Sul Festival di Sanremo 2021

 Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Sul Festival di Sanremo 2021

 

 Diverse volte, nel passato, dicevo ai miei studenti di guardare almeno una serata del festival di Sanremo. Per me è sempre stato lo specchio dell’Italia, in quel frangente di tempo. Almeno dell’Italia di superficie, di quella che appare, o appariva, sui rotocalchi, giornali quotidiani, televisione, nei film. L’Italia con il cuore in mano che piange ad ogni storia romantica o drammatica raccontata dal video. Ora si sono aggiunti i social, ma la sostanza non cambia. Sanremo come specchio del Paese, di un tipo di Paese, verso cui produce inezie sulle quali discutere, ed infatti si montano anche spettacoli di discussione attorno e subito dopo il Festival. 

Negli anni della contestazione studentesca ecco che su quel palco si esibivano i complessi rock, nelle situazioni successive strappi alla morale, e qualcuno faceva intravvederele mutande che spuntavano da gonne abbassate. Duetti strappalacrime, tra parenti anche qualcuno che voleva suicidarsi in diretta ed ecco che il presentatore di turno arrivava a salvarlo. Non faccio nomi perché me la voglio prendere con il sistema Sanremo, poco interessa chi siano i singoli. Questo contenitore serviva come spinta a consumi che poi venivano pagati da chi comprava dischi, abiti, giornali ed immaginario della bella vita. Oltre naturalmente che pagare i biglietti per entrare a teatro ed applaudire, dietro ordini di scuderia delle case discografiche, il cantante di turno che già prima che fosse tutto finito già si sapeva che avrebbe vinto. Quindi non importa sapere chi vincerà o perderà. Ed io scrivo proprio in assenza di tale risultato finale. Aggiungiamo poi una cittadina che per circa una settimana viveva di quell’evento: alberghi, ristoranti, il Casinò, negozi vari. È necessario perciò soffermarsi sull’importanza, capire l’importanza, dello specchio di un Paese, di una interpretazione dell’Italia. Stavolta però non si è capito, o forse non lo si è voluto capire, la differenza tra questa edizione, quest’anno, e le altre. Sono 71 anni che si svolge tale competizione. Sarebbe stato meglio chiuderla lì l’anno scorso. Settant’anni sono già una bella età. Ed averla superata, così bellamente, proprio in queste condizioni di disastro nazionale ed internazionale non porterà nulla di buono, al Festival stesso, alla prosecuzione della sua esistenza. Già sui siti più disparati si analizza il look di questo o quel cantante, di questa o quella donna che mostra le sue grazie e di uomini che si travestono. Ma per quale motivo, a che pro? Gli abiti di lusso indossati spesso da sottoproletari che cercano la via per arrivare al paradiso del successo – soldi, soldi, soldi –e che fanno di tutto per giungervi. Ma quegli abiti, quelle colorazioni di trucco, quella spinta al consumo, ora e per molto tempo ancora, è chiusa. Non vi sono infatti attività sociali, incontri, luoghi, dove potere esporre l’abito visto in televisione, quindi perché comprarlo? La grande moda, il lusso arranca, e perciò a chi interessa se il cantate X si veste Armani o Versace o… Ed ancora. Le spinte verso lo scandalo – parti di corpi esposti, baci tra umani dello stesso genere, piccoli spettacolini dirompenti – quando e come replicarli e/o dove andarli a vedere? Tutto fermo. Perciò poco serve che in quelle serate qualcuno ci provi a stupire. Non è possibile consumare e/o godere di alcun gesto teatrale – da non confondersi con produzioni artistiche di alcun tipo. È evidente che non si può parlare in nessun modo di arte essendo assente in ogni aspetto di questo pseudo spettacolo un minimo alito di intelligenza (è troppo paragonare, le stalle con le stelle, a Bansky e ad ogni suo gesto, questo sì artistico?). 

Il mondo di sotto, sottoproletario, all’assalto del cielo si sgonfia dopo le cinque- serate[1]cinque della kermesse televisiva. Piena di slogan e di pubblicità, per ora poco utile, se non teniamo in considerazione compagnie telefoniche e poco altro che possiamo consumare dalle nostre case. 

Poco allora si capisce perché lo abbiano voluto fare ad ogni costo questo Sanremo? Non potevano spostarlo? Farlo saltare per un anno? Non potevano, magari questo è troppo chiederlo ai vertici RAI, proprio per questa situazione ripensare al programma ed inventarsi qualcosa di più in linea con questi tempi di morte e sofferenza? E se si voleva proprio creare un senso di leggerezza, a parte il bicarbonato, si poteva ricorrere ad altro. 

Lo specchio del Paese si rivela perciò vuoto, come la platea dell’Ariston, teatro sanremese dove si svolge il nulla. In sala nessuno, così come la nostra vita sociale ora, che tende al distanziamento tra gli umani. 

L’impossibilità di essere qualcosa di normale, data la pandemia e dato soprattutto la sua gestione. Un Festival inutile così come è inutile il dibattito e le capacità politiche di questo Parlamento per la nostra già caduca vita. Basterebbe seguire la telenovela di quello che sta accadendo ai partiti quali il PD, i 5stelle, Leu, mentre un’altra parte si frega le mani, il centro destra, perché intravvede la possibilità, a medio termine, di governare il Paese e dimostrare così ancora una volta la propria incapacità a farlo. Insomma, un vuoto, un’assenza totale di capacità, così come quella platea all’Ariston dimostra. 

Avevo quindi ben ragione di consigliare agli studenti di guardare anche una sola sera del Festival, basterebbe in effetti anche solo una parte di una serata, per farsi un’idea di cosa sia Sanremo, il Paese e l’ovvietà della superficie culturale degradata e della politica degradata dell’Italia.

Tiziano Tussi

Commenti