Intervento della Cub al convegno Rete nazionale Lavoro sicuro

Un saluto ai compagni e alle compagne del Si Cobas  da parte della Cub di Pisa impossibilitata a presenziare per la concomitante manifestazione a Vicenza, a sostegno della Resistenza Palestinese. Non vogliamo aggiungere molto a un dibattito già ricco di contenuti e con inchieste sul campo che ci riportano a un approccio storicamente efficace, quello di raccogliere testimonianze ed esperienze direttamente nei luoghi produttivi e dalla voce dei salariati.



Da troppi anni l’approccio alla sicurezza è fin troppo tecnico, quei tecnicismi costruiti ad arte per imbrigliare i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza nella rete aziendali, in ruoli meramente subordinati ai datori, ai Responsabili aziendali.

Gli stessi corsi di aggiornamento per gli Rls denotano un approccio nozionistico e tecnico, non si riflette sulle situazioni concrete, sugli interpelli al ministero del Lavoro, sulle incongruenze del Testo Unico e sulla applicazione materiale delle norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro che avrebbero bisogno di un approccio non subalterno ma intanto analitico e poi conflittuale. Infortuni, malattie e morti sul lavoro non accennano a diminuire anzi nel caso delle malattie assisteremo a un progressivo aumento nei prossimi anni. Con la Fornero e le ultime disposizioni del Governo Meloni registriamo il progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa, rilevati crescenti limitazioni e prescrizioni, attestati di non idoneità alla mansione dei medici competenti aziendali nel corso della sorveglianza sanitaria e in particolare se addetti a mansioni faticose, ripetitive e bisognose di un forte impegno fisico. Conseguentemente risultano aumentate nelle fasce di età più avanzate anche le malattie correlate al lavoro         

Nel 2022 ci sono stati 700 mila infortuni sul lavoro registrati di cui 1250 mortali: in sostanza ogni giorno abbiamo 2 mila infortuni e  4 morti sul lavoro, una cifra sottostimata se pensiamo che numerosi incidenti sul lavoro non risultano tali e si prendono in esame solo i dati Inail.   

Negli ultimi 40 anni la sicurezza aziendale è stata anche occasione per il capitalismo woke di offrire una immagine edulcorata dello sfruttamento, accompagnare i propri prodotti con una retorica della salute che stride fortemente con la realtà. Una situazione variegata, nei luoghi di lavoro troviamo situazioni disparate che vanno dalle classiche condizioni di sfruttamento con orari spezzati, ritmi intensificati e operazioni manuali con pochi strumenti fino ad aziende dove invece ma meccanizzazione è stata costante e sono stati effettuati interventi importanti che hanno ridotto da una parte il classico infortunio sul lavoro ma alimentato dall’altra lo stress psico fisico creando a sua volta innumerevoli e nuove patologie.

Tra le grandi rimozioni troviamo anche gli anni del covid con numerosi lavoratori e delegati sospesi e licenziati per avere pubblicamente denunciato condizioni lavorative senza sicurezza e senza tutele reali. L’obbligo di fedeltà aziendale, i codici di comportamento rappresentano un ostacolo alla affermazione delle nostre istanze, norme costruiti ad arte per impedire anche la libera espressione di opinioni nei luoghi di lavoro e nella società. Da parte nostra crediamo ci sia stata una sostanziale sottovalutazione del ruolo di questi codici comportamentali che vengono fatti passare come rispetto della segretezza aziendale o come buona prassi per non ledere l’onorabilità aziendale. Queste situazioni, assai diffuse, sanciscono non solo la subalternità del lavoratore , e sovente del sindacato, ai datori ma alimentano un clima di paura e di rassegnazione indispensabile per far passare intensificazione dei rimi, flessibilità orarie e di mansioni, aumento dei carichi di lavoro e alla fine anche carenze o assenze dei dpi, di condizioni di reale sicurezza in cui operare.

Abbiamo verificato in alcune cooperative, nelle aziende che si occupano di sicurezza non armata che la inabilità alla mansione viene spesso occultata dallo stesso lavoratore a cui viene detto che alcune prescrizioni pregiudicherebbero anche la conservazione del posto non essendoci soluzioni alternative con un diverso profilo professionale.

L’addetto alla vigilanza in un ipermercato con varie ernie, operato piu’ volte ma in estrema difficoltà a restare per ore in piedi non ha “marcato “ visita dal datore di lavoro occultando al contempo le sue condizioni reali di salute, era consapevole che la inabilità alla mansione avrebbe comportato il suo licenziamento per “oggettiva impossibilità di ricollocarlo ad altra mansione”

L’operaia addetta alle pulizie ha accettato di autoridursi l’orario contrattuale perché consapevole di non riuscire a portare a termine il suo consueto orario e ogni rimostranza alla azienda si è tramutata in minaccia di licenziamento

 

La addetta alla mensa nella azienda pubblica …., reduce da due tumori, è rientrata dopo un anno e mezzo nella mensa ma nel frattempo l’organizzazione aziendale non prevedeva mansioni compatibili con il suo stato di salute , mansioni che erano nel frattempo state esternalizzate e quindi dopo una lunga sequela di trattative  e pressioni si è accordata per un part time al 70 per cento del suo lavoro solo per contenere il danno.

L’addetto al carico e scarico bagagli nell’aeroporto … arrivato a 58 anni ha scoperto varie patologie che rendevano incompatibile la prestazione lavorativa con il suo stato di salute. Per 3 anni è stato impiegato ad altre mansioni, le pulizie degli aeromobili, poi ci sono state reinternalizzazioni (senza forza lavoro ) forzate e le sole mansioni alle quali impiegarlo erano proprio quelle incompatibili con la sua salute. Non gli è rimasto che stare a casa un anno, poi concordare il licenziamento e con un altro anno e mezzo di ammortizzatori sociali arrivare a una pensione anticipata da fame.

Abbiamo evidenziato solo alcuni esempi di come lo sfruttamento nei luoghi di lavoro avvenga costruendo un clima di paura e di rassegnazione e in assenza anche di norme a reale tutela della forza lavoro avendo negli anni costruito una filiera della sicurezza a uso e consumo aziendale.

Ora si tratta di rovesciare l’approccio alla sicurezza partendo dalle istanze della forza lavoro, dai bisogni e problemi reali e per farlo serve un sindacato che non trasformi il RLS in una figura istituzionale e subalterna alle aziende, un approccio conflittuale a partire dall’analisi effettiva di come si vanno trasformando i luoghi di lavoro e tutte le norme chiamate a disciplinare le materie di salute e sicurezza.


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