Un invito alla discussione tra i lavoratori e le lavoratrici conflittuali

 

Un invito alla discussione tra i lavoratori e le lavoratrici conflittuali

E’ sufficiente circoscrivere la crisi del movimento operaio al tradimento dei vertici delle burocrazie sindacali? E qual è il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori?


Dovremmo trovare  tempo e modo di  aprire un confronto tra i lavoratori e le lavoratrici comunisti\e, farlo in fretta senza ripetere gli errori del passato quando, un trentennio or sono, si cullava l’illusione di indirizzare le organizzazioni sindacali ad una prassi conflittuale inserendosi nei loro gruppi dirigenti senza essere per altro capaci di sviluppare movimenti di lotta, vertenze avanzate e un innalzamento sostanziale del conflitto tra capitale e lavoro. Molti degli assertori di quelle tesi li abbiamo ritrovati nelle segreterie sindacali, nella veste di burocrati e senza mai avere spostato di un centimetro le arrendevoli politiche intraprese nel corso del tempo.

La questione sindacale può essere affrontata in molti modi, ad esempio riprendendo i testi di Lenin sul rapporto tra organizzazione politica e movimento sindacale, il rischio che corriamo è sempre lo stesso ossia la banalizzazione del problema per trovare formule astratte  ma rassicuranti, soluzioni frettolose che alla fine condannano i comunisti ad un ruolo subalterno o di comoda attesa nelle organizzazioni sindacali con maggiori iscritti.

Il primo e indispensabile passaggio dovrà partire dalla analisi del mondo del lavoro per comprenderne le trasformazioni e attrezzarci quando, in nome della riconversione energetica, arriveranno milioni di licenziamenti.  Perché se leggiamo i vari PNRR europei comprendiamo la portata devastante dei processi di digitalizzazione, in Germania ipotizzano nei prossimi anni oltre 5 milioni di licenziamenti compensati solo in parte dalle nuove professioni (circa 3,5 milioni di posti di lavoro)

Innegabile resta l’urgenza di comprendere i  processi di ristrutturazione, per farlo non potremo limitarci a quell’approccio sociologico che per quanto importante porta alla esaltazione di singole figure scisse per altro dal contesto produttivo.

Non sentiamo il bisogno di narrazioni unidirezionali come è avvenuto con l’operaio massa, con il lavoratore autonomo di seconda generazione, non ci interessa in questa sede farlo e non servirebbe al fine di un rilancio della nostra iniziativa pratica.

La mancata unità sindacale è frutto di contraddizioni che non possono essere riassunte nella antitesi tradizionale tra base e vertice, questo valeva 30 e passa anni fa quando molte Rappresentanze sindacali unitarie scesero in piazza contro i vertici sindacali che favorivano la cancellazione della scala mobile o tacevano davanti all’aumento dei ritmi, degli orari e al deterioramento delle condizioni nei posti di lavoro. Quelle Rsu erano anche il risultato delle lotte intraprese tra gli anni sessanta e settanta quando i rapporti di forza erano decisamente migliori dei nostri giorni

Pensare oggi a una contestazione di quella portata è inimmaginabile, veniamo da decenni di subalternità culturale, sindacale e politica della forza lavoro, con sindacati asserviti alle logiche di contenimento del debito che hanno sancito anche lo stravolgimento delle dinamiche contrattuali.

Molte Rsu, se non quasi tutte le Rsu, sono ormai espressione non dei lavoratori che le hanno elette ma delle sigle di appartenenza alle quali rispondono in virtù della asfissiante presenza dei distaccati sindacali di categoria. Di conseguenza  non troveremo posizioni di aperto sostegno ad una nuova scala mobile perchè agganciare i salari al reale costo della vita è orma un argomento tabù,  bandito  per anni dalle sigle rappresentative e non sufficientemente valorizzato anche dal sindacalismo di base  che oggi sconta regole inique in materia di rappresentanza, la limitazione del diritto di sciopero e crescenti difficoltà nella sua stessa agibilità sindacale.

Nel corso dei mesi scorsi abbiamo toccato con mano come i meccanismi propri della contrattazione e dei rinnovi contrattuali (codice Ipca, triennalizzazione dei contratti, deroghe ai contratti nazionali, potenziamento della contrattazione di secondo livello a vantaggio del welfare universale che poi stravolge quello universale) siano divenuti centrali, serve quindi rilanciare una ragionata proposta di revisione di tutti quei meccanismi che ci hanno fatto perdere potere di acquisto ma per farlo occorre avere la forza e la credibilità che invece mancano al movimento comunista.

Siamo uno dei paesi con il più elevato numero di infortuni e di morti sul lavoro, eppure mai è stato convocato uno sciopero generale contro questa disumanità, i Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza sono subalterni alla filiera aziendale e in subordine alle figure datoriali.

Se i delegati Rsu sono espressione delle loro sigle, le stesse Rsu da  oltre 20 anni restano emanazione delle organizzazioni rappresentative e salvo rare eccezioni non rappresentano, come nel passato, un elemento di contraddizione rispetto all’operato sindacale. E forse ci siamo anche illusi che le Rsu potessero svolgere quel ruolo conflittuale determinato dalle commissioni interne, dai comitati di lotta e di base tra gli anni sessanta e settanta, non abbiamo capito che queste Rsu nascevano invece nell’ottica di controllare la classe lavoratrice e non di renderla protagonista.

Molte Rsu, e i loro delegati, hanno introiettato l'idea che si debba contrattare solo quanto deciso dai Ccnl che in pochi anni hanno ridotto ai minimi termini il potere di contrattazione mortificando quello di acquisto.

Capita poi sovente che talune Rsu siano arretrate perfino rispetto alle sigle sindacali (moderate) provinciali finendo con il dedicarsi solo ad amene e inutili discussioni su questioni assai anguste e riconducibili non a vertenze ma a istanze individuali.

In questo contesto sarebbe opportuno invece domandarci quale ruolo abbiano le Rsu, se siano riformabili in una ottica di rilancio della conflittualità nei luoghi di lavoro o se invece sia necessario pensare a nuove forme di rappresentanza all’insegna della lotta di classe confutando pezzo dopo pezzo le regole che hanno allontanato sensibilmente la forza lavoro dal sindacato. Siamo davanti al deterioramento delle Rsu, risultato sia della mancata selezione dei gruppi dirigenti sindacali ma anche del fatto che le stesse ,dentro i meccanismi attuali, abbiano spazi  di manovra alquanto ristretti e ben poco potere contrattuale in virtu’ degli attuali contratti nazionali e di quel devastante sistema delle deroghe che rinvia alla contrattazione di secondo livello.

Una discussione si rende necessaria sui processi di trasformazione del mondo lavorativo, sul modello di contrattazione , sul ruolo dei sindacati , sulla riduzione dell'orario di lavoro, sulla modalità agile  ma anche sulle funzioni e sui limiti delle attuali Rsu, è indispensabile  capire insomma come si sia trasformata la produzione e i settori pubblici e privati, ci sembrano queste premesse indispensabili per rilanciare una proposta all'insegna della unità della forza lavoro e del conflitto dentro cui i comunisti potrebbero, ma non è scontato, giocare un ruolo determinante

 

 

Commenti