Salario Minimo: non conviene al Governo, non conviene alla Pubblica amministrazione, non conviene allo Stato dell'austerità


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Leggendo e rileggendo la documentazione Cnel si evince quanto contraddittorio sia anche l'operato dei sindacati rappresentativi e della stessa Pubblica Amministrazione. 





I primi, inizialmente. hanno giudicato l'invito del Governo al Cnel di approfondire la questione del salario minimo come una sorta indagine conoscitiva da accogliere positivamente, salvo poi "scoprire" il vero scopo dell'operazione (una documentazione tecnico-scientifica che negasse l'adozione del salario minimo)


La seconda invece (la Pa) ha tuttavia molto da perdere in caso di  salario minimo, basti ricordare gli appalti e i subappalti che operano all'ombra del settore pubblico, aumentandone i costi complessivi cadrebbe anche la impalcatura delle esternalizzazioni avvenute negli ultimi 30 anni. 


Introdurre i salari minimi negli appalti e nei subappalti pubblici farebbe aumentare la spesa pubblica, accrescendo i salari  nel loro complesso ma anche il costo degli appalti stessi creando non pochi problemi alla fragile  finanzia degli Enti locali e dello Stato. Un effetto a catena e alla fine non stabilire un salario minimo a 10 euro legato alla inflazione (ma perfino 9 euro senza rivalutazione) risulta conveniente a tutti, allo Stato e agli Enti locali che non avranno aumento di spesa, ai paladini dell'abbattimento del debito che a loro volta potranno vigilare sui conti nel rispetto dei dettami di Maastricht, alla Pubblica amministrazione infine che non scontenterà le associazioni datoriali private da sempre riluttanti ad accrescere, pur di poco, il costo del lavoro.


 E infine tra i beneficiari della mancata adozione del salario minimo il Governo che già deve fare i conti con una manovra economica (iniqua e a favore di autonomi e alti salari) con evidenti problemi di copertura finanziaria tanto da mettere in campo nuove e massicce privatizzazioni.  


Un po' di anni fa l'allora presidente dell'Inps Boeri denuncio' la condizioni dei salari pubblici dopo un decennio di blocco degli aumenti e della contrattazione, una perdita di potere di acquisto tanto elevata da trasformare la PA italiana nella cenerentola europea quanto a numero di dipendenti e di salari percepiti. Inizia da allora la crisi del Pubblico, nella spirale di contrazione della forza lavoro e dei salari da un lato e processi di privatizzazione dall'altra, in questa fase diminuiscono i dipendenti pubblici e aumentano quelli dei servizi esternalizzati.


Non dimentichiamo che il Ministro dei 10 anni di blocco dei salari e delle assunzioni pubbliche era Renato Brunetta, lo stesso a capo oggi del Cnel.


Nell'arco di un decennio la Pa ha perso oltre 500 mila dipendenti, chi poi invoca tagli alla spesa di personale dovrebbe guardare le cifre del Nadef che confermano un aumento dello 0,5% delle stesse in 4 anni, praticamente nulla. 


Se i salari della Pa hanno perso potere di acquisto è bene immaginarsi cosa stia accadendo negli appalti tra contratti sfavorevoli applicati, interinali, salari da fame. Fatti due conti ci si accorge che tanti contratti vigenti negli appalti prevedono paghe oraria molto inferiori ai 9 euro, stabilendo un salario minimo verrebbe meno anche la convenienza della stessa esternalizzazione di beni e servizi che invece risulta in continua crescita.


Ma tra i beneficiari della mancata adozione del salario minimo annoveriamo anche alcuni sindacati rappresentativi che hanno sottoscritto anni di contratti al ribasso, riportare la questione del salario minimo  ai tavoli della contrattazione converrà anche a loro e a quel sistema concertativo alimentato da bassi salari, monopolio della rappresentanza e privatizzazioni senza il quale oggi non avrebbero voce in capitolo.


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