L'uguaglianza delle opportunità? Sfatiamone il mito

Anche l'operaio vuole il figlio dottore, era la ironica lettura di una canzone della contestazione (Contessa di Paolo Pietrangeli) per contestare la altezzosità di classe dei più abbienti. Se pensiamo ai dati delle immatricolazioni universitarie, siamo arrivati ai minimi storici almeno da quando l'università è accessibile alle masse. L'ascensore sociale fermo è il risultato dei 40 anni di neoliberismo e della costante delegittimazione degli studi di ogni ordine e grado. Oggi tra numeri chiusi e rincaro dei costi, l'università risulta inaccessibile per tante famiglie che fino a 30 anni fa avrebbero potuto accedervi. Quando si critica il reddito di cittadinanza spesso leggiamo considerazioni generiche per dimostrarne tanto l'inefficacia quanto l'influenza negativa su quanti rinuncerebbero a cercarsi una occupazione contando su qualche entrata. Va detto che queste considerazioni nascono da un falso presupposto secondo il quale non bisogna investire socialmente in misure di sostegno al reddito puntando tutto sul mercato del lavoro che , guarda caso, in Italia produce invece precarietà e salari da fame. Invece di guardare ai numeri si pensa alle percezioni della disuguaglianza economica, il modo migliore per aggirare il problema delle disparità e vendere luoghi comuni come massime filosofiche. Le disuguaglianze economiche preoccupano gli italiani I cittadini Ocse da tempo hanno percepito che con privatizzazioni e depotenziamento del ruolo dello Stato sono cresciute le disuguaglianze economiche, è diminuito il reddito delle famiglie e si sono accentuate le differenze sociali che poi determinano anche molteplici opportunità. Se hai un reddito familiare di oltre 60 mila euro annui avrai opportunità decisamente maggiori e migliori della famiglia che arriva a mala pena a 30 mila, in questo ultimo caso delle prestazioni sanitarie non previste o anche un figlio all'università possono rappresentare motivi per indebitarsi e non arrivare a fine mese Si focalizza l'attenzione sempre piu' sulla necessità di garantire pari opportunità per meglio occultare le disuguaglianze crescenti, in Italia da tempo registriamo la crisi di quella era che classe media soprattutto se legata al lavoro autonomo mentre le classi meno abbienti hanno perso sempre più potere di acquisto, costretti a salari da fame e assegni previdenziali irrisori. Oltre il 18 per cento dei giovani con meno di 26 anni è considerato in povertà, l'11 per cento degli over 65 vive una situazione analoga, crescono le pensioni minime e sempre piu' aumenteranno per gli effetti del sistema contributivo . Registriamo elevati livelli di povertà tra le fasce più giovani della società e anche tra quelle anziane, la presenza di un pensionato in famiglia diventa determinante per la sopravvivenza di interi nuclei Le condizioni di vita delle famiglie immigrate sono ancora peggiori di quelle italiane, non contano percezioni e consapevolezza magari per dimostrare che gli italiani non sono pienamente coscienti della loro condizione, bisogna piuttosto prendere atto che la fiducia è scesa ai minimi termini in presenza di disuguaglianze crescenti, dell'asfittico mondo lavorativo, dei salari e delle pensioni da fame. Sono le condizioni sociali ed economiche a determinare le scelte individuali, nascere in una famiglia ricca o in una povera determina livelli di istruzione e stili di vita completamente diversi e il depotenziamento della scuola pubblica e del welfare giocano a favore dell'acuirsi delle disuguaglianze sociali.

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