Uno sguardo analitico verso la Germania (e non solo)

 

Uno sguardo analitico verso la Germania (e non solo)

di Andrea Vento e Federico Giusti



I recenti dati economici relativi, sia singoli paesi che all’intera area comunitaria, dovrebbero indurre ad una seria e approfondita riflessione sull’effettivo stato di salute dell’Ue, visto che, quest’ultima, già ad ottobre era ormai giunta al 18esimo mese consecutivo di riduzione tendenziale della produzione e del fatturato industriale[1].

Italia: bassa crescita e industria a picco

Nello specifico, per quanto concerne l’Italia, dove la crisi industriale morde più della media Ue, non riteniamo sufficienti, ai fini della ripresa degli investimenti, alcuni palliativi come l’adozione dell’Ires o gli ennesimi sconti fiscali sui nuovi assunti, quando sta venendo meno in modo strutturale proprio la propensione al rischio d’impresa che poi finisce per tradursi in minori investimenti tecnologici e produttivi. Riteniamo, invece, assolutamente necessario tornare a pianificare un’efficace politica industriale di medio periodo sotto la direzione statale, evitando di farsi trascinare alla deriva dalle nefaste correnti del mercato, come avvenuto negli ultimi anni, con il fondamentale comparto siderurgico ridotto ai minimi termini.

Se non vogliamo arrenderci a un futuro di precarietà, inutile anche ai fini del rilancio industriale con la riduzione delle ore lavorate e con la bassa produttività del lavoro, le scelte da operare in Italia dovrebbero essere ben diverse dall’immobilismo del Governo Meloni, sempre che l’obiettivo non sia quello di pensare a un futuro per il nostro paese relegato al ruolo di appendice degli Usa.

A conforto della nostra analisi, spicca la fondata preoccupazione di Confindustria che prevede, sulla base di una propria ricerca, un 2025 in grande sofferenza per l’industria nazionale, specie quella meccanica, oltre che per la sostenibilità del già mal ridotto welfare nazionale. In particolare risulta il comparto dell’automotive, con tutto il vasto indotto al seguito, a trainare la debacle dell’intero settore industriale nazionale, visto che a novembre, in base agli ultimi dati diramati dall’Istat, la sua flessione tendenziale si è inabissata addirittura a -28,5%, portando la contrazione nei primi 11 mesi dell’anno ad un pesante -21,7%[2].

E considerando la dinamica industriale nel suo complesso, la crisi sembra aver assunto carattere strutturale appurato che per ritrovare un segno positivo, sempre su base tendenziale, bisogna risalire addirittura al gennaio 2023.

Conseguentemente, preoccupazioni sempre più fondate sussistono sulla persistente debole crescita economica dell’Italia[3], da parte di istituti di ricerca nostrani e istituzioni internazionali, che prevedono  si manterrà al pari del biennio precedente, assai limitata anche per l’anno appena iniziato. Ritornando in sostanza, dopo la crisi pandemica e il rimbalzo nei due anni successivi, nella condizione di bassa crescita/stagnazione che ha caratterizzato tutta seconda metà degli anni ’10, successiva peraltro alla recessione causata dalla crisi dei debiti sovrani nei paesi periferici dell’Eurozona di inizio decennio.

Perfino analisti dei principali giornali italiani[4] iniziano a dubitare dell’efficacia delle politiche fino ad oggi intraprese, preoccupati dal declino industriale del nostro paese che, nonostante l’evidenza dei dati, non viene mai nominato pubblicamente dal governo Meloni. Impegnato, invece, a pubblicizzare i dati sull’occupazione, senza tuttavia menzionare il rovescio della medaglia della diminuzione della quota dei salari nel contesto del reddito nazionale. Salari peraltro, rispetto a prima del covid, erosi del 7,9% nel potere d’acquisto dalla recente fiammata inflattiva, non ancora del tutto domata, e di livello ben al di sotto dei principali partner europei e praticamente fermi negli ultimi 30 anni, a seguito di sconsiderate politiche salariali regressive e della precarizzazione delle forme contrattuali.

La locomotiva tedesca ormai ferma sul binario morto

Se l’Italia dovrebbe piangere, ancor più grave è la situazione in Germania con l’economia da due anni in recessione (-0,3% nel 2023 e -0,2% nel 2024) e con una pesante crisi industriale che irrompe direttamente nella campagna elettorale per le elezioni politiche di febbraio.

La crisi tedesca ha immediate ripercussioni, come visto negli ultimi mesi, anche sulle esportazioni italiane, in grande crisi soprattutto nel settore auto[5] e nella componentistica fornita tramite le filiere produttive intra Ue all’apparato industriale teutonico, principalmente dalle aziende di Veneto, Emilia-Romagna e  Lombardia, non causalmente quelle più in sofferenza nell’export verso Berlino[6].

Come indicato anche dagli ambienti imprenditoriali tedeschi, il rincaro del costo del gas, causato delle sanzioni con rinuncia alle forniture russe anche a causa del sabotaggio dei gasdotti del Baltico, è risultato dirimente in questa caduta.

L’intrusione di Musk e il suo sostegno all’estrema destra tedesca confermano la volontà di Trump di utilizzare strumentalmente le difficoltà crescenti della Ue per ridimensionare l’Unione Economica e Monetaria (Uem) del vecchio continente e la sua stessa economia, attraverso il prolungamento della guerra in Ucraina, gettando discredito sul vecchio continente e cercando di delegittimarne ulteriormente la classe politica che la guida, di per sé già incapace di tutelare gli interessi dei suoi cittadini e delle sue imprese.

La crisi della manifattura tedesca, e in particolare dell’industria meccanica, è confermata non solo dai forti ridimensionamenti produttivi di VW e dalla flessione di tutti i principali marchi automobilistici, ma anche dalle vendite contenute delle auto elettrice soppiantante da quelle diesel. Infatti, “Solo 380.600 veicoli elettrici sono stati immatricolati di recente. Ciò corrisponde a un calo del 27,5% rispetto all’anno precedente”[7].

Siamo davanti a un insolito connubio tra sostenitori delle energie non rinnovabili, apparato industrial militare e settori attivi nella ricerca e produzione delle tecnologie duali, insieme alle multinazionali che controllano l’informazione, è questo l’insieme degli interessi che sostiene Trump.

I ritardi della Ue in campo tecnologico producono, da un lato la supremazia dei satelliti di Musk, ma anche il dominio di Usa e, soprattutto, della Cina nella produzione delle auto elettriche, relegandoci in una posizione sempre più marginale in questo strategico comparto.

A fine 2024 le auto elettriche in circolazione in Germania erano solo 1,4 milioni, a fronte di un obiettivo, entro il 2030, di 15 milioni di auto elettriche, traguardo ormai, allo stato attuale, impossibile di fatto da raggiungere

Tornando alle elezioni tedesche, dall’ultimo sondaggio pubblicato[8] si evince il probabile vincitore relativo, ossia la conservatrice CDU/CSU in testa nei sondaggi (31%), mentre crollano i 3 partiti dell’attuale coalizione di governo, i verdi al 13% e la Spd al 15%, mentre i liberali sprofondano al 4%, addirittura sotto la soglia di sbarramento. Nella crisi economica e sociale continua ad avanzare la AfD, definita da Musk “l’ultima speranza della Germania”, salita grazie anche a tale endorsement al 22%. Male se la passa La Linke scesa al 3,5%, anch’essa fuori dal Bundestag, mentre BSW, dopo l’exploit delle regionali nei Lander orientali di Turingia e Sassonia, si assesta su un ben più modesto 6,5%. A conferma che una cosa sono i proclami dall’opposizione, e altro è tradurre in azione politica il consenso elettorale. Operazione che nella fattispecie ha portato in Turingia la forza sovranista di sinistra ad una coalizione di governo spuria con le due tradizionali forze dell’establishment politico tedesco, CDU e Spd, probabilmente non gradita al suo elettorato. 

Non un debutto politico dei migliori per la Coalizione di Sara Wagenknecht, formazione recentemente formatasi a gennaio ‘24 da una scissione da La Linke.

Ad aggravare la crisi e il malcontento sociale sono anche le spese militari renane che, in costante crescita, drenano preziose risorse pubbliche. Malessere profondo ancora non ben percepito dal governo di Berlino che poche settimane or sono ha deciso di istituire una nuova divisione militare dedicata alla difesa del territorio, portando acqua all’estrema destra che si oppone, al pari di BSW, alla continuazione della guerra in Ucraina con le sue ingenti spese, alla quale la Germania ha contribuito, in base ai dati del Kiel Institute[9], per ben 15,692 miliardi di euro, seconda per entità totale solo dietro agli Usa, in testa con 88,334 miliardi di euro.

E mentre l’economia affonda, le esportazioni di armi vanno invece a gonfie vele con l’industria bellica tedesca che sta acquisendo partnership con analoghe aziende vari paesi, soprattutto quelle con maggiore tasso tecnologico, anche israeliane[10].

La crisi tedesca si riflette inevitabilmente in pesanti condizioni sociali, con perdita di posti di lavoro e  crescita dei disoccupati[11] e con ulteriori prospettive di aggravamento, vista la previsione di un sensibile aumento di fallimenti aziendali a livello record per l’anno appena iniziato. Insolvenze che andrebbero ad insistere soprattutto nel settore dell’indotto dell’industria automobilistica[12], vero architrave del sistema produttivo teutonico.

Ricomponendo il quadro generale, sia dal punto economico e sociale che politico, sembra delinearsi una pericolosa prospettiva che riporta alla mente la crisi strutturale che attanagliò la repubblica di Weimair dopo la prima guerra mondiale e che sfociò nell’ascesa alla Cancelleria di Berlino da parte di Adolf Hitler nel 1933 per via elettorale.

Sarebbe paradossale che le forze dell’establishment politico tedesco CDU in testa, insieme ai vertici della Commissione Europea guidata da Ursula Von der Leyen anch’essa della CDU, dopo aver provocato il disastro sopradescritto favorendo l’ascesa di AfD e invocato fino ad oggi il cordone sanitario democratico contro tale partito, alla luce del risultato delle elezioni di febbraio si accordino con l’estrema destra riportandola alla Cancelleria di Berlino, sdoganandola definitivamente.

La storia è maestra di vita, affermavano i latini, ma evidentemente deve avere dei pessimi allievi.



[1] https://codice-rosso.net/economia-di-guerra-oggi-parte-xiv/

[2] https://www.quattroruote.it/news/industria-finanza/2025/01/15/calo_produzione_auto_italia_.html

[3] https://www.ilsole24ore.com/art/che-2025-sara-pronostici-110-esperti-bene-finanza-male-crescita-e-industria-metalmeccanica-AG6GgDLC

[6] https://www.ilnordest.it/economia/export-e-manifatturiero-flettono-allarme-crescita-per-il-veneto-wdyjs2wn

https://www.romagna.camcom.it/news/news/425/il-punto-sull-economia-della-romagna-forl-cesena-e-rimini-a-fine-2024

https://www.ucer.camcom.it/api/studi-e-statistica/news/2024/congiuntura-industriale-2024t2/documenti-allegati/cs_nr_39_2024_congiuntura-er_unioncamere-er-confindustria-er-intesa-sp_15-ottobre-2024.pdf

https://cremonasera.it/cronaca/lombardia-nel-2024-pesa-il-calo-delle-esportazioni-con-stati-uniti-francia-germania-e-cina-cna-lombardia-serve-politica-di-fronte-alle-incognite-geopolitiche-per-tutelare-le-imprese-artigiane

[8]https://scenarieconomici.it/germania-si-riduce-il-distacco-fra-cdu-e-afd-giu-spd-e-verdi/

[9] https://www.ifw-kiel.de/topics/war-against-ukraine/ukraine-support-tracker/?gsid=8d137f04-cc22-4bc6-960b-1e2ffb3f6e4d&cHash=9a59b5eb4776673291649e78ee0a0f7c

[12] https://scenarieconomici.it/germania-il-2025-sara-lanno-boom-dei-fallimenti/

Commenti