La crisi dell'industria: una ricerca della Cgia di Mestre

Negli ultimi 15 anni l'industria italiana e' crollata, questo e molto altro lo troviamo in una inchiesta recentemente pubblicata alla quale rimandiamo per una lettura integrale

2Industria-2007-2022-13.01.2024-1.pdf (cgiamestre.com)


Se guardiamo bene alle componenti dell'economia nazionale si scopre  che la industria tradizionale, la manifattura, ha un ruolo sempre più ridotto nei paesi a capitalismo avanzato, anche se esistono profonde differenze tra i vari paesi dominanti, ad esempio il peso della manifattura sul Pil nazionale tedesco è superiore del 400 per cento di quanto avviene in Francia. 

Ci sono nazioni nelle quali la industria tradizionale pur in calo mantiene delle posizioni rilevanti (ad esempio la Germania) altri come Italia e Spagna dove invece viene fortemente ridimensionata.

La prima domanda che sorge spontanea è se il crollo della manifattura tradizionale non abbia finito con l'avere delle ripercussioni negative sul Pil e sull'andamento dell'economia complessiva, nel caso Italiano questa tesi parrebbe essere suggestiva e in buona parte azzeccata. 

La crisi della industria tradizionale è iniziata quasi 20 anni fa coincidendo con la decadenza di alcuni paesi che hanno perso posizioni nello scacchiere internazionale. portandosi dietro tagli occupazionali, desertificazione industriale e impoverimento di aree del paese dove erano attivi dei distretti industriali o aziende legate alla mono committenza.

Gli ultimi 15 sono stati anni assai difficili per gran parte dei Paesi occidentali, per quanto concerne l'Italia possiamo asserire che non ci sia stata sostanziale ripresa dalla recessione del 2008-2009, dalla crisi dei debiti sovrani del 2012-2013 e infine dalla pandemia, per la Cgia  "il settore manifatturiero italiano ha realizzato un rimbalzo superiore a quello registrato nel resto degli altri principali Paesi Ue". 

Un aspetto rilevante è rappresentato dalla nuova geografia industriale perchè ci sono alcune province in crescita soprattutto nell'area nod est del paese e altre in fase recessiva.

La desertificazione industriale nelle regioni del Sud coincide con la perdita di potere di acquisto dei salariati, il crollo dell'occupazione allargando e amplificando per altro quel divario regionale e territoriale esistente da sempre in Italia

Infine una valutazione indispensabile sui settori usciti a pezzi e quelli con maggiori ricavi dagli ultimi 15 anni, citiamo testualmente un passaggio della ricerca

Il comparto che nell’industria italiana ha subito la contrazione negativa del valore aggiunto più pesante in questi ultimi 15 anni è stato il coke e la raffinazione del petrolio (-38,3 per cento). Seguono il legno e la carta (-25,1 per cento), la chimica (-23,5 per cento), le apparecchiature elettriche (-23,2 per cento), l’energia elettrica/gas (-22,1 per cento), i mobili (-15,5 per cento) e la metallurgia (-12,5 per cento). Per contro, invece, i settori che esibiscono una variazione anticipata dal segno più sono i macchinari (+4,6 per cento), gli alimentari e bevande (+18,2 per cento) e i prodotti farmaceutici (+34,4 per cento).

Siamo davanti a un processo di ristrutturazione economica, settori un tempo trainanti saranno destinati al ridimensionamento nell'arco di pochi  anni e sarà necessario ragionare in termini europei tenendo conto degli atti di indirizzo della Ue che si sta attrezzando per non soccombere davanti ai competitor Usa e asiatici

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