Una lunga intervista a Gabriel Rockhill sulla Monthly Review....
Una lunga intervista a Gabriel Rockhill (insegna filosofia in università tra gli USA e la Francia) sulla Monthly Review (semplicemente Rivista mensile, edizione americana) riporta in primo piano, per chi lo vuole, una querelle critico-analitico di una discussione mai finita sul senso della storia e del lavoro storico.
Certo, la questione trattata mette assieme un discorso e una esemplificazione molto densa di persone e fenomeni che riguardano la critica illuministica al potere. Ma basta quella critica? e quando la (falsa) critica illuministica riporta indietro l’orologio della storia, come sta accadendo ora?
Rockhill trova in personaggi,
oggi all’ordine del giorno, in senso lato, quali Hanna Arendt e Raymond Aron,
come gli affiliati alla scuola di Francoforte, Horkheimer, Adorno, sino ad arrivare
a Žižek.
Qui mi interessa, al di là delle critiche all’approccio dello scritto, la dialettica impegnativa tra un modo di affrontare la realtà, come questi intellettuali illuministi mettono in campo, e un approccio realistico alle cose, che porta direttamente alla profondità del tessuto storico. Certo l’illuminismo è stato significativo ed in altra epoca ha scardinato il potere regale.
La Rivoluzione francese, specialmente nel segno di
Robespierre e Saint Just, ha veramente scavato nella società francese e, con ulteriori
cerchi di influenze, in quella internazionale, almeno per quanto riguarda
l’Europa ed alcune sue proprietà coloniali. Il resto del mondo andava secondo le
proprie storie secolari.
Rockhill mette assieme una galleria di
notori intellettuali, che possiamo definire illuministi e la mette in
contrasto con altri che tengono, secondo lui, posizioni marxiste, che potremmo
definire classiche. I nomi per questa parte del binomio sono Sartre e la
sua compagna De Beauvoir, Domenico Losurdo, Lenin. Insomma, la classicità
versus la critica moderna, in qualsiasi senso.
Rockhill mette in relazione i maneggi della CIA con l’arcipelago illuminista e trova corrispondenze. Giornali, riviste, intellettuali, giornalisti, centinaia di persone sul libro paga della CIA peer cercare di plasmare la cultura internazionale e made in USA verso le magnifiche sorti del capitalismo americano. Rockhill dichiara: “…la CIA ha promosso l’espressionismo astratto contro il realismo socialista.” Il MOMA (acronimo di Museum of Modern Art, fondato nel 1929) è anch’esso gravitante in quest’ottica e lo scontro con l’arte comunista, finché c’è stata, è (stato) reale.
Anche se sappiamo che la pesantezza di quel tipo di arte, il realismo comunista, non è indifferente alle critiche che si possono elevare, e pare curioso che anche in questo campo si siano create delle asprezze, quando da ogni parte si invoca la libertà artistica, che evidentemente non faceva parte del senso di quell’arte. Arte e cultura entrano poi in gioco quando si tratta di specificare fenomeno storici di altro livello, quali una guerra. Il caso Ucraina è ovvio. La simpatia per l’aggredito ha travalicato qualsiasi possibilità di ragionare sull’avvenimento.
Lo stesso dicasi, sostiene Rockhill, per quanto riguarda lo scontro titanico
con la Cina, da parte degli USA, ma non solo, per ora, in modi diversi che attraverso
una guerra. Una domanda cerca di capire perché la CIA era entusiasta peer le
critiche che alcuni importanti intellettuali francese elevavano verso l’URSS. E
via di questo passo.
Con numerosi esempi l’autore dell’intervista
cerca di mettere in fila tentativi di demolizione del campo comunista da parte
della cultura internazionale. Anche altri autori lo hanno fatto e sono stati
accolti benissimo in USA, Solgenitsin in primis. Altri ancora sono stati tradotti
e pubblicati internazionalmente, anche in italiano. Mi sovviene un libretto di
aforismi di Andrej Siniavskij (Pensieri improvvisi, Jaca book, 1967) a
cui è stato stampato questo aforisma: “Signore, lo vedi. Sono brillo…”. Tralascio
altri edificanti esempi.
Questa macchina di propaganda che tende al controllo del pensiero dell’Occidente è sempre stata molto attenta. Da giovane scrissi due pezzi pet Selezione italiana del Reader’s digest. Una rivista palesemente influenzata dalla CIA. Il sistema era questo. Occorreva tradurre dall’inglese un articolo. Cercare di copiarlo in senso letterario nei paesi interessati, per noi l’Italia, con nomi ed avvenimenti italiani. Ritradurre il pezzo italiano in inglese. Aspettare le critiche della casa madre americana. Ritradurre il tutto in italiano, modificare nel senso indicato e ritradurre in inglese, sperando fosse finita. Veniva pagato il lavoro, non importava fosse pubblicato o meno.
A me successe di lavorare a due pezzi, su
tematiche di contorno. Il primo, pubblicato, sulla paternità in presenza di una
separazione o divorzio: Essere padre, il titolo; il secondo sui
pompieri, mai pubblicato, per evidenti ragioni di differenze tra quanto proposto
per l’Italia e l’esempio americano. Ora questo garbuglio era ancora più scottante
quando lo scritto trattava tematiche politiche più pregnanti e di lotta
culturale. Bene un minestrone da parte di una rivista che vendeva, cartacea,
milioni di copie in tutto il mondò in diverse lingue.
Qui Rockhill ricorda altri luoghi
quali la Fondazione Ford che agiva in modo similare con l’appoggio della CIA.
Un osservato speciale da parte dell’intervistato è la Scuola di Francoforte. Non è possibile qui operare un’analisi dettagliata della stessa, per cause di superficiale conoscenza da parte mia e per gli spazi di queto articolo, ma è significativa nell’intervista l’equiparazione tra la critica all’URSS e l’abbraccio dei maggiori esponenti della Scuola alle azioni belliche mede in USA. Horkheimer, ad esempio, sostenne la guerra degli Stati Uniti in Vietnam, proclamando nel maggio 1967 che "In America, quando è necessario condurre una guerra...
Non si tratta tanto della difesa della patria, ma si tratta essenzialmente della difesa della Costituzione, della difesa dei diritti dell'uomo". Ed ancora, il sostegno all’invasione dell’Egitto nel 1956, da parte di Gran Bretagna, Francia e Israele, considerando Nasser: “…un capo fascista…che cospira con Mosca…”.
Anche altri esponenti più vicini a noi, Habermas, Honneth
e altri sono definiti dall’autore “anticomunisti”. Di fronte a questo gruppo
l’intervistato mette, come contrasto, uno scritto di Domenico Losurdo, La lotta
di classe (prima edizione Laterza 2013) come dire mettere un esponente classico
del marxismo di fronte ai fronzoli modernisti. Le nuove leve della modernista
lotta di ”classe” paiono perciò le moltitudini di negriana memoria (Michael
Hardt, Antonio Negri, Moltitudine, Rizzoli, Milano, 82004).
Un ultimo autore preso di mira è Žižek: “...ora è riconosciuto come uno dei migliori pensatori global dalla rivista Foreign Policy (un braccio virtuale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti).” Insomma, un certo numero di intellettuali intelligenti e famosi, acculturati che cantano, in definitiva le lodi della democrazia borghese. Che almeno ci fosse: “Obiettivamente parlando, gli Stati Uniti non sono mai stati una democrazia. [] Come tutti sanno la popolazione indigena degli Stati Uniti, indicata come gli “spietati selvaggi indiani” nella Dichiarazione di indipendenza…”. E basterebbe fare più attenzione alle istituzioni statali USA per trovarsi d’accordo con l’intervistato.
Si tratta dice Rockhill di un “…governo borghese oligarchico. [] ...un domino plutocratico.” Anche la conduzione e la fine della Seconda guerra mondiale ha rivelato la vicinanza degli USA all’arcipelago fascista e nazista. Insomma, non c’è alcuna parte da salvare in toto in questo potere e nei suoi accoliti, intellettuali inclusi. Chiudiamo con il caso di Donald Trump.
L’intervista in effetti è molto lunga. Vi sarebbe una
infinità di altri accenti da citare. Ma in ogni caso…Trump e l’assalto al Parlamento
USA come un tentativo in fondo gradito alla classe di potere in cui si annidano
molte simpatie per lui. In pratica si assiste ad un assalto che ha visto pochi coscienti
dell’operazione che guidavano una turba di persone, onestamente e veramente
made in USA. Che odiano ed odiavano ogni imposizione governativa e che reclamavano
una sana libertà individuale a tutto tondo. Libertà da cosa, poi? Ma
evidentemente da un potere centrale ritenuto invadente: Ritorna fuori lo
spirito della prateria.
Una parola di conforto alla fine delle
domande? In fondo questa manca e si legge il consiglio di continuare a fare quello
che si può fare. Mettendo per quanto più possibile i bastoni fra le ruote del
capitalismo. Il lavoro intellettuale ha la sua importanza e non va mai messo da
parte. Ma, e qui si rimette in campo la pesantezza delle cose, occorre anche
basarsi su quanto ancora sopravvive del campo comunista per conquistare sempre
più spazio comunista.
Sin qui l’intervista. Due parole per chiosare: la volontà di continuare socialmente e il pessimismo che ci deve guidare nelle azioni di libertà individuale ed in questa situazione anche il lavoro degli intellettuali che l’autore mette sotto feroce critica serve per mettere un contorno di liberazione e di rottura dell’alienazione che ci viene da un mondo borghese impazzito, impazzito per chi soffre e vive una vita da schiavo moderno.
Quindi liberazione in
presenza però di una consapevolezza che la realtà delle cose, il loro essere al
mondo, il loro accadere così come accade è in ultima analisi, un terreno di
scontro politico. Ma certo la questione dell’accadere è anch’essa foriera di discussioni
e parzialità di vedute. Ed il gioco ricomincia: I fatti sociali sono duri!
Tiziano Tussi
Poche cose
tradotte in italiano di Rockhill. Si può trovare in rete un intervento pubblicato
sul sito resistenze – www.resistenze.org 6 luglio 2022: La CIA e l'anticomunismo della
Scuola di Francoforte.
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