Pace: creatività e nonviolenza. Per trascendere le gravi minacce contro l'umanità.
di
LAURA TUSSI
Le teorie della violenza strutturale
spaziano dall'analisi dell'attività militare che trova la sua massima
espressione nell'escalation nucleare fino alle condizioni di incancrenita
sperequazione economica. Fino alle certezze scientifiche della mancanza di salvaguardia
del pianeta per i cambiamenti climatici dovuti a errori e trasgressioni di
carattere antropico e alla vergogna parossistica delle conseguenze delle
migrazioni forzate; alla constatazione crudele della violenza di genere e dei
più fragili dell'umanità anche con gli omicidi di lavoratori e operai per
mancanza di tutele, ossia 'fascismo aziendale'.
Dal conflitto educativo e pedagogico
all'aggressività bellica e all'apocalisse nucleare.
Le
possibili fasi di un conflitto, a livello violento, armato o educativo e quindi
pedagogico, si possono riassumere in vari modi.
Il riconoscimento del grande conflitto
atavico e irrisolto.
Un
conflitto è tale anche se non elaborato? E qual è il costo del riconoscimento
di un conflitto, nel quale magari sembri molto difficile trovare una
soluzione? Come l'attuale e sproporzionata guerra mediorientale tra Israele e
Palestina.
Il primo passo pone di fronte alla
difficoltà di riconoscere il conflitto e di assumerlo come alta e etica
responsabilità umana.
L'anestetizzazione
dei conflitti è la logica più seguita data la difficoltà di gestirli, ma
eludere in questo modo il corso della realtà non aiuta. I conflitti non risolti
interferiscono nella vita e nell'azione educativa riproponendosi sotto altre
forme non necessariamente migliori. Prendere atto del conflitto è invece
un'operazione di consapevolezza che restituisce dignità ai soggetti fautori
della guerra e del conflitto stesso.
Neve
Shalom Wahat al-Salam, la comunità israelo-palestinese fondata su dialogo e
convivenza...per "ricomporre l'infranto"
Come
ad esempio nella Scuola di Pace di Neve Shalom con l'educazione di figl3 di
vittime sia israeliane sia palestinesi per trascendere la conflittualità,
l'odio atavico, la violenza sproporzionata e generare armonia e condivisione.
La
risposta improntata alla violenza, nelle varie forme in cui si manifesta, che
trova la sua massima espressione nell'attività militare e il suo tragico
epilogo nell'ecatombe nucleare, come la guerra che è la massima espressione
dell'aggressività militaresca, rappresenta sempre una mancata elaborazione di
questa fase.
L'odio di regime con manifestazioni
di intolleranza, razzismo, xenofobia e di negazione dell'altro, con guerra
genocida.
Una
fase in cui la necessità di problematizzare la propria azione diventa un
antidoto efficace e senza reali alternative alle manifestazioni di intolleranza,
razzismo, xenofobia e di negazione dell'altro.
La comunicazione per trascendere la
violenza e la distruzione più oscura.
Comunicare
nel conflitto è segno della forza di chi sa gestire le tensioni tenendo ferma
la necessità di non demonizzare, di riconoscere nell'altro/altra potenzialità
non distruttive e nonviolente. La comunicazione nel conflitto armato tiene
ferma la necessità di risolverla insieme, di non umiliare e di non essere umiliati
ed è fondata sulla capacità empatica e sull'ascolto attivo della vittima e non
dal suo annientamento. Le ricerche sulla comunicazione compiute a partire dal
dopoguerra - fra cui quelle della Scuola di Palo Alto sono fra le più avanzate
- hanno portato alla luce tutte le difficoltà del comunicare correttamente, le
dinamiche dei giochi al limite del patogeno, le nevrosi che spesso nascondono
le difficoltà di ascoltare e capirsi, anche a livelli molto elevati di potere e
di comando.
La volontà di repressione del regime
di estrema potenza militaresca e bellicista imposta dall'odio viscerale.
Molte
di queste ricerche sono state sviluppate anche in ambito educativo, rivelando
un mondo sorprendentemente ambiguo sotto il profilo della comunicazione,
dominato, più che da istanze di chiarezza, da volontà di controllo e
dimostrazioni di potenza anche militarista e bellicista. Comunicare implica la
sospensione del giudizio, che è proprio il contrario del giudicare e del
muovere guerra. Implica entrare in relazione e cercare di incanalare
l'eventuale scontro, anche armato, su un terreno dove possa essere chiarito da
entrambe le parti.
La soluzione. La creatività ci può
salvare dall'Armageddon nucleare?
Principio
vincente di questa fase è la creatività - Cfr Resistenza e nonviolenza creativa,
Mimesis Edizioni di Laura Tussi,
Fabrizio Cracolici con contributi scritti di Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi,
Paolo Ferrero, Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Maurizio Acerbo ossia
l'invenzione che spezza il meccanismo di negazione reciproca - per esempio, tra
israeliani e palestinesi - per trovare nuove vie che implichino una
ridefinizione del rapporto in grado di suscitare il consenso reciproco. La
creatività non è rinuncia né debolezza, ma intelligenza e capacità di uscire
dalla ripetizione per vedere il problema sotto altre e nuove dimensioni. Le
soluzioni che garantiscono una soddisfazione reciproca possono offrire una
maggior durata nel tempo. Non sempre questo avviene e spesso la soluzione
apparentemente raggiunta è semplicemente l'imposizione molto violenta,
guerresca, di odio e distruzione di una delle parti.
Le teorie del conflitto. Il
suprematismo, il sovranismo, il razzismo, la xenofobia: fascismo.
Secondo
Galtung il concetto di pace connota una “pace negativa”, ossia
l’interpretazione di pace come assenza di guerra. Questa impostazione si limita
ad auspicare la semplice repressione di comportamenti violenti ritenuti insiti
nella natura biologica e sociale dell’uomo, ma non viene considerata la
possibilità che gli istinti aggressivi possano venire canalizzati e trasformati
in energia creativa e rinnovatrice.
Pace è utopia?
Bansk
vede la pace come ricerca di armonia, ordine, giustizia e risoluzione del
conflitto. Il concetto di pace quale raggiungimento di armonia è utopico perché
sono inevitabili i conflitti armati e collettivi e individuali nella società.
Come le molteplici guerre in atto in tutto il mondo a partire dalla guerra tra
Russia e Ucraina e Nato e Usa e Europa, che mina la sicurezza mondiale con il
rischio dell'escalation nucleare. Dunque il conflitto differisce dall’ordine
che invece determina la stabilità tramite cui il sistema sociale e politico
mantiene la difesa delle leggi.
L'educazione alla pace come
rigenerazione e creatività nelle relazioni umane e sociali e comunitarie.
L’educazione
alla pace considera la società come una rete di relazioni carica di energia
conflittuale che può rigenerarsi in energia creatrice. Il conflitto va inteso
come comportamento incompatibile tra le parti con interessi diversi, o anche
come patologia sociale, inevitabile nelle relazioni umane e sociali e comunitarie,
oppure può essere interpretato come dinamica di rivalutazione delle diversità
sociali.
Il conflitto macrosociale violentista
assoluto: la guerra e il genocidio.
Il
conflitto tra soggetti, e non a livello macrosociale e violentista come la
guerra, è fattore importante per lo sviluppo in quanto stimolo al cambiamento
individuale e sociale, perché l’interrelazione tra diversi strati della società
e le differenti culture è sempre più frequente, per cui subentra l’esigenza del
rispetto della diversità che confligge con il modello occidentale per cui tutti
i fenomeni sono soggettivi e le realtà sociali sono riconducibili a spiegazioni
logiche e razionali.
Le frustrazioni sociali della
conflittualità violentista fino al genocidio.
Dewey
ci fa capire come studiando i diversi campi del sapere si può dare risoluzione
ai problemi, come lo scontro tra civiltà, tra ciò che è ordine generale di
leggi e l’esperienza personale. Ogni individuo può esporre realtà diverse, pur
vivendo nello stesso mondo. Queste interpretazioni differenti del mondo causano
frustrazioni. Risulta inadeguato il modello cartesiano per l’interpretazione
dei fenomeni sociali, in quanto il conflitto viene considerato una stortura
della realtà che va condotta all’equilibrio, mentre diversamente deve essere
considerato l’ambiente ecosistematico, ossia il sistema sociale, quale ordine
di interconnessioni incrociate.
L'aggressività ostacolo alle
potenzialità creatrici e di sopravvivenza dell’individuo e della comunità e
popolazione.
Bateson
sostiene che non si possono studiare azioni fra le parti perché non osservabili
empiricamente. Il vincolo sociale o impegno o obbligo è legato al concetto di
sistema, relazione e autonomia, per cui la mancanza di vincoli può produrre
aggressività fine a se stessa e può essere di ostacolo alla potenzialità
creatrice e di sopravvivenza dell’individuo e della comunità o popolazione, ma
ha funzione stimolatrice di regole nuove. Morin sostiene che il concetto di
vincolo comunitario porta a considerare una socialità in cui il conflitto,
logicamente non armato, aiuta a guidare il singolo tra i sistemi viventi.
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