Pompieri piromani o sulla necessità di distruggere l’Antartide per salvare le città del Nord globale
Finora ci avevano spiegato che “la
temperatura dell’Artico aumenterà tra 3 e 5 gradi centigradi entro il 2050,
devastando la regione e innalzando il livello degli oceani in tutto il mondo. E
sapevamo che lo scioglimento della calotta polare artica provocherà un aumento
dei gas serra incrementando l’acidificazione e l’inquinamento degli oceani… E
pure che questi cambiamenti, ormai irreversibili, colpiranno la popolazione e
la biodiversità dell’intera regione artica”
Ma, a quanto pare, i tempi del
disastro saranno più brevi di quanto credevamo.
Infatti, dal giugno 2019
“numerosi e vasti incendi mettono in serio pericolo il Circolo Artico: le
fiamme sono visibili anche dai satelliti. Dalla Siberia all’Alaska, dal Canada
alla Groenlandia, bruciano migliaia di ettari di territori che per la maggior
parte dell’anno sono coperti da ghiaccio e neve. Nelle ultime sei settimane
sono stati più di cento gli incendi vasti e di lunga durata che si sono
verificati nella zona. Gli effetti del riscaldamento globale si stanno
abbattendo anche sulle regioni più fredde del pianeta, dove le temperature si
stanno alzando più velocemente che nel resto del mondo. Un continente che,
letteralmente, si sta sciogliendo. Le fiamme degli incendi al Circolo Artico
stanno distruggendo foreste e torbiere e la grande portata dei roghi sta provocando
una catastrofe ecologica di enormi dimensioni. In Alaska gli incendi hanno già
bruciato quasi 650 mila ettari di foreste”.
“Il 29 luglio l’astronauta
italiano Luca Parmitano, che da una settimana circa si trova nella Stazione
spaziale internazionale, ha lanciato un grido d’allarme contro il riscaldamento
globale. Tra le altre cose, Parmitano ha affermato: «I deserti avanzano e i
ghiacciai si sciolgono: sono passati appena sei anni dalla mia prima missione
(Volare), ma è bastato affacciarmi alla ‘cupola’ per constatare profondi e
drammatici cambiamenti»”
Contemporaneamente, anche la
calotta del polo sud, l’Antartide, è in via di scioglimento e, come accade
nell’Artico, il fenomeno acquista velocità.
La causa è sempre la stessa, a
nord e a sud: il caos climatico provocato dal capitalismo industriale. I grandi media non ne parlano o
quasi. Perché ci vogliono bene, probabilmente lo fanno per evitarci dei
dispiaceri. Ma, forse, non ne parlano perché
considerano questi fatti meno importanti dell’intensa attività discorsivo/minacciosa
di qualche ministro italiano. D’altronde, non ne parlano neppure
le teoriche opposizioni. Forse, esempio domestico, il fenomeno andrebbe
considerato quando si parla di Treni ad Alta Velocità, di fracking e di altre nefandezze a
la page tra popoli quantomeno poco coscienti della realtà.
Siamo certamente ignoranti ma,
soprattutto, al netto della propaganda non assumiamo il significato delle poche
cose che sappiamo.Già nel 2013 uno studio
dell’Università di Bristol diceva:
“Annualmente si perdono2.800 km3 di ghiaccio (2.800 bilioni di litri) dalla calotta di ghiaccio dell’Antartide… Questa quantità equivale a 700 volte i 4 km3 annui del rifornimento totale d’acqua
potabile nel Regno Unito”.
In base alle logiche della
fisica, oltre alla preannunciata mancanza di acqua dolce paventata per buona
parte dell’umanità nei prossimi anni, indipendentemente
dall’opinione del signor Trump e dei suoi fratelli di fede, ciò provocherà l’aumento
globale del livello del mare.
Questo aumento potrebbe
raggiungere i tre metri verso la fine di questo secolo. Basterà osservare una
cartina per concludere che andranno sott’acqua interi territori e nazioni
insulari nonché molte città costiere.
Per un
ex celodurista probabilmente si tratta di fantascienza. E per Trump di
“propaganda comunista”.
Ma, la
folla di furibondi oppositori – presunti – del neoliberismo n’è più cosciente?
Dalla piccola marca dove abito, l’Italia, non mi pare. Infatti, sia gli uni che
gli altri continuano a fondare i loro programmi sulla crescita, sullo sviluppo,
sul progresso… Certo, gli oppositori ci mettono un cognome: “sostenibile”.
Sostenibile da chi?
I primi
rifugiati climatici propriamente tali sono comparsi nel 2007. I Tuluun provenivano
dalle isole Carteret e buona parte delle loro isole era ormai sott’acqua. Nel
2015 affondarono totalmente. Sono ormai “isole sottomarine”, una sorta di nuova
Atlantide senza alcuna importanza salvo per i Tuluun, che dovettero emigrare a
titolo definitivo nella foresta di Tinputz, sempre sulla costa orientale della
Papua Nuova Guinea.
Racconta un testimone dello sbarco: “Gli uomini schizzarono
verso di noi caricandosi di quasi nulla. Accanto a me, altre persone venute a
riceverle, si avvicinarono per dare loro il benvenuto. L’aria era
contemporaneamente triste ed allegra. Quella semplice scialuppa trasportava
cinque uomini. Era la prima evacuazione ufficiale di un intero paese a causa
del cambiamento climatico”.[7]
Si potrebbe dire, a mo’ di piccola
consolazione, che i Tuluun non ricevettero l’accoglienza descritta da Virgilio:
“In pochi a nuoto arrivammo qui
sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un
costume così barbaro, che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia; che ci
dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra.
Se non nel genere umano e nella
fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli dèi, memori del giusto
e dell’ingiusto.”
A Kiribati, nell’Oceano Pacifico,
i 104.000 abitanti vivono di turismo, pesce e copra, distribuiti sugli 811 km2
delle loro 33 isole. Tuttavia, dal 1989 è ufficiale: sono destinati a finire
presto inghiottiti dal mare.
Nel marzo 2012 il governo ha
comunicato che intendeva acquistare 20 km2 a Viti Levu, la maggiore
delle isole Fiji, a 2.250 km da Tarawa, la capitale di Kiribati. Raccontava il
capo del governo:
“Non abbiamo ancora raggiunto un
accordo per l’acquisto dei terreni. Le chiese di Fiji, che ne sono i
proprietari, li valutano 10 milioni di dollari. Perciò, stiamo valutando anche altre
due ipotesi. La prima, si tratta di una soluzione provvisoria, consiste in costruire
un muro sulla costa delle isole più popolate per contenere il mare. La seconda,
sarebbe una soluzione definitiva, implica costruire una piattaforma fluttuante
come quelle utilizzate dalle compagnie petrolifere”.
Nel 2014, stanco dal gioco al rialzo
delle chiese, il governo ha acquistato per 9 milioni di dollari il fondo
Natoavatu Estate a Vanua Levu. Ma ben presto si è scoperto che non può
garantire cibo e accoglienza a sufficienza e che la sua morfologia è inadatta
ad ospitare insediamenti a lungo termine.
Ergo, nel 2016 il governo ha
chiesto a Dubai suggerimenti per la costruzione di isole artificiali. Nel 2019 non è stata ancora trovata la soluzione È difficile sapere quante persone saranno costrette a
emigrare per gli effetti dei cambiamenti climatici. La serata del 30 luglio, nel programma “In onda”, su la
Sette, è stato detto che saranno tra 25 milioni e 1 miliardo.
Apprezzo che qualche giornalista si occupi del tema in
orari decenti, ma il delta indicato dai loro ospiti mi sembra troppo ampio
perché possa essere di una qualche utilità.E poi, penso che non si deva cercare d’indurre al
terrore. Un miliardo di persone è ovviamente un dato non gestibile. E visto
l’andazzo presumo che le soluzioni tecniche adottate avrebbero più vicinanze
con le camere a gas che con soluzioni umane.
Il cambiamento climatico non ha le sembianze di
un’invasione da popolazioni extraterrestri. Poiché anche in materia ambientale
predomina l’ingiustizia, colpisce prima e più duramente chi ha meno colpe (e dispone
di meno mezzi per scamparla). Quindi, le prime vittime sono e saranno del Sud
globale. Ma difficilmente risparmierà il Nord globale in tempi relativamente
brevi.
Per ora, senza azzardare numeri complessivi, si può ricordare
alcuni dati (dati, non ipotesi):
- Tra il 2008 ed il 2015 circa 203 milioni di persone si sono già dovute spostare in seguito a disastri naturali. Di questi, il 36% provenivano dal Sudest asiatico.
- Nel Bangladesh, il “Piano di Azione e Strategia per il Cambiamento Climatico del governo”, prevede che entro il 2050 dovranno emigrare oltre 20 milioni di persone. Molte di loro finiranno nella capitale, la cui popolazione dovrebbe passare da 14 a 40 milioni di abitanti. Ma le città del Bangladesh non potranno assorbire tutta l’affluenza delle persone costrette ad emigrare.
- Secondo il rapporto “The Hindu Kush Himalaya Assessment: Mountains, Climate Change, Sustainability and People”, pubblicato nel marzo 2019 dall’International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD) di Katmandu, pure i ghiacciai dell’Himalaya si stanno sciogliendo ad un ritmo più veloce di quanto accade in altre aree del mondo.
Questi ghiacciai alimentano i
principali fiumi dell’Asia (Azzurro o Yangztze, Giallo, Gange, Brahmaputra,
Irrawaddy, Mekong…) e garantiscono l’acqua durante la stagione secca. Senza
questo apporto, ad esempio, il Gange e il Fiume Giallo perderebbero il 70%
dell’acqua durante la stagione secca. Nell’ipotesi più ottimistica sul
riscaldamento del pianeta, l’aumento di soli 1,5 gradi sui livelli
preindustriali, scomparirà un terzo dei ghiacciai himalayani.
Le conseguenze su 10 tra i più
importanti sistemi fluviali del pianeta, molti dei quali porterebbero acqua
solo durante la stagione delle piogge, ricadranno direttamente su 2 miliardi di
persone. Piccolo problema: l’80% del raccolto
cinese e il 60% di quello indiano dipendono dall’irrigazione, la quale a sua
volta dipende da questi sistemi fluviali[11].
- Agli inizi del XIX secolo gli europei “scoprirono” il lago Chad, allora tra i maggiori del mondo. Ai confini degli attuali Ciad, Camerun, Niger e Nigeria, le sue acque permettevano che le popolazioni vivessero di pesca e di agricoltura.
Il colonialismo
e cambiamento climatico ne hanno ridotto il volume d’acqua del lago e dei fiumi
tributari. Infatti, all’inizio del III millennio il Lago Ciad si era ridotto a
26.000 km2, il 10% di quanto era 2 secoli prima. Non sembrerà
strano che le popolazioni rimaste senza cibo siano state costrette ad emigrare
o ad arrangiarsi in altri modi. Infatti, poco dopo è comparso Boko Haram e, nel
2011, il governo della Nigeria ha decretato lo stato di emergenza nel nord del
paese, ossia proprio nelle province affacciate sul Lago Ciad.
Boko Haram
è cresciuto e si è radicalizzato sfruttando la disperazione di una popolazione
affamata che non trovava altri modi per guadagnarsi da vivere. Per la cronaca:
all’epoca della comparsa di Boko Haram, il lago si era ormai ridotto a 1.500 km2.
- Dalla fine degli Anni ‘60, il Sudan ha subito una serie di periodi di siccità.
Quindi, i
pastori nomadi e gli agricoltori si sono scontrati lungo conflitti sempre più
feroci per impossessarsi delle poche terre fertili che il progredire del
deserto continuava a ridurre. Si stima
che solo nel Darfur, all’ovest del Sudan, le vittime di queste guerre siano state
tra 200.000 e 500.000. E si sa che nei campi profughi vivono 2 milioni di
persone. Il Sudan è
uno dei pochi casi in cui è stato riconosciuto a livello internazionale che il
cambiamento climatico si trova all’origine della violenza e della guerra
civile. Nell’aprile
2019 la popolazione è riuscita a cacciare il dittatore Omar al-Bashir. Come
andrà ora?
Piccolo resoconto dall’angolo della politica:
“Le forze paramilitari hanno fatto irruzione nel sit-in
in atto davanti al Comando Generale dell’Esercito a Khartoum, sparando contro i
manifestanti e mettendo fine a sei mesi di una rivolta sostanzialmente
pacifica. I soldati si sono fatti strada tra le barricate dei manifestanti,
hanno bruciato le loro tende di campagna sparando e picchiando senza ritegno. Infatti,
dei testimoni hanno raccontato che i soldati hanno sparato indiscriminatamente,
che hanno buttato i corpi dei manifestanti assassinati nel Nilo e che hanno violentato
due dei medici presenti nel sit-in. Ufficialmente, in 48 ore, i morti hanno superato
quota cento, ma decine di cadaveri continuano ad essere pescati dalle acque del
Nilo. Si contano anche 500 i feriti in ciò che potrebbe descriversi soltanto
come un massacro premeditato”[12].
Pronostico
della meteorologia: “La temperatura continuerà ad aumentare e le precipitazioni
a diminuire al ritmo del 5% annuo”.
- È noto l’effetto del clima sui conflitti in Medio Oriente, dalla Primavera Araba (2010-2012), al conflitto in Siria, iniziato nel marzo del 2011 in seguito a un lungo periodo di siccità che portò alla perdita dei raccolti per diversi anni costringendo le famiglie contadine ad emigrare nelle città. La veloce crescita della popolazione urbana, il sovraffollamento e la disoccupazione si trovano all’origine dello scontro politico-militare sul quale si è successivamente innestata l’azione statunitense.
- In base agli scenari di riscaldamento e ai livelli di adattamento usati, si stima che entro il 2080 il cambiamento climatico indurrà tra 1,4 e 6,7 milioni di contadini messicani ad emigrare per la diminuita produttività agricola. L’Agenzia statunitense per lo Sviluppo prevede che nei paesi che conformano il triangolo nord dell’America Centrale diminuiranno le piogge e si prolungheranno i periodi di siccità.
Nell’Honduras, le precipitazioni
scarseggeranno laddove sarebbero necessarie mentre le inondazioni aumenteranno complessivamente
del 60%.
Nel Guatemala, le regioni aride progrediranno
verso le attuali aree agricole, rovinando gli agricoltori.
El Salvador perderà tra il 10% ed il
28% della sua costa prima della fine del secolo. Eccetera.
Ad occhio e croce, date cause e contesto, sembra piuttosto
improbabile che il moltiplicarsi di facce sinistre, torve, truci, molto cattive,
e l’inasprirsi delle minacce includendo “lavori forzati” (“una ragazzata”) ed “espulsioni
di massa” (“ricorsi dialettici”), impedirà il moltiplicarsi delle migrazioni.
En passant, il caso libico con i suoi lager dimostra che per molti emigranti
non esistono minacce peggiori alla morte certa per fame e stenti.
Altrettanto inutile pure il sogno di qualche forza politica
italiana: accerchiare le coste africane con un blocco navale. Resterà inutile
anche se poi proseguono accerchiando le coste asiatiche, poi quelle
mediterranee e, infine, quelle atlantiche e pacifiche (naturalmente l’ordine
può variare), in “un mussoliniano crescendo glorioso ed eroico” che il copione
prevede finisca con l’estinzione dell’ultimo canguro.
La sopravvivenza dei migranti è sinonimo di “pacchia” come
ribadiscono autorevoli fonti ministeriali? Forse sì. Infatti, sopravvivono. E
non è poco.
Ma, senza disturbare la necessità di restare umani, anche
poiché prima bisogna riconoscersi nei valori dell’umano, penso che sarebbe più
interessante, proficuo e proprio della politica, affrontare le cause
dell’emigrazione.A Marte
ben sanno che la principale causa del cambiamento climatico è il capitalismo
industriale basato sull’uso di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone).Pur non
potendo leggere i quotidiani marziani presumo che tutti loro sappiano che:
“In
buona misura, la crisi climatica del XXI secolo è stata provocata da solo 90
aziende.
Queste
90 aziende hanno prodotto il 63% delle emissioni accumulate globali di diossido
di carbono industriale e di metano prodotte nell’era industriale.
Salvo
7 aziende, tutte sono aziende del settore energetico che producono petrolio,
gas e carbone. Le altre 7 producono cemento.La
metà dell’emissioni sono state prodotte negli ultimi 25 anni – molto dopo la
data in cui governi e corporation hanno verificato che le crescenti emissioni
di gas serra derivate dalla combustione di carbone e di petrolio erano causa di
un pericoloso cambiamento del clima”.
L’elenco
delle 90 aziende include 50 società private – soprattutto compagnie petrolifere
come Chevron, Exxon, BP e Royal Dutch Shell, e produttori di carbone come
British Coal Corp, Peabody Energy e BHP Billiton.
Include 31
aziende statali, come Saudi Aramco (Arabia Saudita), Gazprom (Russia) e Statoil
(Norvegia). Include 9
imprese gestite direttamente dai governi, soprattutto nel settore del carbone,
in Cina, l’ex Unione Sovietica, la Corea del Nord e la Polonia .Forse per mancanza di
prospettiva, sulla Terra siamo assai meno informati dei marziani sul nostro
pianeta. Comunque sappiamo che il cambiamento climatico non è il solo problema
che abbiamo davanti.
Infatti, sappiamo che i limiti
planetari identificati sono nove: il cambiamento climatico, l’acidificazione
degli oceani, l’ozono stratosferico, i cicli biogeochimici dell’azoto e del
fosforo, l’uso globale dell’acqua dolce, il cambiamento nella destinazione d’uso
della terra, il tasso di perdita della biodiversità, l’inquinamento chimico ed
il carico atmosferico da aerosol. E sappiamo di avere già superato
almeno tre di questi limiti: il cambiamento climatico, il tasso di perdita
della biodiversità ed i cambiamenti del ciclo dell’azoto.
Grazie
alla loro prospettiva, a Marte persino i bimbi capiscono che i governi del Nord
globale, principali responsabili di questa situazione, dovrebbero prendere
misure chiare ed energiche per arrestare il cambiamento climatico in corso.
Nel 2019 le emissioni di gas ad
effetto serra sono equivalse a circa 40 miliardi di tonnellate.Secondo l’Osservatorio Terrestre
della NASA, 8,4 miliardi di tonnellate derivano dall’uso di combustibili
fossili (principalmente carbone, gas e petrolio).
Secondo l’Agenzia di Valutazione
Ambientale dei Paesi Bassi i paesi più inquinanti sono: Cina, Stati Uniti,
Unione Europea, India, Russia, Giappone, Germania, Canada, Inghilterra, Francia,
Italia e Brasile. In termini di emissioni pro
capite, primeggiano gli Stati Uniti ed il Canada.
Ogni canadese ed ogni statunitense
emette una media di > 15 tonnellate di CO2 annue prodotte dalle loro
trasferte, consumo, uso di energia domestica, ozio e viaggi.
La CO2 equivale a circa il 76%
dell’emissioni di gas ad effetto serra antropogenici.
Tutto
ciò malgrado, sulla Terra compaiono – a volte anche come serissimi progetti
scientifici – proposte di geoingegneria destinate a manipolare i sistemi che
permettono la vita sulla Terra.
Va da
sé: nessuna di queste proposte si propone di risolvere il problema, ma tutte
dichiarano di voler alleggerire i sintomi della malattia in corso.Se
guardate l’elenco delle 90 aziende sopra nominate, la conclusione sarà del
tutto ovvia: di questa distruzione si beneficia soltanto una piccola minoranza
di nazioni, imprese e individui.
Le
proposte della geoingegneria servono esclusivamente questi interessi.
Come ci
ha largamente anticipato Albert Einstein, il fatto è che:
“Si
produce per il profitto, non già per l’uso. Non esiste alcun provvedimento per
garantire che tutti coloro che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre
in condizioni di trovare un impiego; un «esercito di disoccupati» esiste quasi
in permanenza.
Il
lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego. Poiché
i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato
vantaggioso, la produzione delle merci per il consumo è limitata, con
conseguente grave danno. Il
progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione, piuttosto
che in un alleggerimento del lavoro per tutti. Il
movente dell’utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti, è
responsabile dell’instabilità nell’accumulazione e nell’utilizzazione del
capitale, destinata a portare a crisi sempre più gravi”.
Il 18
luglio 2019 l’Istituto di ricerca di Potsdam sugli effetti del cambiamento climatico
(Potsdam-Institut für
Klimafolgenforschung, PIK), interamente
finanziato dal governo tedesco, ha proposto uno di questi nuovi megaprogetti di
geoingenieria. Secondo i grandi scienziati, ha come scopo salvare alcune grandi
città: New York, Shangai, Tokyo, Calcutta…
Direi
che la scelta delle città, assai furbastra, indica che reputano il pericolo
reale ed imminente.
La loro
proposta recita:
“Migliaia
di cannoni lanceranno dal mare 74 bilioni di tonnellate di neve artificiale sui
ghiacciai Pine Island e Thwaites, nell’Antartide occidentale, per rallentarne
lo scioglimento”.
Per la cronaca: a parlare non è
una commissione creata da qualche ministro, non necessariamente serio, integrante
di qualche governo, non troppo credibile, per guadagnare un po’ di tempo prima
di procedere, l’esempio è di pura fantasia, a bucare inutilmente una montagna. Il PIK è invece uno istituto assai
prestigioso, consulente tra l’altro della Banca Mondiale, della Commissione
Europea e, ça va sans dire, del
governo federale tedesco.
Gli scienziati del PIK fanno
parte del gruppo che redige i rapporti del Intergovernmental Panel on
Climate Change (IPCC).
Ottmar Edenhofer, il capo
economista del PIK, coordina il gruppo di lavoro dell’IPCC sul cambiamento
climatico.
Ovvero, si parla del gotha del
pensiero scientifico, in questo caso neoliberista pur se travestito da
“progressismo”.
Come tutto il pensiero
neoliberista, penso si tratti di pensiero folle.
Commentiamo citando ancora due
frasi attribuite ad Albert Einstein:
“La pazzia consiste in fare la
stessa cosa una e altra volta sperando risultati diversi”. “La differenza tra
la genialità e la stupidità è che la genialità ha i suoi limiti”. Detto diversamente, a me pare che
i neoliberisti, sia teorici che imprenditori e/o politicanti, seguono la logica
dei passeggeri e marinai della nave dei folli descritta dal tedesco Sebastian
Brant nel 1494.
Scrive Michel Foucault commentando
questo testo:
“Accadeva spesso che i folli
fossero affidati a battellieri: a Francoforte, nel 1399, alcuni marinai sono stati
incaricati di sbarazzare la città di un folle che passeggiava nudo; nei primi
anni del XV secolo un pazzo criminale è stato spedito nello stesso modo a
Magonza. Talvolta i marinai gettano a
terra questi passeggeri scomodi ancor prima di quanto avevano promesso; n’è stato
testimone quel fabbro di Francoforte, due volte partito e due volte ritornato
prima di essere ricondotto definitivamente a Kreuznach.
Le città europee hanno spesso
dovuto veder approdare queste navi di folli”I due ghiacciai da bombardare si trovano nella zona critica di scioglimento del
ghiaccio. Nell’Antartide, lo scioglimento deriva soprattutto dal riscaldamento
del mare che soffrigge la sua base sottacqua.
Come
tutti processi, non si tratta di un processo lineare ma di un processo in divenire.
Ovvero,
raggiunto un certo livello, lo scioglimento aumenta la vulnerabilità del
ghiaccio e conseguentemente accelera il processo di scioglimento stesso.
Descriviamo sommariamente l’idea esposta
dagli scienziati del PIK:
a) creare decine di bilioni di
tonnellate di neve artificiale
b) lanciare questa neve con cannoni
capaci di spararla oltre i 640 metri di altitudine per superare l’altezza dei
ghiacciai
c) depositare annualmente 10 metri
di neve su di una superficie complessiva di 52.000 km2. Per dare
un’idea, si tratta di una superficie simile alla somma della superficie della Lombardia
(circa 23.861 km²), il Piemonte (25.400 km2) e la Valle d’Aosta (3.262
km2). Oppure, come tutta la superficie del Costa Rica ed
oltre il doppio della superficie di El Salvador)
d) questa operazione dovrà essere
svolta continuativamente per almeno 10 anni, ma se il cambiamento climatico
continua a progredire, si dovrà replicare finché sarà necessaria.
e) la
neve artificiale sarà prodotta con acqua pompata dall’oceano
f) ciò
presuppone due operazioni previe: desalinizzare l’acqua marina e mantenerla
come neve o ghiaccio fino ad integrarla nei ghiacciai
g)
poiché l’operazione richiede la produzione d’ingenti quantità di energia, sarà
necessario installare 12.000 generatori eolici nel mare
h) l’energia
prodotta da questi generatori eolici basterà solo per produrre la neve
artificiale e per lanciarla
i) quindi,
bisognerà provvedere in un altro modo, non specificato nel progetto, per
produrre l’energia necessaria alla costruzione degli impianti, alla domanda
energetica per la desalinizzazione e ad altre fasi legate al processo. Tutte
queste operazioni, da realizzare in condizioni estremamente difficili, sono comunque
processi essenziali.
Ad
esempio, se il bombardamento fosse realizzato con acqua salata, ci sarebbero
seri effetti negativi sui flussi dinamici del complesso della calotta di
ghiaccio dell’Antartide.
L’installazione
dell’infrastruttura per produrre l’energia e dei cannoni per sparare la neve
avrebbe effetti devastanti sulla fauna. Il documento del PIK lo ammette
tranquillamente, affermando che comporterà enormi impatti negativi sull’ecosistema
e sulle specie marine. Il riconoscimento è esplicito: è necessario sacrificare
l’Antartide per salvare le grandi città.
Il
documento riconosce esplicitamente altre non piccole incertezze.
Ad
esempio, non prende in considerazione il riscaldamento addizionale dell’atmosfera
se la temperatura continua ad aumentare; non fa una parola sulle eventuali
conseguenze che comporterebbe muovere enormi masse d’acqua oceanica sulla
circolazione marina e sulla possibilità che ciò aumenti l’ingresso dell’acqua calda
nella base della calotta polare accelerando il suo scioglimento.
Insomma,
come accadde in genere con le proposte della geoingegneria, la medicina
potrebbe essere peggiore della malattia.
Da non
scienziato e poiché in generale il pensiero che si richiama alla sinistra non
mai avuto un rapporto facile con la scienza (non solo il pensiero in alcuni
casi), credo necessario adottare il principio di precauzione.
Tuttavia,
mi sembra estremamente preoccupante che un’istituzione nota e prestigiosa come l’Istituto
Postdam salga sul carro della geoingegneria – peraltro sotto moratoria dal
Convegno sulla Diversità Biologica – peraltro ammettendo esplicitamente che si
tratta di sacrificare interi ecosistemi e che i rischi d’insuccesso e gli
impatti collaterali sono gravissimi.
Il
documento del PIK sostiene che si è arrivati a fare questa proposta perché se
non si rispettano gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi, mantenere l’aumento
medio della temperatura sotto i 2 gradi, l’Antartide continuerà a sciogliersi ed
in 200 anni New York, Tokyo ed altre megalopoli scompariranno. Ergo,
sostengono, bisogna che i governi decidano cosa dovrà essere sacrificato.
A me
pare che la domanda centrale sia invece un’altra: perché, davanti ad una situazione così grave, non si
azzardano proposte altrettanto drammatiche per risolvere le cause e fermare il
cambiamento climatico?
Ne
azzardo una che, tutto sommato, non mi sembra particolarmente drammatica: “Se
il 10% più ricco del pianeta avesse un livello di vita simile a quello di un
cittadino europeo medio (che già è di gran lunga superiore a quello medio a
livello planetario), le emissioni globali di gas ad effetto serra diminuirebbero
del 30%”[22].
La proposta è stata fatta da un assessore del governo inglese, Kevin Anderson, direttore
del Tyndall Centre sui cambiamenti climatici.
Kevin Anderson aveva anticipato
nel 2011:
“L’analisi suggerisce che
malgrado le tante dichiarazioni in senso contrario, già ora ci sono poche
possibilità di mantenere la temperatura superficiale media globale uguale o
inferiore a 2°C che rappresentano la soglia tra «pericoloso» ed «estremamente
pericoloso» del cambiamento climatico … Le attuali proiezioni rivelano che la
mancanza d’azione persistente da oltre 17 anni – periodo nel quale le emissioni
di gas di cambiamento climatico, come il diossido di carbonio, si sono espanse al
di fuori di ogni controllo – ha instradato il mondo verso un aumento potenziale
delle temperature di 4°C verso il 2060 e di 6°C verso la fine del secolo.
Le conseguenze saranno terribili.
Per l’umanità è una questione di vita o di morte… Non si estingueranno tutti
gli esseri umani, e molte tra le persone che disporranno delle risorse adeguate
potranno sopravvivere. Ma credo che con un aumento di 4°C della temperatura sia
poco probabile evitare una mortalità di massa. Se nel 2050 saremmo 9 miliardi e
la temperatura aumenterà di 4, 5 o 6°C, forse riusciranno a sopravvivere 5 miliardi
di persone”.
Da queste dichiarazioni sono
trascorsi 8 anni e la mancanza d’azione persiste ormai da 25 anni.
Poiché
i sovranisti, più o meno analfabeti, del Nord globale, potrebbero pensare che in
quanto razza superiore possono essere certi di fare parte dei sopravvissuti, penso
valga la pena raccontare una piccola storiella sul paese con più poveri al
mondo, non solo come ammonimento ma, anche, per provare a riportare loro
qualche immagine sulla loro realtà:
“Antilla (a Mumbai),
appartiene all’uomo più ricco dell’India, Mukesh Ambani. È la più costosa
abitazione mai costruita, con 27 piani, 3 piattaforme per l’atterraggio di
elicotteri, 9 ascensori, giardini pensili, sale da ballo, palestre, parcheggi a
6 piani e 600 domestici…
Ha
funzionato lo sgocciolamento di grandi quantità di denaro verso i ricchi. Ecco
perché in una nazione di 1.200 milioni di abitanti, le 100 persone più ricche
dell’India possiedono beni personali equivalenti a un quarto del prodotto
interno lordo del paese. Una
serie di scandali ha dimostrato, con penosi particolari, che le grosse imprese
commerciali comprano i politici, i giudici, i burocrati e i mezzi di
comunicazione. Svuotano la democrazia mantenendone soltanto i rituali… Enormi
giacimenti di bauxite, di minerale di ferro, di petrolio e di gas naturale del
valore di bilioni di dollari, sono stati venduti a grosse imprese per una
miseria, sfidando anche la logica contorta del mercato libero. Cordate di politici
e di grosse imprese corrotte hanno cospirato per sottostimare la quantità dei
giacimenti e il reale valore di mercato dei beni pubblici travasando miliardi
di dollari di denaro pubblico.
A
ciò si aggiunge l’appropriazione delle terre, lo sfratto forzato di comunità
formate da milioni di persone delle cui terre si è appropriato lo Stato che le
ha poi consegnate ad imprese private (il concetto d’inviolabilità della
proprietà privata raramente si applica alle proprietà dei poveri)… Poiché
sono scoppiate rivolte di massa, molte delle quali armate, il governo ha fatto
sapere che schiererà l’esercito per reprimerle.
Comunque, le grosse imprese
commerciali e industriali hanno un loro esercito personale e una scaltra
strategia per trattare il dissenso. Ad esempio, con una minuscola parte dei
loro profitti gestiscono ospedali, istituti e fondazioni educative, che a loro
volta finanziano ONG, università, giornalisti, artisti, cineasti, festival
letterari e perfino movimenti di protesta. È una modalità d’uso della
beneficenza utile ad attirare nella loro sfera d’influenza coloro che orientano
e influenzano l’opinione pubblica, un modo per infiltrare la normalità e
colonizzare l’ordinarietà, così che sfidarle appaia tanto assurdo (o tanto
esoterico) come sfidare la «realtà» stessa.
Da qui al «non c’è alternativa»,
il passo è breve”
Chiudiamo con alcune affermazioni
degne di Monsieur de Lapalisse:
- Il motore principale del cambiamento climatico è il capitalismo industriale basato sui combustibili fossili (petrolio, gas, carbone).
- I soli a trarne beneficio sono una sparuta minoranza di paesi, imprese e individui ricchi.
- Le proposte della geoingegneria non sono pensate per salvare città.
- Le proposte della bioingegneria sono pensate per salvare quegli interessi.
- Questo è ciò che bisogna cambiare.
- Sacrificare l’Antartide o qualsiasi altra area del mondo è una pazzia del tutto assimilabile ai sacrifici umani per ingraziarsi il divino.
- Per quanto illustrati, i proponenti sono dei folli.
Secondo i greci, “gli Dei accecano coloro che
vogliono perdere”.
Secondo i romani, “Quos vult Iupiter perdere,
dementat prius”.
Secondo la formula cristiana, “Quos Deus perdere
vult, dementat priu”.
Io sto con Erasmo da Rotterdam.
Vedete voi.
R. A. Rivas Agosto 2019
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