Sperare o ragionare

 Sperare o ragionare


 di Tiziano Tussi da www.resistenze.org




Sul numero di Internazionale 1544 appare, tradotto da un articolo del Guardian (giornale inglese), un fondo di Lea Ypi, docente di filosofia, che ha insegnato in università di vari Paesi. Ora è a Londra alla London school of economics, insegna teoria politica. Nata a Tirana nel 1979, quindi troppo giovane per apprezzare i benefici del comunismo quando questi è caduto in quel Paese, dopo la fine dell'URSS, anche se l'Albania si considerava superiore allo stato sovietico. Ma insomma tra l'ironia e la serietà, tra i disastri del mondo comunista e le sue potenzialità, Lea era veramente troppo giovane, forse, per capire bene la situazione. Ma dopo studi in università occidentali qualcosa di più di Kant avrebbe dovuto capirlo.

Nel pezzo essa parte da un uso letterale, la lettura del saggio dello stesso Risposta alla domanda che cos'è l'illuminismo, del 1784. Non so se lo ha letto integralmente con i suoi allievi, poche pagine. Ma sarebbe normale, vista la situazione in cui versano oggi le università trovarsi di fronte ad un estratto di lettura, ad un riassunto, insomma ad una percentuale dello scritto. Ammettendo anche la lettura integrale, mi ha sorpreso l'analisi del testo. Lo stesso che io, al liceo leggevo integralmente ogni anno, per un buon numero di anni, ai miei studenti di quinta Liceo. E non ho mai anticipato lo studio di Kant al quarto anno perché mi pareva sbagliato, ma questa è altra storia.

Dunque, nell'articolo Lea porta diritto Kant e la sua posizione sull'illuminismo al concetto di speranza, non presente nell'elaborato kantiano. "Avere speranza non ha niente a che fare con l'andamento del mondo. È una sorta di dovere, un complemento imprescindibile della moralità. Che senso ha cercare di fare la cosa giusta …" fermiamoci qui. Il resto dell'articolo ruota tutto attorno a questo nucleo. La speranza è un atteggiamento che si deve mantenere sempre, qualsiasi cosa accada.

Bello e significativo, anche un po' banale, ma non è comunque quello che scrive Kant nel suo piccolo saggio. Il nucleo kantiano è così riassumibile: "Ragionate fin che volete su quel che volete, ma obbedite." E si riferisce a Federico II di Prussia, non proprio un democratico ante litteram. Kant invita ad un uso pubblico libero della propria ragione, un uso che si deve praticare in un momento di, oggi si direbbe, discussione culturale pubblica. Mentre nell'uso privato, in pratica il proprio lavoro, va comunque sempre tenuto un atteggiamento di obbedienza al potere.

Come si vede si potrebbe anche scambiare modernamente l'uso pubblico con l'uso privato, impegno sociale contro impegno lavorativo ma questo sarebbe segno dei nostri tempi, e poi non sottilizziamo. All'epoca di Kant l'uso privato consisteva nel compiere il proprio dovere lavorativo, mentre l'uso pubblico riguardava la libertà di pensiero e di elaborazione teorica proposta ad un pubblico indifferenziato. Il filosofo tedesco porta tre esempi: l'agente della riscossione dei tributi, un militare, ed un uomo di chiesa. Tre pilastri sui quali si reggono gli stati: soldi, armi e religione. La religione invero potrebbe anche essere assente o quantomeno limitata, ma gli altri due punti sono inamovibili. Ora Kant ci ricorda che per avere uno stato ben ordinato occorre obbedire agli ordini, leggi e regolamenti, che si possono, nel frattempo, criticare aspramente in sede culturale.

Cosa c'entri tutto questo con la speranza? Ben poco o nulla, si capisce. (Casomai si dovrebbe fare riferimento, ovviamente, al Principio speranza di Ernest Bloch, un lavoro intensissimo, ultraventennale) È veramente sorprendente come anche nelle sfere più elevate dell'insegnamento scolastico, attualmente si celino allievi del pensiero leggero, debole, fluido, senza un fondo di accettazione storica e di uso articolato delle categorie del pensiero. Per di più citando Kant, filosofo mai banale e facile, dal punto di vista della proposta filosofica. Nello scritto in oggetto si dovrebbe forse criticare la divisione secca tra la sfera pubblica e quella privata, l'esempio circostanziato della figura del religioso (dopo pochi anni vi sarebbe stata la Rivoluzione francese con le sue espressioni di laicismo e di ateismo), la simpatia per un rettore di stato autoritario.

Insomma, ben altro che proporre, sulla scia di Kant la speranza come sollievo al male di vivere. E fregarsene se i propri allievi, istupiditi dal cellulare, non capiscono, come dice la Ypi, un accidente di quello che Kant propone. Proprio per cercate di superare il declino della fattualità ci si rivolge ai classici per averne ispirazione per la nostra condotta politica e sociale, non certo per avere speranza, in che cosa poi. A questo basta la religione, che fra l'altro non sta certo dando buona prova di sé, a livello mondiale. Quindi occorre fare attenzione ai voli pindarici con i piedi ben piantati in terra.

 

 

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