Non ci resta che il conflitto

 

Le nostre pubblicazioni non sono mai andate in ferie, il Blog è rimasto attivo e aggiornato anche nelle settimane estive perchè non volevamo sospendere un lavoro informativo sempre indispensabile per confutare i luoghi comuni di una propaganda che vuole renderci passivi e ignari di quanto accade in Italia e nel resto del mondo. 



Anche in molte realtà sociali, sindacali e politiche conflittuali non è stata percepita la grande pericolosità del decreto 1660 con un pacchetto di norme che  andrà a colpire le agibilità collettive, gli spazi di libertà e di democrazia partecipativa, perfino il diritto al conflitto. Non potevamo certo tacere su questo tema...

Quanto avvenuto in Germania con le elezioni regionali in due lander dell’est non è un incidente di percorso ma il segnale che i vecchi equilibri politici sono destinati a saltare proprio con la guerra in Ucraina.

La Germania, per il secondo anno consecutivo, sarà in fase recessiva, la più grande azienda metalmeccanica renana annuncia la chiusura di siti produttivi nel paese e migliaia di licenziamenti mentre il sindacato IG metal pensa di fermare questi processi rievocando un vecchio accordo che, in tempi di crescita economica, rinviava di qualche anno i tagli occupazionali.

Il benessere economico e sociale renano costruito con l’unificazione post 1989, tra bassi salari e regole di austerità, tra delocalizzazioni produttive ove il costo del lavoro era più basso, tra approvigionamento a basso costo dei prodotti energetici dalla Russia e un welfare ancora in grado di erogare servizi, è ormai un lontano ricordo.

E la scelta scellerata della Ue di sostenere la guerra Nato in Ucraina e i progetti di riarmo non fanno che alimentare paura e disagi sociali favorendo l’ascesa di gruppi di destra xenofobi e sostanzialmente legati ad una visione dell’economia neo liberista.

Urge abbandonare gli schemi del neoliberalismo, senza cedere tuttavia alle sirene di politiche anti immigrati o per riproporre schemi di lettura eurocentrici, bisogna comprendere la situazione per operare nella realtà odierna in termini conflittuali, dobbiamo quindi mettere in pratica la lezione di Gramsci sul fascismo per non ripetere gli stessi errori del passato senza lasciarci fuorviare dalle sterili sirene di quella sinistra, ormai moderata e fautrice di politiche sociali devastanti, che in mancanza di idee ci accusa di rossobrunismo. Al contempo ci sembra una grossolana semplificazione l'idea che con il mondo multipolare diventano nostri amici e alleati tutti i critici del liberalismo di sinistra.

La situazione in Italia non è certo migliore, basti ricordare che il Governo di destra è oggi tra i principali alleati di Israele e dell’Ucraina.

La crisi economica attanaglia anche il nostro paese e il Governo sta disattendendo tutti gli impegni assunti con l’elettorato ad esempio va rafforzando la Legge Fornero per allungare gli anni lavorativi.

 Nei primi sei mesi del 2024, le pensioni anticipate sono state meno di 100 mila e solo 27.962 riguardano lavoratori e lavoratrici con età di poco inferiore ai 60 anni che in percentuale rappresentano poco più di un quarto del totale dei pensionati.

Stiamo parlando dei lavoratori precoci e crediamo possibile un intervento ristrettivo, anche nell’immediato futuro, per ridurre la platea, e i benefici, degli aventi diritto. Ebbene questo diritto presto verrà rimesso in discussione e per la Pubblica amministrazione stanno pensando di ritardare l’età della pensione su base volontaria. Ma davanti a pensioni da fame che presto corrisponderanno al 60% dell’ultima busta paga, restare a lavoro fino a 70 anni diventerà una mera necessità

Nel novero delle politiche di stampa populista e liberista il motto di ridurre la pressione fiscale si ripercuoterà negativamente sulle classi meno abbienti per favorire chi in teoria avrebbe potere di acquisto sufficiente per condurre una vita dignitosa. Se si vuole ampliare la platea dei beneficiari della riduzione delle tasse alla fine a pagare sarà il nostro welfare da cui dipende la sopravvivenza dei ceti medio bassi e questa operazione alla fine determinerà il potenziamento di sanità e previdenza integrativa mantenendo per altro i salari al di sotto del potere di acquisto.

L’anno in corso si chiuderà con aumenti rilevati di infortuni, morti sul lavoro e malattie professionali, eppure il Governo pensa solo a ridurre i controlli a beneficio delle imprese e lo ha fatto con interventi legislativi in piena estate

Per la Meloni l’Italia è in piena ripresa ma a leggere i dati si capisce ben altro o meglio possiamo confutare questi luoghi comuni di un Esecutivo attento al lavoro e alle classi sociali meno abbienti, del resto fornire dati parziali è la sola arma che resta in assenza di argomentazioni. Cresce in realtà non l’occupazione stabile ma quella precaria, aumentano le partite iva che raggiungono 5 milioni 233mila perché beneficiano di un regime fiscale assolutamente favorevole, diminuiscono le ore lavorate, calano i dipendenti  con un lavoro stabile e non part time e a tempo determinato. Per non essere smentiti citeremo direttamente l'Istat:

Su base mensile, il tasso di occupazione e quello di inattività aumentano, raggiungendo il 62,3% e il 33,3% rispettivamente, mentre il tasso di disoccupazione scende al 6,5%, diminuiscono anche le ore complessivamente lavorate con il dominio imperante del part time

Ma per essere dichiarati occupati sono sufficienti poche ore all’anno, da qui ad ipotizzare aumenti occupazionali corre grande differenza

E chiudiamo su un dato che merita la massima attenzione

Il numero di inattivi aumenta (+0,6%, pari a +73mila unità) tra gli uomini, le donne e i 25-49enni; diminuisce invece tra i 15-24enni e gli ultra cinquantenni. Il tasso di inattività sale al 33,3% (+0,2 punti).

Sono dati incontrovertibili della assenza di politiche del lavoro e di formazione, di percorsi di reinserimento lavorativo o di indirizzo per quanti non hanno specializzazioni da spendere nell’immediato.

Ci attende un autunno di manovre economiche lacrime e sangue, di sostegno incondizionato alle guerre e alle politiche di guerre.

E compito nostro attrezzarci per far crescere il conflitto sociale e politico, dai luoghi di lavoro ad ogni altro ambito della società

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