Racconti dell'andare lontano III Finché il mare esista, esisteremo
Racconti dell'andare lontano III
Finché il mare esista, esisteremo
di Rodrigo Rivas dal Cile
A Los Molles ogni tanto mi sembra che lo sciabordio, la sinfonia di rumori prodotti dal mare, sovrasti i miei pensieri.
Il Poseidone mozartiano mi dice che sono nel posto giusto, come peraltro insinuano il ronzio del sole e l'agave giallo, un cactus della famiglia delle succulente il cui fiore, alto una decina di metri su di un corpo magro come una fettuccina, si è aperto completando il ciclo della sua pluriannuale vita.
Appassito, il fiore diventerà legna da bruciare in qualche casetta dei dintorni ma ora è una vedetta nell'albero maestro innalzato sul portentoso stagno blu solcato da gabbiani che tracciano solchi geometrici in aria prima di posarsi maestosamente sulla scogliera per lasciare la loro impronta, un marchio reso celebre nell'800 quando, oltre al salnitro e al sangue delle guerre del Pacifico meridionale, questa terra si arricchiva col guano, da wanu, il nome quechua per gli escrementi degli uccelli marini e dei pipistrelli di cui si trovano grandi quantità su alcune isole e coste sudamericane, specie del Cile e del Perù.
All'epoca, mentre i proprietari inglesi dei giacimenti di salnitro festeggiavano la vittoria dei cileni che consolidava il loro dominio sulle pampas del salnitro, l'aristocrazia di Lima esportava quella merda senza remore né segni da schifo.
Salnitro e guano uniti producevano nella Borsa di Londra ricchezze che, va da sé, permettevano a pochissimi Paperoni di nuotare nelle sterline.
Circa un secolo più tardi, il grande cantautore genovese Fabrizio de André, cantava "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior" ("Via del campo", 1967).
I fiori, come le lattughe, nascevano dalla merda che avvoltoi, cormorani, pellicani, gabbiani, pipistrelli e altri loro compari producevano e producono come se marines, droni, guerre, trump e altri sgorbi e parolacce non fossero mai stati concepiti.
Il richiamo di de André ha molti riferimenti. Ad esempio, l'orinatoio di Marcel Duchamp ("Fontana", 1917), o la merda in scatola di Piero Manzoni ("Merda d'artista", 1961).
Da tempi immemoriali "de gustibus non disputandum est" e "pecunia non olet". L'nferno, il dadaismo e il teatro dell'assurdo hanno preceduto di gran lunga lo sbarco del mattacchione ammazzasette col ciuffo finto giallo che richiama per sé la Groenlandia, il golfo del Messico, il Canale di Panama e le Caramelle Mou: "Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela, e ritenendo la cosa interessante andò a chiamare un altro elefante".
Appunto.
Accovacciato sulla sabbia accumulata davanti al padre oceano, la mia macchina del tempo funziona a getto continuo prospettandomi nitide fotografie del passato e sfumate sequenze di futuro.
Chiamo il passaggio dalla immagine fissa alla prospettiva in movimento, dalla nostalgia dei ricordi alla nostalgia del futuro, sogno, domani, prospettiva, tendenze ..., nomi accomunati in modo diverso dalla categoria utopia che intendo come il regista argentino Fernando Birri (Cartagena de Indias, Colombia, 1984):
"L'utopia è nell'orizzonte.
Cammino due passi e lei si allontana due passi mentre l'orizzonte si sposta dieci passi più in là".
"Ma, allora, a cosa serve l'utopía?"
"Serve a.quello, a camminare".
Quando nel 2005 Fernando partì, il Festival di cinema dell'Avana aprì i battenti salutandolo: “Se n'è andato Birri. Uscì a far due passi per incontrare l'Utopia. Sulla Terra lasciò l'occhio e l'orecchio, la voglia di sognare e di vivere”.
A scanso di equivoci: nel 1984, in Italia non erano ancora diventate utopia il diritto ad un lavoro o ad un salario decente.
Altrove, non era solo un'utopia elettiva - per pochi - disporre di un luogo dove vivere e magari invecchiare in pace.
E a molti sembrava possibile, addirittura probabile, che diversi popoli potessero convivere e che, essendo nati per essere felici, nessun bimbo dovesse estrarre il coltan a mani nude.
La nostra specifica discesa all'inferno, il nostro ritorno al Medioevo, vecchio ormai di qualche decennio, non è colpa dell'utopia che, anzi, con un po' di coscienza della propria e altrui modestia, continua ad esprimere bellezza, positività, prospettiva e un senso che può diventare patrimonio comune.
"Ci pisciano addosso e i giornali dicono che piove", scrissero gli studenti sui muri dell'Università di Buenos Aires (Eduardo Galeano, "Specchi", 2008).
Ciò malgrado, se la sfiga non mi fa incontrare una tra le centinaia di basi militari sparse dagli USA nel mondo, da questa spiaggia potrei arrivare fino all'Australia. Pure a nuoto.
Lo penso osservando gli orologi che diventano granchi ed i carri di Zeus senza auriga che diventano pecore create da pazze nuvole del pennello facile in veloce transito.
Mi diverte cercare di capire quali siano i miei sogni, cosa posso sognare senza definirmi un emerito coglione.
È, credo, un modo non stupido di omaggiare l'ozio.
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