Bambini e guerra



“I bambini nascono nella fitra (religione naturale) e non possono essere ritenuti responsabili né delle colpe né della miscredenza dei loro genitori. Per questo l’Islam ha sempre condannato la violenza contro i bambini, La setta dei Khagiriti fu l’unica a rifiutare quel principio.” Roberto Giammanco, La più lunga frontiera dell’Islam, (De Donato, Bari, 1983, nota a p. 150.) 

Forse quelli di Hamas sono Khagiriti? Forse lo sono anche gli ebrei? Accomunati i due dal disprezzo per la vita dei bambini degli altri (lasciamo perdere il sentimento provato per le vite degli adulti, che è sotto gli occhi esterrefatti di ognuno). Le guerre stanno diventando sempre più barbariche, e non vorrei che i barbari si offendessero dai loro sarcofagi e tombe. Ma, ripeto, è sull’irrazionalità delle guerre in corso che bisognerebbe riflettere. 

Al di fuori della nostra testa, della nostra stanza e del nostro stato, del nostro mondo, vi è un altro mondo altrettanto stratificato e complesso. Come è possibile pesare di

 a) farlo sparire, di gettarlo nel nulla;

 b) di conquistarlo e di controllarlo? Controllare un mondo, per di più se non è in nostro possesso, ora, è decisamente impossibile e inutile così come il pensare di poterlo fare. Gli esempi di fallimenti storici che sono occorsi per chi lo ha tentato, in qualsiasi modo, in qualsiasi tempo, sono decisamente illuminanti. Le guerre attualmente in corso servono solo ad illudere un popolo di una possibilità-impossibile, evidentemente per altri calcoli e motivi.

 E, a seconda del caso, questi si trovano comunque sul terreno del potere: politico e/o economico. Rendersene conto serve perlomeno a non farsi prendere dal vortice di partecipare a questo scontro inutile e continuo verso il nulla.

Certo poi vi sono i possibili e praticabili comportamenti da tenere, una volta che l’inutilità viene messa in moto. Lì occorre scegliere dove stare, in quale luogo mettersi. E questo rientra comunque nel campo dell’errore che sempre ci aspetta silenzioso. Dare retta al cuore, alla ragione, al profitto, alla nazione, alla religione, alla “razza”, al sesso. 

Ognuno poi sceglie quello che lo convince sul piano della pratica comportamentale, sapendo, e questo sarebbe da capire per ognuno di noi, che operando una scelta si sbaglia comunque. Partecipando perciò “[al]la violenza [che è] levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova.”[1] Si saprà, dopo, se la nuova società, figlia della volenza, più o meno cieca, sarà migliore di quella precedente.         

 

Tiziano Tussi



[1] Karl Marx. Il capitale, Libro I°, Einaudi, Torino, 1970, p. 923.

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