La storia al tempo dell'oggi Che cosa chiediamo alla storia

 

Francesco Benigno: La storia al tempo dell'oggi Che cosa chiediamo alla storia? ed Il Mulino

Abbiamo intervistato Tiziano Tussi per riflettere sul senso della storia

° L’Occidente è figlio della storia di stampo hegeliano. Spiegaci questa nozione di concezione della storia, di come abbia influenzato il marxismo.

 


Nelle lezioni berlinesi Hegel, poco prima di morire, 1831, traccia, tra l’altro, quello che per lui deve essere il percorso della storia.

 Potremmo anche dire il senso, la direzione, il significato recondito, la vita della storia. Ne esce una storia fatta da popoli e stati che trainati dagli individui cosmico-storici portano avanti, nel senso letterale del termine, la storia. Se la caricano addosso e le fanno fare un pezzo di strada verso la sua pienezza. Un esempio Hegel lo vede, realmente, in Napoleone Bonaparte. Qui siamo alla densità massima della storia. Per semplificare. 

La storia non è la sommatoria di bei sentimenti, quelli che Hegel stesso ha chiamato la “pappa del cuore”, non è un agone dove vige una purezza di spirito, ma il luogo dove lo spirito si indirizza verso di sé, che vuol dire il luogo dove si forzano le cose ad andare verso una loro pienezza spirituale. Anche se si calpestano i fiori del terreno, il risultato finale, che poi si trasforma in una tappa necessaria, ci fa assumere anche la distruzione come parte della storia. L’importante è che quella distruzione non permanga fine a sé stessa, che anch’essa riesca a farci fare passi ulteriori verso il fine che è la piena coscienza di sé. 

Non per niente Hegel aveva simpatia per Machiavelli: obiettivo, azione, riuscita. Divide poi la storia universale in fasi che portano all’apoteosi del mondo germanico. Se tralasciamo questa quasi ovvia difesa della superiorità della Germania, che permane tutt’ora, ed accogliamo il senso profondo del suo rendere palpabile, sentire la storia nel profondo, possiamo dire che questa sensazione riporta poi facilmente al materialismo marxiano, dove la radicalità storica fa i conti con una divisione sociale cui Hegel non aveva pensato. Potremmo dire che il potente pensiero hegeliano è stato messo ad ulteriore buon frutto dall’impostazione sociale e dialetticamente definitiva di Marx.

 

° La fine della storia di Fukuyama come nasce e quali effetti ha avuto.

 

A cavalo della fine del campo comunista e perciò la fine della guerra fredda così come si era dimostrata nei decenni precedenti all’inizio degli anni 90, Fukuyama scrisse un saggio diventato famoso, che, riassumendo, dichiarava la fine della storia, a livello delle contradizioni mondiali e la vittoria del campo liberale, del mondo democratico e del regime economico capitalistico. Naturalmente tutto questo non è avvenuto. I valori, la forza e il modo di vita dell’Occidente capitalistico hanno continuato ad esistere ma si è dovuto scontrare con nemici agguerriti a livello mondiale: la rinascita del senso imperale della Russia, la Cina sempre più potente e concorrente, stati islamici nemici dei moderni consumisti americani.

 E poi anche con questioni interne di un certo rilievo: la cancel culture, la presenza di organizzazioni di difesa di un mondo a parte, quello LGBT* (per semplificare), uno scontro interno tra una deriva autoritaria, dell’uomo solo al comando decisionale e quello di un uomo al comando ma attorniato da consiglieri di peso - Trump e/o Biden. In una intervista ad una rivista svizzera nel 2017 Fukuyama è ritornato sulle sue affermazioni di circa trent’anni prima mitigandole e cercando di smussarle. In quella lunga intervista vi sono almeno tre chicche da riprendere: l’India è un Paese corrotto (?!?). Proprio la Nazione che viene vantata da molte parti come una nuova grande democrazia, la più popolosa; l’intervento in Iraq perché si era “supposto vi fossero armi chimiche” in mano a Saddam. Una supposizione, quindi non la certezza, il beneficio del dubbio. 

Ma Fukuyama dimentica volontariamente la dimostrazione che Colin Powell, segretario di Stato USA, fece all’ONU con un flaconcino che disse provenire dall’arsenale di Saddam, come prova di armi chimiche da distruggere, una scena patetica; altra affermazione: Russia e Cina hanno deviato dal modello di democrazia liberale (?!?). Proprio due paesi comunisti ed ex comunisti, trasformatisi in paesi autoritari, senza il comunismo o con una parvenza di esso, ma in ogni caso molto lontani dalla democrazia liberale, da sempre. Affermazione che non tiene conto del fatto che si tratta di due paesi asiatici. Insomma, un pasticcio che l’intervista non risolve, ma se possibile, aumenta di più (la si può leggere nel sito Osservatorio globalizzazione). Potremmo quindi dire che quella strampalata teoria non ha avuto effetti di vaglio

 

° La memoria e la storia, la storia al tempo dell’IO.

 

Questa trasformazione è senz’altro più interessante di quella precedente. L’IO che diventa centrale nella vita delle società che fanno fatica a riconoscersi come assemblaggio di gruppi di umani rifulge sulla scena mondiale come splendido unicum. In questo senso anche la storia attraverso la memoria diventa un soggetto di rilievo per chi si ricorda e poi per tutti gli altri. Ed ognuno può mettere in gioco la propria memoria. Se poi leggiamo questo senso alla luce delle trasformazioni sociali vediamo che l’esaltazione dell’IO storico fa gioco al senso borghese, in traduzione marxiana, che così riesce a governare le tensioni sociali. Ma sarà difficile tenere per troppo tempo tale geografia psicologica asfittica in vita. L’uomo nelle megalopoli si sente per forza sballottato dal numero di umani che lo circondano. Certo si può rifugiare in sé stesso, certo può ritagliarsi e cercare oasi di solitudine, ma questo non lo renderà meno schiavo delle forze degli IO più importanti, della forza del capitalismo, in qualsiasi forma esso si mostri. 

Insomma, la solitudine, la tranquillità, la supponenza dell’IO non arriva mai da nessuna parte e poi la vita, il tempo di vita presenta sempre il conto, specialmente durante la fase terminale della stessa: la vecchiaia. Li occorre fare i conti con quanto si è costruito assieme ad altri e se poco o niente si è fatto, poco o niente rimane attaccato alla vita che si vive in quei momenti.

 

° La nozione di modernità in stricto sensu.

 

Ecco, quindi, che emerge in senso forte il concetto di modernità. Questa si snoda necessariamente su una struttura esistenziale. Moderno è colui che costruisce la propria vita, nel modo che ritiene, mettendola in tensione ed in relazione al tempo a venire. Altro non c’è da fare, ma proprio questo è difficile. Non sempre si capisce cosa voglia dire rivolgersi verso il futuro, verso la sua costruzione, dato che in sé il futuro non esiste e non esisterà mai, ma ogni momento del presente è figlio del passato e quindi si configura come futuro in atto. Potenza ed atto, un binomio di grande incisività di aristotelica memoria. Insomma, scomodando anche Orwell sul trinomio passato-presente-futuro noi dobbiamo sapere che quello che il passato costruisce nel futuro è il nostro presente attuale. “Chi controlla il presente controlla il passato; chi controlla il passato controlla il futuro.” (Orwell) 

Ma usando Aristotele potremmo quindi miscelare Orwell e dire che chi ci pensa prima è messo meglio per il dopo. Il comune adagio – bisognava pensarci prima – ha questo profondo senso in sé. Ed è per questo che i politici di rilievo ci pensano prima per potere dopo rivendicare risultati nel presente in cui li ottengono.

 

° Quale potrebbe essere invece oggi una visione moderna della storia utile ai fini del conflitto di classe in un’ottica rivoluzionaria?

 

La rivoluzione deve essere costante. Un uomo, un gruppo politico, una classe sociale, una classe economica rimangono rivoluzionari in loro se adeguano la loro vita ad un percorso proficuo per il trinomio ricordato sopra. Ogni azione umana deve avere alle spalle qualcosa che rimanga e che si indirizzi verso la pienezza del sé. Il resto è fumo, magari ci si può anche scherzare, ci si può anche perdere, anche se sarebbe preferibile tenere un comportamento serio, per un certo lasso di tempo, ma non si deve mai abbandonare la barra dritta del rapporto tra passato-presente-futuro. 

Dare un senso a ciò che si fa deve restare in questo confine, in questo recinto. Quello che deborda può anche essere piacevole e convincere per un po’ di tempo, anche alcuni anni, ma è solo foschia. E poco rimane passata la moda, passato il tempo. Il tempo è ciò che rende un pensiero ed un’azione valida in sé, usufruibile anche da altri. Le mode più o meno passeggere sono inutili e fuorvianti per quello che Hegel considerava come “rappresentazione del processo divino ed assoluto dello spirito nelle sue più alte forme.

“ Ed ancora: per quello che Marx ha poi aggiunto con la lotta di classe, che permane nonostante ogni cambiamento sociale. E mettiamoci anche Althusser: “La filosofia è lotta di classe nella teoria.” Non c’è bisogno d’altro. Neanche se è difficile pensare che tutti gli uomini possano…. Che sempre gli uomini possono…. Ma almeno teniamoci su questa tendenza – la lotta di classe -, il più possibile.

 

 

 

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