Per una tassazione progressiva?

In Italia la imposta complementare del reddito arriva solo nel 1923 ed è funzionale all'aumento delle spese militari e alle missioni coloninali. Si va dibattendo sulla tassazione, siamo certi che il Governo Draghi non si muoverà per ridistribuire ricchezze e tassare i redditi elevati, a dimostrarlo sono le prime anticipazioni della manovra fiscale che non aumenta le aliquote salvaguardando i redditi sopra 73 mila euro. Sono usciti vari contributi, non ultimo quello di Mario Pomini (il prisma della flat tax edizioni Ombre Corte), che analizzano il sistema fiscale dalla storia moderna ai nostri giorni, quando si affronta il tema del fisco dovremmo partire dall'idea di un modello sociale che analizzi il ruolo dello Stato e gli interessi che sostengano la sua concreta azione. Siamo in presenza, dai primi anni ottanta del secolo scorso ad oggi, del rovesciamento di quello che per almeno 40 anni è stato il principio guida dell'azione governativa, tramontato il modello neokeynesiano si sono diffuse teorie neoliberiste improntate a una riduzione del peso dello stato nell'economia, il trionfo del cosiddetto libero mercato. Piu' mercato e meno stato hanno determinato la contrazione del diritto di sciopero, la profonda crisi dei diritti sociali, il ridimensionamento del welfare, l'attacco al sindacato e al potere di contrattazione e di acquisto con crescenti risorse destinate all'impresa e al profitto. Ironia della sorte il debito pubblico aumenta proprio con le politiche neo liberiste fino a diventare il faro guida dell'azione Governativa sostenuta dalla Bce e dal Fmi che , al fine del contenimento del debito, hanno stravolto non solo i dettami Costituzionali ma introdotto l'obbligo del pareggio di bilancio. Non si tratta allora di cedere al conservatorismo caritatevole del capitale per il quale una ridistribuzione delle ricchezze avvenga senza mutare la natura regressiva dello Stato e soprattutto evitando una ridistribuzione delle ricchezze a favore delle classi meno abbienti e del ceto medio. Non parliamo di redistribuzione del reddito, termine alquanto contraddittorio perchè si traduce sovente nella ridistribuzione di cifre irrisorie sotto varie forme. Il carattere non proporzionale ma progressivo delle tassazioni dovrebbe riguardare soprattutto le fasce alte dei redditi che invece sono accumunate in una sorta di unica fascia di tassazione che alimenta la disuguaglianza e l'ingiustizia sociale. Non è casuale che da Reagan alla Thatcher fino al Governo Renzi le aliquote siano state abbattute e diminuite facendo credere che una tassazione eccessiva (si fa per dire) dei redditi elevati avrebbe avuto ricadute solo negative sull'economia tassando chi produce ricchezza a discapito di masse di nulla facenti alle quali, nel miglior dei casi, destinare le briciole del reddito sociale minimo. La cultura neoliberista è stata funzionale all'accrescimento del potere economico e politico del grande capitale e del 10% più ricco della popolazione, analogo discorso potremmo fare tra paesi sviluppati e dominanti rispetto a quello che un tempo definivamo terzo e quarto mondo. In questi ultimi paesi sono cresciute a dismisura le disuguaglianze andando a costruire una sorta di elites che beneficia di buona parte delle ricchezze prodotte in quelle nazioni L'idea che indebolendo lo Stato avremmo spinto il progresso e il profitto a nuovi traguardi si scontra invece con la realtà effettiva, il ruolo dello Stato è determinante per finanziare le grandi trasformazione delle quali poi beneficia il capitale privato che non può rinunciare allo Stato ma vuole solo plasmarlo a sua immagine e somiglianza. Non si tratta di affermare principi di tenue progressività per ridistribuire pochi spiccioli, dovremmo partire dal ruolo dello Stato e da una idea di fiscalità ben diversa da quella caldeggiata dal Governo Draghi per il quale le delocalizzazioni, per fare un esempio attuale, non vanno contrastate ma regolamentate, per il quale i licenziamenti collettivi rappresentano un evento ineluttabile da disciplinare con alcune regole che comunque lasceranno ai padroni piena libertà di licenziamento. Tutti gli economisti liberisti sono da sempre fautori di imposte piatte o di imposte dettate da criteri proporzionali e non progressivi, per loro la idea stessa di tassare progressivamente le ricchezze, e quindi in misura crescente, resta un ostacolo al benessere e al buon, per loro, andamento dell'economia. Prendiamo ad esempio la spesa pubblica italiana che all'inizio della Prima guerra mondiale corrispondeva al 17% del Pil, la spesa è destinata ad aumentare nei decenni successivi, nel 1937 era pari al 31% e a questa cifra resta ancorata almeno per un trentennio (nonostante che il debito pubblico di epoca fascista sia legato alle imprese militari e coloniali) fino a raggiungere il 43% del Pil nel 1990. L'incremento della spesa pubblica è stato possibile dalle improste progressive del reddito, quando è stato deciso dalle autorità finanziarie e politiche dominanti di contenere il ruolo dello Stato e di abbattere le imposte a beneficio dei redditi elevati non solo è stato ridotto il ruolo dello Stato ma sono aumentare le disuguaglianze e sono state abbattute le tasse sui redditi elevati. Il tramonto dell'epoca neokeynesiana, a partire dallo shock petrolifero del 1973, ha comportato la riduzione dell'intervento statale in economia per sostenre occupazione, welfare e sviluppo economico. Da allora il lavoro diventa sempre più precario, il potere di acquisto e di contrattazione falcidiati, il sindacato trasformato in stampella concertativa (in Italia fin dalla svolta dell'Eur a metà degli anni settanta) e il prelievo fiscale ridotto a svantaggio delle classi meno abbienti e più in generale del welfare. Se guardiamo al numero delle immatricolazioni nelle università, tra numeri chiusi e rincari dei costi, appuriamo la diminuizione del numero dei laureati e al contempo la fuga di molti "cervelli" all'estero dove certe figure professionali sono valorizzate anche attraverso livelli stipendiali apprezzabili. L'idea che la efficienza produttiva abbia bisogno di uno Stato meno presente non è la sola teoria neoliberista, c'è anche chi , come Draghi , ritiene invece che si possa piegare lo Stato agli interessi economici capitalistici (il modello renano) proponendo qualche forma redistributiva a beneficio dei redditi medio alti. E in questi scenari si muove la riforma della tassazione del Governo Italiano

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