarsi per strada alla ricerca del sostentamento liquido o solido. E quindi, di seguito o a spingere tale lagna culinaria è la preoccupazione per un settore che ha sofferto, per lavoratori che rischiano il posto, per la stanchezza di noi giovani, come se ad altre età non fosse possibile avere le stesse carenze, per ritornare a vivere. Ognuno le rivendica, rivendicandone la soddisfazione. ”Una filosofia nelle cui pagine non si sentano frusciare i pianti, i gemiti, il digrignare dei denti e il ticchettio spaventoso dell’assassinio reciproco e universale, non è una filosofia.” (stessa sede schopenhaueriana). Intanto la vita in qualche modo segue, continua e i problemi sociali sono sempre gli stessi, solo un po’ più complicati, più grevi, più pesanti, più impellenti nella loro esistenza non risolta. Politica, economia, rapporti internazionali: tutto come prima (della pandemia), peggio di prima. Le litanie – saremo diversi, tutto cambierà, nulla come prima, ne usciremo diversi – sono le solite banalità e falsità ripetute, da entrambe i lati sociali le si vogliano vedere: sempre si cambia e sempre si resta uguali a sé stessi. Anche in altre situazioni si possono misurare cambiamenti continui ed anche in altre situazioni ciò che non cambia profondamente è evidente. Viene in mentre Fernand Braudel e la sua immagine della storia come il mare. Acque superficiali, mutano e cambiano sempre, lasciando dietro di loro poco o nulla; acque mediane, con cambiamenti meno significativi ma pur sempre in movimento, anche se non traumatico come in superficie; acque profonde, che misurano una quasi totale immobilità. Sarà così e saremo così anche dopo la pandemia. Ma intanto reclamiamo a gran voce la birretta e la bruschetta, dato che la superficie del mare pare l’unica cosa ci riguardi come esseri razionali simil-lombrichi. Bella pensata, si potrebbe obiettare, ma Schopenhauer era un pessimista. Certo ma l’ottimista ora cosa farebbe, oltre che a consumare panzerotti? Prosit.

 

Tiziano Tussi

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