A scuola senza voti
A scuola senza voti
di Tiziano Tussi
da www. resistenze.org
Un po' in tutta Italia, come coriandoli sparsi, è partita la sperimentazione che va sotto il nome di "una scuola senza voti". In pratica anni scolastici di frequenza alle lezioni. Ma siccome non vi è possibilità di sfuggire al giudizio degli insegnanti, della scuola in definitiva, ci si inventa di tutto.
Per prima cosa spariscono i voti durante l'anno e spariscono pure le divisioni di studio per trimestre o quadrimestre. Un corso lungo un anno e poi giudizio e voto finale. In alcuni casi non si boccia neppure e questo fa parte della sperimentazione. Specialmente per i primi due anni del corso superiore. In alcuni casi i voti si danno ma restano nascosti agli studenti ed alle famiglie. Il tutto viene provato per ridurre l'ansia che il normale svolgimento dell'anno scolastico dà, o darebbe, ad alcuni studenti.
Salvo poi il ritorno della valutazione numerica al momento dell'esame d stato o di maturità, così come variamente lo si è chiamato nel tempo. Ma allora l'ansia non si riproporrebbe, maggiorata? Problema per ora accantonato, o almeno sembra così.
Dato che un titolo di studio finale è valido solo se si raggiunge la soglia della sufficienza, appare perlomeno impossibile annullare l'indicatore numerico per gli studenti all'atto finale. Il motivo della riduzione dello stress pare sia raggiunto in assenza di voti. E vorrei ben vedere. Ma altre sono le finalità che i promotori si propongono. Una sorta di scuola Montessori, senza giudizi numerici, che farebbe così emergere le vere potenzialità dello studente, messo nelle migliori condizioni per arrivarvi senza lo stimolo, evidentemente vissuto male, della valutazione espressa in numeri arabi.
Del resto, già ora, nella scuola con voti, chi sostiene l'esame finale non è certo bocciato, dato che le percentuali della stessa sono ridicole. Siamo arrivati allo 0,1% nel 2022. Perciò non pare proprio che gli stressati studenti non riescano a completare gli studi superiori, anche con i voti. Certo vi sono alcune unità di bocciature durante il percorso, siamo attorno al 4%, ma il grande numero si impone. E per chi avesse mai assistito, o condotto, un esame finale, ora esame di stato, quello che rimane è la profonda inutilità dello stesso, tanto è vero che da molte parti si alzano voci per la sua abolizione.
Scrutini finali: promossi o bocciati. Basta così. Ma per le ragioni della vischiosità della ritualità di esecuzione; perché si è sempre fatto così; per un'ostilità burocratica a ciò che potrebbe essere razionale, ora in queste condizioni; per un senso di pienezza del percorso scolastico; si continua a organizzare tale, inutile, esame. L'inutilità non è in sé ma si crea alla luce del suo senso verso l'esterno e per la sua conduzione, in questi frangenti ridicola. In quella sede, il ministero ogni anno dice ai commissari che non devono fare domande disciplinari, che non devono fare altro che dare un input. Che si riduce ad un concetto o fotografia o similari, che, sempre i commissari, debbono stare ad ascoltare le esperienze che gli studenti hanno incrociato nel percorso scuola-lavoro, che può essere ogni attività possibile, e, recentemente, che debbono ascoltare anche quello che in campo di educazione civica hanno prodotto durante l'anno, che può essere qualsiasi cosa. In pratica si sotterra il sapere e la sua importanza sotto un peso di inutilità per scambiarlo con le capacità espositive dello studente. "Non sa niente ma lo dice molto bene".
Già questi bei risultati sono presenti ora, in una scuola con voti e scansioni di divisione dell'anno scolastico, con giudizi annuali, due o tre momenti di verifica. Immaginiamo cosa potrebbe essere senza queste due modalità di valutazione e controllo del lavoro dello studente.
Ma vediamo un po' quello che viene detto in proposito. In un articolo on line - www.open.online - del 14 ottobre 2023 veniamo a conoscenza che La Finlandia non ha né voti né bocciature, e neppure la Corea del Sud ha bocciature, ma mantiene ancora i voti, evidentemente tutti sufficienti (?). Un bell'accostamento che pesca dal mondo due Paesi molto distanti, fatto dal presidente dell'associazione nazionale presidi Antonello Giannelli.
Studenti d'accordo con l'abolizione dei voti, e ci credo, ma anche pedagogisti, come Daniele Novara, stesso articolo: "Sono retaggi del passato, antiquati e agghiaccianti". Osservazione che dà sostanza alla domanda che alcuni si fanno: ma la pedagogia è una scienza, o perlomeno una disciplina acclarata?
Naturalmente tanto sforzo aveva bisogno di una nuova intitolazione, non bastava il nome scuola, qui si aggiunge "delle Relazioni e della Responsabilità", con maiuscole annesse. Questo per un liceo di Roma. E veniamo a conoscenza che scomparsi i voti sono scomparsi anche gli stress "per le interrogazioni e le verifiche". E questo sembra per lo meno logico. (Corriere.it, 3 ottobre 2023) Nel titolo "Si può crescere senza sentirsi giudicati". Riprenderemo più avanti questo punto.
Stesso sito, 17 agosto 2023, il preside del Liceo Berchet di Milano ci dice anche del disorientamento che gli studenti hanno dovuto sopportare per il ritorno agli esami di maturità in modalità pre-covid. Ma anche quegli esami erano già diventati una macchietta per gli studenti che raccontavano per buona parte dell'esame orale le loro esperienze lavorative e/o di gruppo classe. Certo vi erano gli esami scritti, ma insomma se è un esame un esame deve essere.
Un neodiplomato, stesso giorno stesso sito, critica il merito, "Retorica del merito" dice e lamenta che non si tenga conto delle "relazioni sociali, gli hobby, le passioni" dello studente. Tutte capacità, aggiunge, che vengono dopo quelle dello studio. Anche questo sembra logico: si tratta comunque di una frequenza scolastica, non dell'oratorio pomeridiano estivo. Insomma, il tipo, non dice chi è, lamenta che a scuola non si tenga conto della "persona che si è". E se si fallisce, continua, questo deve essere considerato normale, insistendo sulla priorità del lato del piacere personale. La persona, una definizione che merita di essere approfondita.
E questo hanno fatto gli studenti del liceo Berchet di Milano il 18 aprile, con una lettera di intenti. Lettera sottoscritta dia una trentina di altri istituti scolastici, a livello nazionale. In essa si lamenta il disagio di stare a scuola e ci si indirizza verso la necessità di superare tale disagio. Lo stesso liceo era stato la culla di Don Giussani, il fondatore d Comunione e liberazione, che ha fatto del concetto di persona un punto cardine della sua attività pastorale e culturale. Lasciamo perdere le traversie in cui si è ficcata ed in cui ancora vive. Un fenomeno importante, quello di CL, che ha caratterizzato un'epoca, contigua alla contestazione studentesca, insomma una storia complessa. La lasciamo sullo sfondo per carità, non cattolica, di studio e analisi. L'apoteosi, attuale della stessa pare essere il meeting di Rimini alla fine di agosto, al quale vanno lieti a farsi belli politici, di solito di destra e/o tonti, anche di sinistra.
Già dal dicembre, il giorno 9 (corriere.it), dello scorso anno, veniamo a sapere che in pratica non vi sono differenze nei risultati di acquisizione e di conoscenza tra chi frequenta la scuola classica, e quella senza voti e ce lo dicono le prove Invalsi. Per chi s'accontenta! Ora il ministero della scuola si chiama MIM, Ministero dell'istruzione e del merito, dal quale viene scorporato quello per l'Università, MUR. Gli acronimi per questo ministero sono stati cambiati spesso, seguendo gli accorpamenti dei due o la loro divisione. Ma questo di ora ha aggiunto il merito, cosa non da poco. Il merito come ci spiega il ministro attuale, oltre ad essere "un valore costituzionale, articolo 34 [] diventerà un vero ascensore sociale" (corriere.it, 26 ottobre 2022).
Ma sembra funzionare poco tanto che ci vogliono ben cinque generazioni per fare scattare nei nuovi nati spostamenti dai figli agli avi rispetto al loro ruolo sociale ed alle capacità economiche degli stessi. Logicamente nei paesi più civili e strutturati tale divario si limita a due o tre generaloni. L'Italia è comunque sotto la media OCSE. Quindi nonostante la buona volontà del ministro il merito serve a poco.
Cosa serve? Evidentemente la derivazione famigliare e le capacità di muoversi in mezzo a conoscenze che "contano". Così come cinquant'anni fa - il testo di riferimento è Il sistema scolastico italiano di Anna Laura Fadiga Zanatta, prima edizione il Mulino 1971. Allora come ora l'ascensore sociale cui si riferiscono alcuni di quelli che ho citato, non funzionava se non con grande difficoltà. Ora siamo sempre nella stessa situazione. I figli di notai, medici, avvocati svolgeranno la stessa professione del padre, in larga parte (corriere.it, 17 novembre 2020). Il merito c'entra poco, anche a chi si danna per arrivare al risultato, senza forti agganci sociali
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