La lotta per la dignità e i diritti sociali

 

L’impegno politico alla luce di una profonda, costruttiva e lucida critica marxista nella “lotta” di rivendicazione per le pari dignità sociali. In Italia, per una cultura delle memorie di ieri e pluriappartenenze di oggi.

Intervista con Moni Ovadia di Laura Tussi

 


di Laura Tussi su Faro di Roma

 

“Un ponte tra la memoria storica e l’acquisizione di nuovi strumenti critici adatti a interpretare un mondo in continuo cambiamento”. Questo si proponeva di essere “Il Calendario del Popolo” con la guida sapiente dell’editore Sandri Teti. Ed è stata una delle più longeve e interessanti riviste culturali italiane, nata a Roma nel marzo 1945, quando l’Italia del nord era ancora occupata, per rispondere all’esigenza di sapere di ampia parte di una popolazione appena uscita dalla Guerra di Liberazione. Per 70 anni “il Calendario del Popolo” ha svolto un’importante opera di divulgazione culturale, evolvendosi progressivamente, fino a diventare un centro promotore di iniziative culturali ad alto livello.

In questo contesto è stata significativa la collaborazione della rivista con il Progetto “Per Non Dimenticare”, promosso dalla scrittrice e attivista per la pace Laura Tussi in collaborazione con l’ANPI locale, allora presieduta da Fabrizio Cracolici, l’Amministrazione Comunale e la Biblioteca Civica Popolare di Nova Milanese, che a partire dagli anni ’70 ha raccolto videotestimonianze, interviste, biografie e documentazioni inerenti la memoria dei campi di concentramento e di sterminio nazifascisti.

Diverse personalità di notevole spessore e impegno civile e sociale, da Moni Ovadia ad Antonio Pizzinato, a Don Andrea Gallo, hanno collaborato al progetto.

Pubblichiamo di seguito l’intervista, datata al passaggio del millennio ma molto attuale per i temi che affronta, di Laura Tussi a Moni Ovadia, il grande artista e intellettuale di origine ebraica che successivamente, presentando il libro “Memorie e Olocausto” di Laura Tussi, nel 2009 a Senago, ha dato inizio al ciclo di iniziative volte a promuovere l’importante Archivio Storico Audiovisivo della Città di Nova Milanese.

INTERVISTA CON MONI OVADIA.
Uomo di teatro e di grande cultura, ricercatore ed abile, poliedrico interprete di un’antica tradizione, politicamente impegnato per “un’utopia realizzabile”
Il “saltimbanco” teatrante dell’identità culturale e popolare Yddish ebraica.

L’impegno politico alla luce di una profonda, costruttiva e lucida critica marxista nella “lotta” di rivendicazione per le pari dignità sociali…
In Italia, per una cultura delle memorie di ieri e pluriappartenenze di oggi.
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Una piacevole discussione ed animata conversazione con Moni Ovadia, uomo di teatro e di immensa cultura, ricercatore ed abile, poliedrico interprete di una tradizione antica proveniente dai tempi più remoti dei primordi dell’umanità: l’identità culturale Yddish. Ovadia uomo d’estro e d’ingegno, politicamente impegnato sul fronte del mondo in fermento dei sindacati per le tutele dei lavoratori e delle rivendicazioni per diritti dei “più deboli”, nell’impegno culturale militante delle pari dignità sociali, per la fratellanza universale tra uomini, nella militanza “senza armi”, disarmante degli strapoteri, finalizzata ad un’utopia realizzabile, sociale comunista e socialista con risvolti comunitari e democratici de facto.

Il parere di Moni Ovadia circa “Il Calendario del Popolo”, rivista che compie più di 70 anni, nasce dal movimento della Resistenza antifascista e si è sempre proposta come uno strumento culturale di avvicinamento tra una divaricazione popolare, sorta nel dopoguerra, più accentuata rispetto agli schemi attuali, tra una “cultura alta”, “d’elite” e “bassa”; Rivista che veniva letta sia dal bracciante, operaio, contadino, che dal docente universitario;
Rivista pensata e fondata da un intellettuale, l’avvocato Trevisani, e via via da altri importanti esponenti della cultura italiana.

A Suo parere quale atteggiamento dovrebbero impostare oggi gli intellettuali nei confronti della Nostra Rivista?
Cosa ne pensa di questa attiva funzione divulgativa di area e cultura marxista o comunque di Sinistra, attualmente? Oggi che viviamo direttamente, ossessivamente in modo impellente il “revanchismo” delle Destre?

Il linguaggio e le modalità d’approccio della Sinistra al problema della memoria storica ed alla tematica relativa ad una cultura da poter diffondere e mantenere viva, fervida, militante, una relazione culturale tra la Sinistra ed i suoi interlocutori, anche intellettuali, risulta molto difficile perché implica una questione di codici interpretativi, canoni, schemi e linguaggi comunicativi, che parte da una constatazione la quale occorre sia radicale per trovare uno sviluppo, una funzione effettiva, attuale, militante.
Noi siamo stati sconfitti. Una sconfitta epocale. Abbiamo perso la guerra, non una battaglia.
Se non si acquisisce una radicalità di tale consapevolezza, risulterà difficile assumere un ruolo.
Mentre quando “Il Calendario del Popolo” nasce, si assiste ad un enorme, grandioso coinvolgimento delle masse nella cultura anticapitalista, il Partito Comunista era fortissimo, profondamente radicato nel substrato popolare. Attualmente i partiti della Sinistra stanno sempre più perdendo il rapporto, il radicamento con le masse, la relazione schietta, genuina con il popolo, con le classi sociali che dovrebbero ancora riconoscerlo, rivalutarlo, essergli riconoscenti, recuperarne i valori civili, sociali, culturali. Oggi le masse si sono profondamente trasformate.
Assistiamo ad una progressiva diminuzione delle classi lavoratrici operaie e contadine, a favore di impiegati del terziario. Si assiste ad una falsa, finta, ipocrita imprenditorializzazione del ceto basso, perché tutti aspirano a diventare piccoli imprenditori e poi ingrandirsi e poi arricchirsi voracemente. Naturalmente a loro insaputa verranno sfruttati, però in forme nuove. Questa diversa, mutata condizione produrrà un ulteriore tipo di risposta culturale allo sfruttamento. Se non sapremo anticiparla ed esserne interpreti innovativi, ci troveremo arretrati, sorpassati, obsoleti, con vecchie categorie inette, non inserite. La classe operaia è ancora consistente, ma è in via di progressiva diminuzione (è un fenomeno inarrestabile), sostituita dalla manodopera extracomunitaria, che però utilizza altri linguaggi e mezzi, perché non sono i discendenti della classe operaia italiana ed europea che ha avuto rapporti diretti con la cultura comunista e marxista. La cultura marxista, comunista o comunque di sinistra non è stata strutturata dalla classe operaia, perché si è optato molto più per gli slogan e le ideologie che per la profondità dei concetti e dei valori: significa automaticamente democratizzazione.
Quando si deve strutturare il partito, con una democrazia ed una consapevolezza, si acquisiscono maggiori spinte critiche. Probabilmente il Partito Comunista è stato democratico, ma anche con forti rigidità dirigenziali al suo interno. I risultati li ritroviamo nei DS, un partito che stenta a trovare un’identità. D’altro lato la Sinistra radicale (Rifondazione Comunista) rappresenta il 5% dell’elettorato e non sa risolvere, non sa crescere a seconda delle spinte di protesta.
Siamo diventati solo nostalgici.

Il piano che Marx definisce pratico sensibile nelle Tesi su Feuerbach del 1845: ”I Comunisti non devono avere paura delle conseguenze a cui li portano le loro critiche”. Il depotenziamento di Marx riguardo l’appendice storica del filosofo di Treviri e del suo amico Engels. Infatti la messa in pratica storica, cioè pratico/sensibile del pensiero di Marx…” “…è che la rivoluzione Russa del 1917 fu, nei fatti, il trionfo della politica sull’economia. E tutta la costruzione del comunismo fu fondata sulla politica, nella forma estremamente concentrata della dittatura”
Occorre essere duri con noi stessi. Perché siamo stati impreparati di fronte al fenomeno Berlusconi? Perché non abbiamo saputo interpretare fenomeni e mutamenti così impellenti ed impetuosi. La prima reazione della sinistra radicale con le innovazioni tecnologiche è quella di demonizzarle, perché sono gli sviluppi delle forze produttive capitalistiche e di trasformazioni sovrastrutturali. La sinistra marxista sta guardando indietro e non avanti. Sempre in termini provocatori. La socialdemocrazia europea corre dietro allo sviluppo capitalista, non lo anticipa, anche se forse si tratta di un capitalismo meno agglomerato, agglutinato, più portato verso una distribuzione equa tra le masse: questa è la grande novità!
Baudrillard , critico di Marx, sostiene che il grande filosofo costruisce la sua teoria su un fondamento: il rapporto tra valore d’uso e di scambio. Tale rapporto nelle società avanzate risulta completamente saltato, non ha più senso.
Attualmente viviamo una totale ipertrofia dei meccanismi economici che sono entrati in una specie di iperspazio autoreferenziale, avendo una loro realtà che si muove su fatti, su eventi. “Naturalmente questi meccanismi di contenimento sociale non raggiungono un controllo totale e completo. Pensare ad un cambiamento radicale delle relazioni produttive o a una forma di associazione umana differente viene considerato sorpassato. Su queste macerie è sorta la società più o meno inventata del Villaggio Globale…” della “società ad una dimensione”, dell’omologazione globalizzante, della new economy.
Il capitalismo ha esteso se stesso come una metastasi a vasti strati della popolazione, per cui tutti viaggiano con i listini di borsa, perché tutti vogliono il bene materiale immediato su questa terra. In Cina: “Ipercapitalismo Comunista”! chi poteva prevedere tali fenomeni?

Il capitalismo è ancora rigoglioso. Forse è proprio la natura umana che Marx voleva risolvere: il grande limite/ostacolo di Marx.

Marx era figlio dello spirito della Rivoluzione francese e dell’ideale rousseauniano: vale a dire l’uomo è buono e la società lo corrompe. Nei “Manoscritti economico filosofici” del 1844 si esprime la genialità del filosofo. Stabilì nell’alienazione del lavoro la contraddizione centrale del sistema capitalistico. I capisaldi della sua teoria: la lotta all’alienazione, la vera liberazione dell’uomo, l’eguaglianza dei diritti.

L’uomo è un progetto aperto, né buono, né cattivo, ma fragile, debole, disorientato, spaventato, perché è la paura che porta ad aumentare i beni materiali che proteggono l’individuo. Quindi il capitalismo fordiano ha trovato un meccanismo geniale: l’uomo di sinistra crede nella giustizia sociale, ma nel frattempo cerca di ottenere il massimo benessere possibile. Il capitalismo fordista sostiene “tu operaio lavori per me capitalista ed il ricavato ritorna su tutti” e non vi è dubbio che il benessere materiale si sia esteso a ceti della popolazione molto più vasti, anche se limitatamente alle società avanzate. Però anche Paesi come la Cina e l’India stanno entrando in questo ambito, pur con ampie sacche di povertà, con cui il capitalismo si garantisce un presupposto inespugnabile: l’importante è che il numero di quelli che “stanno bene” o che hanno di tali aspettative nel sistema vigente sia sufficientemente esiguo da non creare elementi di destabilizzazione del sistema.
Attualmente una Rivista come “Il Calendario del popolo” che voglia stare e sopravvivere entro una determinata linea di demarcazione politica deve avere una continuità nella sua discendenza marxista che si esplichi in studi, ricerche e relazioni con la storia e la memoria passata del popolo, delle genti, ma soprattutto deve capire anche che i fenomeni sociali e di conseguenza politici, sono di natura nuova ed imprevedibile. Il Capitalismo ha letto Marx ed è cinico per questo; ha funzionato magnificamente perché conosce a fondo la natura umana, partorito dalla stessa: l’uomo ideale non esiste; la coscienza di classe ha funzionato in un’epoca precisa sulla base di coordinate socio esistenziali di un certo tipo.

“Avere le idee giuste” non significa che siano praticabili se non si raccoglie un vasto consenso, perché questa democrazia è marcia, artefatta, prevalentemente formale e non sostanziale, concede a poche persone mezzi spaventosi di alto potere mediatico, comunicativo per ottenere un senso comune, a discapito della reminescenza storica collettiva, un ampio consenso, per cancellare le memorie di vita, della Storia. E milioni di individui risultano esclusi dalla possibilità di esprimersi con le loro idee, di perpetuare la memoria popolare. Ma non solo. Tale sistema è basato su un risicato margine di consenso o su leggi che servono alla governabilità, ma non sono addirittura democratiche, come il metodo maggioritario, che ha permesso al liberismo economico, in odore di fascismo, tipicamente berlusconiano, di governare. Tuttavia non abbiamo trovato di meglio a questo simulacro di democrazia, anche se ci abbiamo provato noi marxisti con la Russia Leninista. Lo stalinismo è stato un sistema dittatoriale efferato proteso all’epurazione dei dissidenti, dagli alti gerarchi ai contadini nullatenenti: non ha funzionato è stata la catastrofe distorta dell’applicazione aberrante delle tesi e teorie marxiste, in un miserrimo tentativo di collettivizzazione agricola e della forza lavoro che si concluse con l’eccidio dei Gulag. Lo stalinismo è stata l’ultima forma di zarismo delle grandi Russie come sosteneva Trockij. Una provocazione: Lenin, il dio imbalsamato nel mausoleo realizzato da Stalin…file di chilometri di comunisti in pellegrinaggio verso l’uomo imbalsamato, una bambola di cera. L’iconografia idolatrica è semplicemente una perversione del cristianesimo. Occorre sempre un Dio e naturalmente Stalin è il suo profeta, cioè il Papa, sempre in chiave perversa e provocatoria. Chi non è d’accordo con il sistema: a morte! Perché non è un avversario con cui discutere in termini dialettici di raziocinio, bandito dalla dittatura, ma un nemico ontologico, un antagonista del dio in terra. Il “Cesarismo Bizantino” si è manifestato nell’iconoclastia, così lo "Zarismo Staliniano" ha cancellato tutti gli avversari di Stalin, l’uomo di ferro, dalle fotografie, in un segno dei tempi impressionante, compeso Trockij, capo dell’Armata Rossa, il numero due della Rivoluzione d’ottobre, cancellato, eliminato dalle fotografie come altri alti burocrati, gerarchi, tra cui Kamenev e Zimon’ev. Stalin ha ammazzato i comunisti, ha epurato tutto il partito della rivoluzione con le deportazioni di massa, il lavoro schiavistico delle grandi opere. Lisenko ha distrutto la genetica sovietica, inventando la teoria marxista leninista della natura sulla base di un cattivo libro di Engels. Allora tutti i genetisti mendelliani sono finiti nei Gulag e Lisenko per venti anni ha bloccato la genetica sovietica. Occorreva e volevano una verità unica, inoppugnabile, inconfutabile. Ma perché non lasciare le diversità, le differenze di pensiero a misurarne i risultati a confronto reciproco? Invece tutto ciò che era sospetto di borghese fu combattuto, manu militari! Questo sistema cosa ha a che vedere con la teoria marxista dello stato? Che è una scienza critica, postulata, appunto da Marx come stato possibile. Naturalmente Stalin era un uomo del suo tempo, quindi la forma di zarismo da lui scelta fu anche geniale per molti aspetti, ma di fatto, tutta l’idolatria di partito, in un’ipotesi provocatoria, (N.d.a,), indica comunque che il sistema non era prettamente zarista, ma le sue radici innegabili, vizio intrinseco di una mente perversa protesa alla bramosia smaniosa, nel delirio perverso della sete di potere. “Cesarismo Bizantino” è l’occidente d’oriente e l’occidente prende la sua strada, compie bancarotta fraudolenta con il nazismo evoluto dalla cultura occidentale a cui tutte le borghesie plaudono all’”imbianchino austriaco”, finchè l’opposizione capisce la sua follia omicida contro l’umanità intera nelle sue diversità intrinseche. Per questo Von Tussen, capo delle Acciaierie Riunite, grande industriale tedesco, fugge e scrive nel ’39 un opuscolo (che bisognerebbe regalare a tutti i revisionisti), che si intitola “Ho pagato Hitler” con la nomenklatura dell’alta borghesia tedesca e di grandi industriali, comprese le gerarchie ecclesiastiche eccetera. Sostenendo poi che non si peritavano di sfruttare lavoro schiavistico. Questo è l’occidente la cui bancarotta è totale in versione Est ed Ovest.
Allora, tornando a Noi, il nostro compito è capire che abbiamo perso la guerra e di tenere fermi alcuni punti capisaldi che sono le idealità, perché le ideologie sono morte ed è bene, sono un’idolatria, mortifere, non si fanno criticare, confutare, mettere in discussione. Questa è la convinzione più spaventosa della deriva stalinista. Non esiste più spazio per la discussione, per il confronto, per le diversità, le differenti categorie, come in ogni dittatura militare. Il crimine principale di Stalin è l’unanimismo. Cosa impollina una scienza, una idealità? La continua discussione, il confronto, il fermento delle idee, l’accrescimento delle facoltà cognitive, del processo mentale, di pensiero dell’ideazione, della progettualità.
Occorre tenere ferme le direttrici etiche della propria posizione e riprendere fino alle estreme conseguenze la natura critica del marxismo. Quindi se apparati concettuali o paradigmi di indagine economica sono superati, occorre superare, elaborare il “lutto”, la rielaborazione, il superamento storico che rientra nella natura dell’uomo, delle dinamiche epocali, storiche dell’evoluzione umana.
Quindi i valori rimangono inalterati, ma le modalità per metterli in pratica, per raggiungerli, cambiano, sono sottoposte alle trasformazioni storico-strutturali. Se non ritroviamo il piano delle emozioni, delle passioni, del coinvolgimento forte anche del sentimento, che si prova, si costruisce con la consapevolezza che le “radici” non sono un feticcio, ma un valore.

Il patrimonio emozionale delle proprie “radici” culturali, storiche, etiche e civili, non va interrotto, perché la grande lotta per le libertà dell’uomo è cominciata con Mosè nel deserto ed Abramo che spezza gli idoli.
Allora la radice, la matrice, va tenuta ferma, salda, non bisogna farsi spaventare dagli impellenti revisionismi di sorta.

Il revisionismo è un’ideologia politica che mira a riabilitare una classe di potere efferata e senza scrupoli come la borghesia contemporanea, la classe alta del ‘900, italiana e di altri Paesi che non deve insegnare ai comunisti, alle persone di sinistra: borghesia senza scrupoli, colonialista, imperialista, sciovinista, efferata, che non ha avuto paura di servirsi dei fascismi, delle dittature di qualsiasi colorazione, che ha alimentato e mantenuto e continua ad alimentare e mantenere regimi totalitari, autoritari, dittatoriali, che hanno sfruttato lavoro schiavistico a livelli di aberrazione umana brutale, hanno sostenuto Hitler, fino al colonialismo americano che ha mantenuto tutti i regimi totalitari del mondo intero.

Dunque abbiamo bisogno di rimemorare, recuperare il passato, ricordare la storia, di ritrovare le radici profonde dell’uomo, il vero senso del suo esistere: la santità, l’integrità morale, il diritto alla libertà, alla sua pari dignità, perché uguaglianza significa “pari dignità ed equità di diritti” di tutti gli esseri umani davanti al diritto, alla legge, di fronte alla vita, alle proprie esigenze vitali.
La funzione di un a Rivista come “Il Calendario del Popolo”, che deve fare da ponte tra una immensa tradizione portatrice di retaggi valoriali da non disperdere, non svendere, ma anche una sfida enorme: ritornare a far “sognare”, continuare ad “animare” gli esseri umani, tramite il linguaggio delle emozioni, perché capaci di realizzazioni sublimi. La gente non vive solo di “cose concrete”, ma anche di emozioni, del sogno che si riflette nell’utopia di un mondo migliore, attuabile con la relazione tra le persone capaci di amare, vivere, emozionarsi, sognare, desiderare e andare oltre. Oggi il linguaggio della sinistra da un lato è quello della governabilità e del risanamento del bilancio pubblico: argomenti ineccepibili, ma che non fanno sognare gli uomini. Infatti, così, la gente ha bevuto le panzane del liberismo populista e sottilmente demagogico berlusconiano. Perché da un lato esiste un radicalismo inattuale, magari anche giusto, ma non comunicativo, privo di mediaticità diretta, interattiva, dall’altro lato una battaglia culturale persa, con l’avvento delle televisioni, e la pervasività del pensiero comune e ipertrofico di consumismo evanescente, mezzi spietati, apparentemente innocui che attuano “buildung” primaria, semplicistica, “formazione” elementare, ma spietata, sottile velata di demagogia populista che influenza direttamente le masse impreparate, sprovviste, indifese, deboli.

E noi di Sinistra non abbiamo saputo veicolare sapientemente, saggiamente tale sistema mediatico pervasivo onnipresente ed onnicomprensivo, avendo reso Marx un feticcio irrigidito, rendendo, nostro malgrado, una “chiesa” la sua scienza critica.

Ha partecipato come ospite ad una trasmissione di RAI Educational, dove comparivano testimonianze di deportati politici italiani, dissidenti al sistema nazifascista. Qual è la sua opinione nei confronti di tali categorie vittime dello sterminio nazifascista?

La memoria della Shoah appartiene a tutti: esiste uno specifico ebraico ed uno specifico del popolo Rom, le due prime etnie predestinate allo sterminio nazifascista. L’antisemitismo è uno degli elementi portanti dello sterminio nazifascista e quindi ne discutiamo perché così, con l’antisemitismo, l’uomo varca la soglia del “nemico per posizione” ed assume quella predisposizione contro il nemico per definizione, “nemico ontologico”, cioè si combatte la nazione altra perché è nemica, così ottengo un pezzo di terra e via dicendo.

Questa è l’ostilità per posizione. Nel caso dell’antisemitismo il diverso è il nemico ontologico, per il solo fatto di esserci, di esistere con la sua essenza umana, il suo pensiero altro, la sua ragione altra, la sua idea raziocinante. Questa è proprio una concezione del nazismo senza precedenti in altre forme di dittatura. Gli Ebrei sono portatori di un’idea inaccettabile per qualsiasi tiranno, dittatore: l’uomo possiede un solo padrone, il Padre Eterno, il quale non si vede, non ha immagine, non si può rappresentare e non ha mediatori. Il rabbino non è un prete, non esistono nell’ortoprassi religiosa ebraica forme di gerarchia. Il problema è la portata rivoluzionaria del pensiero ebraico: consiste nel fatto che Abramo fonda l’eguaglianza dell’uomo e lo statuto di essere umano. Il tiranno dittatore despota che pretende diritto di vita e di morte, desidera l’assoluto, decide di essere dio in terra e per questi motivi risulta ovvio che odi profondamente, visceralmente l’ebreo e la sua cultura: è il suo antagonista ontologico naturale. Lo è stato nel corso dei millenni; non esiste in una democrazia matura antisemitismo. Stalin è antisemita perché pretende con la violenza il potere, l’assoluto.
Quando Abramo decide contro il volere di Dio di non sacrificare il figlio Isacco, si decide che la vita umana è santa e bandire il sacrificio umano significa passare dalla tribalità alla socialità, in quanto il Padre non è più padrone della vita del figlio, ma deve esserci una consapevolezza etica della vita santa, perché l’esistenza umana è inviolabile, la violenza è ingiusta nella consapevolezza del codice etico ebraico.

La vita del figlio Isacco appartiene alla vita del mondo, come principio etico.

Gli Ebrei concepiscono la vita tutta, in ciascuna delle sue manifestazioni, santa. E’ una grande utopia quella di rendere ogni essere umano un “ente alto”. Dice l’Eterno :”Sarete santi perché Io sono santo”. Tutti i gesti sacri del quotidiano sono la santificazione dell’esistenza, della vita in tutte le sue forme, che portano vicino ad una dimensione divina, dove “il divino” è proprio lo statuto che garantisce all’essere umano un progetto escatologico, un telos (dal greco), un fine, un senso ed un significato dell’esistenza, dell’essere al mondo e per il mondo, l’in sé e per sé, altrimenti la vita si trasforma in una serie asfittica di accadimenti anonimi e meccanici e di mere e brutali lotte per la sopravvivenza. In fondo l’ebraismo scopre, costruisce il senso del vivere, come il buddhismo, il cristianesimo e l’islamismo, le principali religioni monoteiste.

Per l’ebraismo tutti i gesti dell’esistenza vanno resi alti, santi e riempiti di senso, di un telos, di un fine che sottragga l’uomo alla pura biomeccanica della sopravvivenza. L’ortoprassi ebraica è un cammino per la costruzione della fratellanza universale e della pari dignità di tutti gli esseri su tutta la terra. Una delle ragioni per cui, personalmente, come ebreo e come uomo di Sinistra attacco il revisionismo è perché il nazismo riguarda l’umanità intera, gli ebrei, i popoli Rom, tutti gli oppositori a qualsiasi “fede” appartenessero politicamente, i testimoni di Geova, ma soprattutto riguarda due categorie, due “popolazioni” trasversali a tutta l’umanità: omosessuali e menomati (portatori di handicap). La memoria della Resistenza è purtroppo meno ricordata, ritualizzata rispetto a quella ebraica, ma personalmente non distinguo come tesserato ANPI, l’antifascismo politico comunista e socialista dalla mia condizione di ebreo. E’esistito uno specifico ebraico e negare le specificità significa sostanzialmente omologare ed appiattire le differenze e l’ostilità contro ogni categoria di diversità all’interno del fenomeno concentrazionario. Dal mio ebraismo e dalla radicalità con cui esso propone la libertà dell’uomo nell’ambito della giustizia sociale (come si legge anche nei Profeti) per capire, al fine di comprendere totalmente, a pieno, la concezione del portato del concetto di giustizia sociale, proclamata dal profetismo.
La presenza e militanza ebraica nei movimenti rivoluzionari socialisti, comunisti ed anarchici, come nel comitato centrale della rivoluzione bolscevica e nella direzione ristretta, fu di rilievo, rilevante e importante. Ebreo era Trockij, Kamenev, Zimen’ev, persino Lenin era di linea matriarcale, matrilineare, genealogicamente parlando, ebraica.
La presenza ebraica è impressionante nel partito comunista tedesco, come nel partito comunista americano. Il primo partito operaio socialdemocratico di Russia e Polonia è ebraico, che costituirà poi i quadri dirigenti al partito operaio socialdemocratico russo. La questione ebraica è assai complessa anche dal punto di vista della Resistenza sia francese che polacca (eccetera) nel momento in cui l’ebraismo si emancipa, esce dai ghetti europei, si nota un’adesione sconcertante di intellettuali ebrei ai movimenti rivoluzionari. Personalmente vengo da quella storia, da quelle radici politiche, di impegno militante. Sono spiritualmente di Sinistra, usando una contraddizione in termini, quasi un ossimoro, perché sono eticamente di Sinistra, come portato ideale, valoriale della mia radice ebraica, bulgara sefardita. Sono convinto che non esista messianesimo ebraico senza giustizia sociale. La povertà in epoca biblica era bandita, eliminata, non ammessa, perchè il povero aveva diritto alla decima del raccolto, non elemosina pietistica, ma diritto legale. Nessuno poteva coltivare un campo senza riservarne una parte al povero, “a colui che non possedeva e non aveva”, e per questo, per legge non per pietismo governativo o altoborghese, o generosità pietosa e penosa del ricco commosso da spirito pietistico, ma per diritto scritto, legale e sacro. Non potrò mai disgiungere il valore della Resistenza antifascista da tutta la vicenda storica, epocale nazista e dalla Shoah, dallo sterminio degli Ebrei.

Spesso dico ai miei compagni ebrei “Ricordatevi chi era di fianco a noi quando ci sterminavano, non dimenticatevelo mai. Non ti dimenticare che i Berlusconi di allora parteggiavano per i nazifascisti e sfruttavano il lavoro della nostra gente in modo schiavistico ed il loro essere”. Naturalmente anche gli Ebrei “si perdono”, come tutti gli esseri umani. Così qualcuno risponde “ricordati il Gulag” ed io ribadisco che le prime vittime di Stalin sono state gli Ebrei ed i comunisti. Tutta l’Intellighentia, tutti i grandi interpreti del teatro Yddish, tutti in Gulag. Non esiste giustizia sociale e socialismo senza libertà. “La libertà serve al socialismo come l’aria serve all’uomo per respirare”, come ha detto un Ministro alla Cultura di Cuba.

Ma non ci sarà mai giustizia su questa terra senza una qualche forma di socialismo comunista e naturalmente il mio antifascismo ebraico comprende la memoria indistinta di tutte le vittime dell’antifascismo, dell’antisemitismo, del totalitarismo, oppositori, vittime che siano ebrei, operai, intellettuali e così via.

In diverse facoltà universitarie umanistiche italiane i pedagogisti sperimentano una sorta di tradizione, condivisa a livello culturale, da molto tempo, in rapporto al mondo delle storie di vita, delle geografie spazio-temporali, delle pluriappartenenze dei racconti autobiografici, tramite il metodo educativo della cultura e pedagogia della memoria. Questa tradizione sottesa al filo sublime, impercettibile della memoria, mette in contatto i vari pedagogisti degli atenei italiani, all’insegna di un’attenzione particolare ai temi di sociologia, pedagogia della soggettività e dell’individuo anche nella “resistenza”, l’esperienza dell’essere uomo e donna, dinanzi ai processi ed alle dinamiche di formazione, all’interno di una quotidianità d’impegno nel lavoro sociale ed educativo. Autonarrazione, scavo interiore, ricerca in sé, per sé, attraverso l’ascolto di sé tramite l’”altro”, autocomprensioni, comprensione circa la propria ed altrui unicità ed individualità, sottratta, tramite la memoria della personale storia di vita, allo sfondo anonimo, piatto, di molti luoghi e progetti comunitari. In base a queste premesse, un parallelo tra la memoria storica individuale e collettiva occidentale e la TOLEDOT (=Storia di generazione in generazione) ebraica

In Ebraico la Storia è denominata, appunto, TOLEDOT, perché segna il passaggio, la trasmissione, la tradizione, di generazione in generazione, l’unico metodo rilevante ai fini della formazione della Storia vera, quella degli esseri umani e non dei potenti. La Historia, fino a tempi recenti, è stata la Storia dei potenti, di governi, di monarchi, gerarchi, di altisonanti burocrazie e nobiltà prevaricatrici, sfruttatrici e borghesie asservite, di movimenti di pensiero e correnti filosofiche, intellettuali, e lo è ancora adesso. Per questo scegliamo Toledot, il passaggio intergenerazionale, la trasmissione di memoria storica popolare, del “quarto stato”, della “plebe”, del popolo, vissuta, creata, sperimentata dal popolo, perché da la possibilità alla Historia dei potenti di diventare la Storia delle genti, dei popoli. Solo occupandoci, anche a livello didattico ed educativo, anche all’interno delle famiglie, del passaggio intergenerazionale.
La caduta della tensione ideale nei confronti del fenomeno della Resistenza è dovuta al nostro errore educativo di padri dei movimenti di rivendicazione dei diritti e di “resistenze”, opposizioni, lotte di diritto. Ci siamo arresi. Siamo stati rigidi. Perché noi Ebrei raccontiamo della liberazione dall’Egitto ad ogni Pasqua? I Maestri rispondono : “Perché si sappia che sei stato liberato “TU”, non loro…è la tua liberazione che festeggi, attraverso la memoria di quel fatidico evento”.

Invece questa trasmissione, il passaggio di consegna, la tradizione della memoria orale e delle fonti anche scritte, dei cimeli, dei documenti, non è stata compiuta, perpetuata con la Resistenza antinazifascista. ”Noi quando eravamo sulle montagne del Comasco….” (per esempio) Occorrerebbe raccontare ai giovani “Ricordati che su quelle montagne ci sei “TU”, “TU” hai combattuto il nazifascismo come erede di generazioni”. Solo con questo valore etico, la ”Guerra”, la ”battaglia”, la rendi una Memoria Eterna, sacra.
Quante volte noi Ebrei siamo tornati prigionieri “in Egitto”. Gli Stati Uniti per molti aspetti sono un Egitto.

La liberazione dall’Egitto prevede la liberazione di tutta l’umanità. “Tu” non sei libero finchè tutti non sono redenti dalla condizione di asservimento e di schiavitù. Questo è un processo cognitivo di consapevolezza non imposto dall’alto, occorre molta pazienza. Questo è il principale errore della Sinistra rivoluzionaria da quando è nata: credere che fosse questione di una generazione. Non bisogna rinunciare all’Utopia, ognuno deve interpretare la propria parte anche per le prossime, le future generazioni, perché facciano la loro e così via…perché il processo di liberazione è all’infinito.

Noi abbiamo creduto alla rivoluzione, al socialismo per ottenere “tutto subito”, che significa “niente e mai”. I veri processi evolutivi devono entrare nelle fibre, a livello viscerale, emotivo, sentimentale, nei canoni valoriali, culturali delle generazioni, con la tradizione “di generazione in generazione” come cantavano i partigiani del ghetto di Varsavia, in prevalenza socialisti e comunisti. Cantavano “Il sole del mattino illuminerà l’oggi per Noi e come ieri spariranno le sofferenze e i nemici, ma anche se il sole tardasse e l’alba non sorgesse, il nostro canto si propagherà di generazione in generazione”. O noi ci rendiamo consapevoli che non vedremo quell’alba, non tocca a noi, ma forse a nessuno: l’alba è il limite, l’utopia di un domani migliore!

Dobbiamo compiere un lungo processo di impegno culturale ed educativo, formativo, con la consapevolezza delle difficoltà che comporta la militanza politico-culturale, per la costruzione della fratellanza universale tra uomini, il valore che attribuisce senso alla vita. Un uomo che non “lotta”, che non sottopone la propria esistenza ad un giogo etico che implica rivendicazioni per i più deboli, i diseredati di questo pianeta, è un morto che cammina. La mia lotta è l’impegno politico e culturale contro il liberismo, le ingiuste, espropriazioni e sperequazioni del capitalismo.

Mi batto con il popolo di Seattle perché il nostro destino non venga deciso da un pugno di multinazionali superpotenti. Mi batto con i compagni del sindacato FIOM perché non esiste una democrazia se non è garantita la dignità civile sul posto di lavoro, che non deve diventare sfruttamento, emarginazione, sopraffazione e sopruso schiavistico, ma deve tutelare garanzie, con statuto umano, con il diritto per il lavoratore e la lavoratrice di allevare la prole con serenità; quando arrivano a casa devono accudire i propri figli, non stanchi come bestie, ma con risorse creative di vita apprese anche dal lavoro praticato, nella dignità, nel benessere, con un impiego che preveda anche le 32 ore perché Noi dobbiamo incrementare la libertà degli esseri umani “liberandone il tempo”, il loro tempo creativo, per sé, per i propri figli, per il rapporto con la comunità, con il quartiere, con la città, con il mondo, per realizzare la buildung, la formazione comunitaria, collettiva. Per l’articolazione dei diritti, per l’emancipazione dei sessi, delle donne perché non vengano truffate, scorporando la donna dalla madre nell’ambito lavorativo.
Adorno ha lapidato tutto il resto del nostro ‘900, sostenendo che dopo Auschwitz non è più possibile scrivere poesie.

Ma il tempo della memoria non significa solo ricordare i morti, chi non è più presente, gli scomparsi. Avere memoria tramandare il ricordo significa porsi di fronte alla ripresentificazione del tempo, renderlo vivo, farlo rivivere, riportarlo al presente, all’oggi, nell’attualità.
Questa trasformazione significa riproporci dalla parte di quel tempo, quell’evento, realmente accaduto, con il diritto e dovere dell’ascolto, la volontà di capire, intendersi e domandare, chiedere il perché. “Non si può domandare donde viene il male, ma donde viene che noi umanità lo perpetriamo...”. Da tale quesito lancinante si rivelano, tornano alla luce al lume della mente, della memoria tutti i nomi degli sterminati degli scomparsi, per renderci conto del male intrinseco all'essere umano. Un punto d'arresto nell'evoluzione della storia, dove il racconto si paralizza ed incomincia a girare a vuoto, all'impazzata, senza senso, stregato dall’indicibile dell’orrore, dalla verità del terribile, dall’immanenza del tremendum; e tutto questo accade perché sanno che l’arte, la poesia, la musica, il teatro, in quanto forme nobili, sublimi di testimonianza costituiscono la voce, l’anelito umano che rivela l’accaduto, ciò che è irriducibilmente umano, tentando l’incredibile con la forza della creazione dell’arte, della poiesis, dell’invenzione fantastica, della cultura che accresce l’animo, lo nobilita, opposta al nulla dell’efferatezza dello sterminio, della morte premeditata, del male preconcepito e sistematicamente perpetrato.

Così non solo l’impegno politico, ma anche l’attività creativa, l’arte, la cultura la poiesis sublime, insieme alla prassi del quotidiano dedito, offerto, consacrato ai valori della giustizia sociale, della fratellanza fra tutti i popoli del mondo, liberano dalla cecità delle dittature autoritarie, dispotiche, imperialiste, scioviniste, baratro della ragione, del raziocinio, dell’idealità, dell’ingegno che illuminano le menti, le vite di tutti gli uomini.

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