La missione italiana in Niger si insabbia prima di partire
Avevamo
già denunciato a fine anno
(http://www.lotta-continua.it/index.php?option=com_easyblog&view=entry&id=124&Itemid=101)
i rischi della missione militare italiana in Niger individuandone le
non indifferenti criticità. Provammo ad entrare nel merito
dell'intervento stesso, apparso sin dall'inizio agli analisti di
questioni militari incongruente rispetto al fine di bloccare i flussi
migratori a sud del confine libico ma, ne evidenziammo anche
l'inadeguato iter legislativo, in quanto approvata dal governo il 27
dicembre a poche ore dal decreto presidenziale di scioglimento del
parlamento e convertita in legge con ampia maggioranza bipartisan
alla Camera (ormai sciolta) il 17 gennaio. Una missione che dovrebbe
portare in Niger 140 soldati entro giugno per poi raggiungere a pieno
regime le 470 unità con una spesa per le casse dello stato di 50
milioni di euro annui.
La
spedizione presentata dal governo italiano come frutto di una precisa
richiesta avanzata da Niamey con
finalità di addestramento delle truppe nigerine, da inizio marzo sta
invece creando imbarazzo crescente al governo Gentiloni. Il Niger
infatti bloccando i primi 40 tecnici inviati in pratica si rifiuta di
accogliere il contingente italiano. Una situazione geopolitica e
diplomatica che si va complicando sin dalla fase preparatoria e che,
come da noi ventilato, allunga un'ombra inquietante sull'intera
operazione progettata forse con una certa superficialità dal governo
italiano e dai vertici delle Forze Armate, non valutando
adeguatamente sia i rischi operativi che le implicazioni geopolitiche
dettate dalla consolidata presenza francese nella macroregione. Nel
tentativo di comprendere le dinamiche geopolitiche ed i retroscena
diplomatici prendiamo in considerazione i passaggi più significativi
dell'articolo dell'analista esperto di questioni militari Gianandrea
Gaiani uscito il 13 marzo sul sito specializzato www.analisidifesa.it
dall'eloquente titolo "Niger, il pasticcio della missione
italiana"1.
Nella
su analisi Gaiani rivela che le prime avvisaglie iniziarono
manifestarsi già "a
gennaio quando Radio France Internationale aveva diffuso le
dichiarazioni di un anonimo funzionario nigerino che negava
l’esistenza di un accordo per l’invio di truppe italiane a
Niamey. Dichiarazioni commentate negli ambienti governativi romani
come indicatori dell’insofferenza di Parigi per l’intraprendenza
di Roma nella sua ex colonia. Il 9 marzo il ministro dell’Interno
nigerino Mohamed Bazoum ha però rincarato la dose in
un’intervista a Rainews 24 in
cui ha riferito che non ci sono mai stati contatti tra Roma e Niamey
per schierare truppe italiane in Niger e ha affermato di aver appreso
la notizia dai media. Il ministro nigerino, politico di spicco
considerato da molti il prossimo premier, ha fatto riferimento alla
presenza militare francese e statunitense in Niger precisando che è
in atto “una verifica dei rapporti con questi partner” ma
aggiungendo che il suo governo “non è oggi nello stato d’animo
per prendere in considerazione rapporti di questo genere con altri
partner come l’Italia”. Frasi che sembrerebbero chiudere ogni
spiraglio ma Bazoum ha aggiunto che “se dobbiamo avere una
relazione militare con l’Italia sarebbe nel quadro di una missione
di esperti che consenta di rafforzare le capacità del nostro
esercito, quindi non una missione che preveda la presenza di militari
italiani con una vocazione di tipo operativo. Mi sembra difficile –
ha concluso Bazoum – che possiamo esprimere una necessità
dell’ordine di 400 militari italiani come è stato annunciato dai
media, non mi sembra proprio concepibile”.
Evidente
la contraddizione nelle affermazioni di Bazoum che prima nega
addirittura che la missione italiana sia mai stata discussa col suo
governo ma poi apre a un tipo di intervento militare italiano che è
in linea con quello approvato in gennaio dal parlamento e che
dovrebbe svilupparsi entro il prossimo giugno. Cioè 140 militari
senza compiti operativi ma solo di addestramento per potenziare le
forze locali.
Le
fonti citate dall’Ansa hanno sottolineato che in Niger “sono già
presenti una quarantina di militari italiani, un nucleo di
ricognizione e collegamento, che da tempo hanno preso contatto con le
autorità locali e stanno preparando il terreno alla missione”. Se
militari italiani sono già a Niamey come può il ministro Bazoum
negare che vi sua un accordo bilaterale per dare il via alla
missione? Le fonti italiane hanno poi aggiunto che “il primo modulo
addestrativo di un centinaio di uomini è previsto che raggiunga il
Niger a giugno: noi siamo pronti ma per schierare i militari sul
campo aspettiamo ovviamente il via libera del governo nigerino”.
Tutto come preannunciato nelle due lettere citate dal ministro della
Difesa, Roberta Pinotti e firmate dal suo omologo nigerino Kalla
Moutari, in cui si chiede formalmente a Roma cooperazione per
l’addestramento e il controllo dei confini del Niger.
Per
valutare il senso delle dichiarazioni giunte da Niamey che hanno il
chiaro obiettivo di ostacolare l’avvio della missione italiana
occorre prendere in esame alcune ipotesi. Da un lato non si può
escludere che a motivare le contraddittorie dichiarazioni di Bazoum
(ministro che non è mai stato accondiscendente con la Francia)
abbiano influito le critiche sempre più accese emerse nella politica
e nella società nigerine per la crescente presenza militare
straniera. Dall’altro è inevitabile prendere in esame le
resistenze francesi all’arrivo dei militari italiani non solo
perché Roma “sconfina” nell’area africana sotto influenza di
Parigi ma anche perchè i militari italiani stanno realizzando la
loro base a Niamey accanto a quella statunitense, non a quella
francese o a quella tedesca in fase di ultimazione.
L’impressione
è quindi che l’Italia non porrà i suoi militari sotto il comando
francese che peraltro aveva espresso apprezzamento per l’arrivo di
truppe italiane ma chiedeva che queste combattessero i jihadisti al
loro fianco e alle dipendenze dell’Operation Barkhane. Del resto la
rinuncia ad assumere ruoli di combattimento (caratteristica che ormai
accomuna tutti gli impegni militari italiani oltremare) contribuisce
a rendere anche questa missione del tutto marginale sia per i
nigerini sia per gli alleati francesi e statunitensi. In ultima
analisi le dichiarazioni degli esponenti governativi nigerini
risultano funzionali alla volontà francese di indurre il prossimo
governo italiano a desistere dall’inviare truppe a Niamey".
A
quanto rileva Gaiani siamo quindi in presenza di una situazione
delicata e ancora in fase di stallo come ha ammesso il ministro degli
esteri Alfano in una conferenza stampa il 15 marzo2:
Il progetto di missione italiana in
Niger è stato autorizzato dal parlamento e, “per qualsiasi
ulteriore sviluppo e decisione”, occorre attendere il consenso
“necessario” delle autorità di Niamey. "Tale progetto di
missione”, ha aggiunto, “è al vaglio delle autorità nigerine,
il cui consenso è necessario per qualsiasi ulteriore sviluppo e
decisione”.
Sembrerebbe
dunque un bel pasticcio davvero: i nostri militari andrebbero in
Niger, senza combattere, mal tollerati sia dagli 'alleati' francesi
che dalla popolazione e dal governo locale. La finalità sbandierata
in origine, del contrasto dei flussi migratori transahariani, sta
dunque perdendo sempre più consistenza, vista anche la netta
riduzione degli sbarchi registrata da inizio anno (dal 1 gennaio al
28 marzo 2018 addirittura -80,38% rispetto allo stesso
periodo del 20173),
lasciando progressivamente emergere il reale obiettivo: la strategia
di penetrazione della principale
multinazionale italiana, l'Eni, all'interno di un'area, quella del
Sahel, ricca di risorse (uranio, oro, argento fosfati, ferro, sale
ecc) ma fino ad oggi zona di influenza esclusiva francese.
Va
dunque delineandosi un ulteriore terreno di scontro fra gli interessi
economici di due potenze neocoloniali (una consolidata - la Francia -
e l'altra con velleità espansive - l'Italia) che, iniziato nel
gennaio 2011 con l'appoggio italiano alla Primavera araba tunisina
che scalzò il filo francese Ben Alì, e proseguito in Libia con
l'intervento militare Nato, guidato dalla Francia di Sarkozy che ha
abbattuto il nostro 'alleato' Gheddafi, va ora ampliando il proprio
raggio dalle coste del mediterraneo all'area Subsahariana.
Le
missioni militari all'estero ancora una volta risultano funzionali
alle politiche di sfruttamento delle risorse dei paesi del Sud del
mondo, che benché presentate sotto mentite spoglie nel tentativo di
camuffarne l'essenza all'opinione pubblica nazionale, rischiano di
trasformarsi in un clamoroso boomerang, non solo di immagine, alla
luce dei rischi e dei contrasti che presenta. Considerando che si
tratta dell'area meno sviluppata, sia dal punto di vista economico
che da quello sociale, della Terra e alla quale dietro agli
altisonanti progetti di aiuti allo sviluppo dei vertici comunitari e
dei governi delle potenze europee, si scopre che sia il Fondo
per l'Africa stanziato dall'Italia
ad inizio 20174
(200 milioni di euro) che il Fondo Fiduciario
d’Emergenza dell’UE per l’Africa
istituito dall'Ue nel 2015 (3 miliardi di euro) vengono utilizzati in
modo secondo il parere
di ActionAid - "da
creare problemi di costituzionalità e di possibile violazione di
norme europee e internazionali, oltre a questioni di tipo politico e
di trasparenza".
Fra
le varie fonti riportiamo un estratto dell'indagine della ONG
Global Health Advocates in base
alla quale gli europei "privilegiano soluzioni
rapide a problematiche nazionali europee, senza un reale
coinvolgimento dei governi locali e della società civile in
Africa... Usando i soldi
degli aiuti allo sviluppo come merce di scambio per forzare la
collaborazione dei paesi africani sulle questioni migratorie, l’UE
sta macchiando la propria immagine di attore di primo piano delle
politiche di cooperazione e sviluppo... Ancora
più preoccupante è il fatto che alcuni paesi hanno per queste
ragioni aumentato il proprio bilancio per la sicurezza e la difesa, a
discapito di investimenti in settori chiave come istruzione e
salute”.
E'
il modello di cooperazione 2.0: da un lato si promettono aiuti per lo
sviluppo che poi vengono destinati a progetti finalizzati
all'immediato contrasto dei flussi migratori, dall'altro si inviano i
contingenti militari ad aprire la strada all'arrivo delle
multinazionali per aumentare ulteriormente il processo di saccheggio
delle risorse in atto ormai da decenni. Con queste strategie gli
illuminati governi europei credono realmente di promuovere lo
sviluppo dei paesi africani oppure le stesse rappresentano un
ulteriore capitolo dell'indegna storia dello sfruttamento europeo del
Continente nero?
Giga
- Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
1http://www.analisidifesa.it/2018/03/niger-il-pasticcio-della-missione-italiana/
2http://www.askanews.it/esteri/2018/03/15/alfano-in-attesa-consenso-di-niamey-per-missione-italia-in-niger-pn_20180315_00275/
3http://www.interno.gov.it/sites/default/files/cruscotto_statistico_giornaliero_27-03-2018.pdf
4http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/12/18/news/fondo_africa-184514509/
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