Campane a lutto per il sindacato: il nuovo accordo contrattuale

Un anno e  mezzo , tanto è durata la trattativa tra Confindustria e Cgil Cisl Uil sui modelli contrattuali siglata alla viglia delle elezioni politiche.

Democrazia inesistente a  rispecchiare  le stesse finalità di questo accordo che di democratico, nel senso di riconoscere la prima e l'ultima parola ai lavoratori e alle lavoratrici, non ha niente.
 Lealtà e fiducia sono riconosciuti dal Confindustriale Vincenzo Boccia ai veriici di Cgil Cisl Uil, peccato che questi valori non abbiano validità alcuna rispetto ai lavoratori chiamati nel pubblico impiego a sostenere piattaforme contrattuali che rivendicavano 85 euro di aumenti al mesi salvo poi trovarsene 40 o poco piu' in busta paga e con lo spauracchio di perdere, dal 1 Gennaio 2019,  anche quella ventina di euro in piu' al mese sanciti dall'elemento perequativo (non pensionabile) valido da Marzo a Dicembre 2018.

Leali con i padroni tanto da riscuotere il loro pubblico apprezzamento ma assai poco affidabili per la classe lavoratrice, questa è la fotografia del sindacalismo complice.

Per un anno e mezzo abbiamo denunciato i tentativi di limitare ulteriormente l'esercizio dello sciopero, i contratti costruiti con lo scambio diseguale tra bonus e aumenti in busta paga, per mesi ci siamo accorti che i tagli al welfare e alla spesa pubblica non erano solo il risultato dei diktat europei ma anche l'amaro frutto di una contrattazione oscura e misteriosa che ormai aveva rinunciato alla salvaguardia dello stato sociale per tutelare invece i fondi previdenziali (cogestiti dai sindacati), il business dei patronati e dei caf (ricorderete la sparata di qualche anno da di Renzi che voleva ridimensionarne il potere).

E' stato firmato da poche ore l’accordo sulla contrattazione e sulle relazioni industriali,  un accordo che tratta anche di altro, dalla rappresentanza al welfare, dalla sicurezza ai tempi di vita \lavoro, un accordo in perfetta continuità con l'intesa sulla rappresentanza (valida solo per il privato) siglata nel Gennaio 2014 .
Non è piu' tempo di intese separate dicono in Confindustria, il sindacato complice deve essere unito nella difesa di modelli contrattuali rispondenti ai dettami padronali.

 Una intesa sottoscritta con attestati di stima ai sindacati complici, alla loro  ragiovevolezza e responsabilità  in "un momento così delicato della vita del paese". Ma di delicato vediamo ben poco se non la miseria che attanaglia ormai anche il ceto medio, la forbice salariale  si allarga sempre piu', il reddito familiare è inadeguato a fronteggiare la reale perdita di potere di acquisto, i nuovi posti di lavoro sono per lo piu' sottopagati e a tempo.

Per capire il significato di questo accordo, la sua reale finalità ed essenza, è bene leggere anche le dichiarazioni dei padroni che annunciano la fine della stagione del conflitto per far strada al confronto, alle sfide comuni da raccogliere . Le stesse parole sono state usate quando, alla fine degli anni settanta, sono stati espulsi dalla Fiat e da altre aziende migliaia di operai, anche allora si chiedevano sacrifici invocando la collaborazione del sindacato per cogestire i processi di ristrutturazione.

Allora, ma fin dalla svolta dell'Eur nella seconda metà dei settanta, il sindacato fu guardiano degli operai piu' ribelli e riluttanti a subire le decisioni padronali, oggi il sindacato diventa direttamente complice e cogestore di questi processi , un patner decisamente piu' affidabile per i padroni di quanto lo siano i vari partiti che dovranno rispondere presto delle loro promesse elettorali e potrebbero essere costretti ad aumentare la spesa pubblica o  assumere decisioni un po' diverse da quelle tanto agognate in casa confindustriale.

I sindacati sono determinanti per affermare gli interessi padronali, i corpi intermedi siano strumento di controllo della forza popolare e in cambio venga loro concesso qualche business (caf, patronati, previdenza integrativa) e il monopolio della contrattazione. Se un giorno i lavoratori e le lavoratrici si ribelleranno a queste imposizioni, dubitiamo potranno discernere tra i sindacati complici e quanti , pur in minoranza, non hanno fatto un passo indietro mantenendo coerenza e radicalità . Ma la ipotesi piu' reale è che siano i padroni a dare il benservito ai sindacati complici in accordo con il sistema politico, magari tra diversi anni, sicuramente quando gli interessi del capitale avranno preso altre direzioni.

Il qualunquismo becero e populista del "sono tutti uguali" potrebbe un giorno non volere discernere tra sindacati complici e conflittuali, tra chi ha sottoscritto infami accordi e quanti invece li hanno avversati anche a costo di perdere iscritti e spazi di contrattazione. A quel punto, magari, i sindacati non serviranno piu' e da affidabili, o proni, patner passeranno ad essere presenti ingombranti da rimuovere o saranno messi fuori legge i sindacati di base e conflittuali perchè nel frattempo gli spazi di democrazia saranno stati ulteriormente contratti. Sono scenari non di fantasia? No , basta leggere un po' di storia.
  Mentre ogni giorno percepiamo che l'Euro e le regole di Bruxelles sono alla base della mancata riduzione dell'età pensionabile e dell'orario settimanale di lavoro, qualcuno continua a predicare maggiore integrazione Ue, la centralità della questione industriale intesa non come creazione di posti di lavoro ma degli interessi di impresa. Crescita e competività non necessariamente portano alla creazione di posti di lavoro, la nuova occupazione determinerà anche la cancellazione di tanti, assai piu' numerosi, posti per non parlare poi dei processi di ristrutturazione dei quali Industria 4.0 ha sempre piu' bisogno

.Un modello contrattuale “flessibile” è quello piu' indicato per favorire la crescita della produttività collegando le retribuzioni ai risultati di impresa e alla ormai dominante performance che nel pubblico impiego ha diviso i lavoratori senza portare effettivi benefici ai servizi. Non siamo in presenza dello smantellamento del contratto  ma ad un suo progressivo svuotamento, esso rimane come elemento guida per decidere i  trattamenti economici e normativi ma numerose materie saranno demandate alla contrattazione di secondo livello costruita ad arte per contenere le dinamiche salarili e rivendicative, per piegare gli aumenti salariali agli obiettivi aziendali e alla crescita dei profitti per altro mai evocati e sapientemente sostituiti da concetti "neutri" quali "produttività aziendale, qualità, efficienza, redditività" .

  Il contratto nazionale si limiterà a stabilire il trattamento economico complessivo (Tec), ossia i minimi tabellari e le varie voci che poi saranno gli scatti di anzianità (in molti contratti scomparsi\ridimensionati) , la miseria (una decina di euro al mese) dell'elemento  distinto della retribuzione frutto degli infami accordi del 1992\3.

Il contratto nazionale prevede quindi i minimi tabellari anche in base all’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi Ue (depurato dei prezzi dei beni energetici importati) ma  sarà proprio l'andamento dell'Ipca a far decidere i padroni se e quando distribuire gli aumenti ovviamente con tanto di accordo sindacale. Sta anche qui il concetto di flessibilità, ogni aumento è legato alle sorti dell'azienda e dell'economia , se nel frattempo il potere di acquisto aumento non potrai che attendere . La parte variabile della distribuzione diventa cosi' sempre piu' forte e la variabilità diventa fattore discriminante e di disuguaglianza, di frantumazione di ogni rivendicazione comune.

Da tenere in seria considerazione è poi il capitolo del “welfare”: da anni la sanità, la istruzione e complessivamente lo stato sociale subiscono tagli , ebbene questo accordo stabilisce la insostituibilità del welfare aziendale e integrativo proprio per favorire il ridimensionamento del welfare universale . Chi ha distrutto la democrazia nei luoghi di lavoro e piegato la rappresentanza alle compatibilità padronali potrà presto dire di avere raggiunto un altro obiettivo:tagliare il welfare e ridurre la spesa pubblica. Bruxelles e Confindustria non possono che essere soddisfatte del risultato raggiunto, i lavoratori  e le lavoratrici, al contrario, assai meno.

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