Pompieri piromani o sulla necessità di distruggere l’Antartide per salvare le città del Nord globale

Finora ci avevano spiegato che “la temperatura dell’Artico aumenterà tra 3 e 5 gradi centigradi entro il 2050, devastando la regione e innalzando il livello degli oceani in tutto il mondo. E sapevamo che lo scioglimento della calotta polare artica provocherà un aumento dei gas serra incrementando l’acidificazione e l’inquinamento degli oceani… E pure che questi cambiamenti, ormai irreversibili, colpiranno la popolazione e la biodiversità dell’intera regione artica” 

Ma, a quanto pare, i tempi del disastro saranno più brevi di quanto credevamo.

Infatti, dal giugno 2019 “numerosi e vasti incendi mettono in serio pericolo il Circolo Artico: le fiamme sono visibili anche dai satelliti. Dalla Siberia all’Alaska, dal Canada alla Groenlandia, bruciano migliaia di ettari di territori che per la maggior parte dell’anno sono coperti da ghiaccio e neve. Nelle ultime sei settimane sono stati più di cento gli incendi vasti e di lunga durata che si sono verificati nella zona. Gli effetti del riscaldamento globale si stanno abbattendo anche sulle regioni più fredde del pianeta, dove le temperature si stanno alzando più velocemente che nel resto del mondo. Un continente che, letteralmente, si sta sciogliendo. Le fiamme degli incendi al Circolo Artico stanno distruggendo foreste e torbiere e la grande portata dei roghi sta provocando una catastrofe ecologica di enormi dimensioni. In Alaska gli incendi hanno già bruciato quasi 650 mila ettari di foreste”.

“Il 29 luglio l’astronauta italiano Luca Parmitano, che da una settimana circa si trova nella Stazione spaziale internazionale, ha lanciato un grido d’allarme contro il riscaldamento globale. Tra le altre cose, Parmitano ha affermato: «I deserti avanzano e i ghiacciai si sciolgono: sono passati appena sei anni dalla mia prima missione (Volare), ma è bastato affacciarmi alla ‘cupola’ per constatare profondi e drammatici cambiamenti»”

Contemporaneamente, anche la calotta del polo sud, l’Antartide, è in via di scioglimento e, come accade nell’Artico, il fenomeno acquista velocità.

La causa è sempre la stessa, a nord e a sud: il caos climatico provocato dal capitalismo industriale. I grandi media non ne parlano o quasi. Perché ci vogliono bene, probabilmente lo fanno per evitarci dei dispiaceri. Ma, forse, non ne parlano perché considerano questi fatti meno importanti dell’intensa attività discorsivo/minacciosa di qualche ministro italiano. D’altronde, non ne parlano neppure le teoriche opposizioni. Forse, esempio domestico, il fenomeno andrebbe considerato quando si parla di Treni ad Alta Velocità, di fracking e di altre nefandezze a la page tra popoli quantomeno poco coscienti della realtà.

Siamo certamente ignoranti ma, soprattutto, al netto della propaganda non assumiamo il significato delle poche cose che sappiamo.Già nel 2013 uno studio dell’Università di Bristol diceva:

“Annualmente si perdono2.800 km3 di ghiaccio (2.800 bilioni di litri) dalla calotta di ghiaccio dell’Antartide… Questa quantità equivale a 700 volte i 4 km3 annui del rifornimento totale d’acqua potabile nel Regno Unito”.

In base alle logiche della fisica, oltre alla preannunciata mancanza di acqua dolce paventata per buona parte dell’umanità nei prossimi anni, indipendentemente dall’opinione del signor Trump e dei suoi fratelli di fede, ciò provocherà l’aumento globale del livello del mare.

Questo aumento potrebbe raggiungere i tre metri verso la fine di questo secolo. Basterà osservare una cartina per concludere che andranno sott’acqua interi territori e nazioni insulari nonché molte città costiere.

Per un ex celodurista probabilmente si tratta di fantascienza. E per Trump di “propaganda comunista”.

Ma, la folla di furibondi oppositori – presunti – del neoliberismo n’è più cosciente? Dalla piccola marca dove abito, l’Italia, non mi pare. Infatti, sia gli uni che gli altri continuano a fondare i loro programmi sulla crescita, sullo sviluppo, sul progresso… Certo, gli oppositori ci mettono un cognome: “sostenibile”. Sostenibile da chi?

I primi rifugiati climatici propriamente tali sono comparsi nel 2007. I Tuluun provenivano dalle isole Carteret e buona parte delle loro isole era ormai sott’acqua. Nel 2015 affondarono totalmente. Sono ormai “isole sottomarine”, una sorta di nuova Atlantide senza alcuna importanza salvo per i Tuluun, che dovettero emigrare a titolo definitivo nella foresta di Tinputz, sempre sulla costa orientale della Papua Nuova Guinea.

Racconta un testimone dello sbarco: “Gli uomini schizzarono verso di noi caricandosi di quasi nulla. Accanto a me, altre persone venute a riceverle, si avvicinarono per dare loro il benvenuto. L’aria era contemporaneamente triste ed allegra. Quella semplice scialuppa trasportava cinque uomini. Era la prima evacuazione ufficiale di un intero paese a causa del cambiamento climatico”.[7]

Si potrebbe dire, a mo’ di piccola consolazione, che i Tuluun non ricevettero l’accoglienza descritta da Virgilio:

“In pochi a nuoto arrivammo qui sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro, che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia; che ci dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra.

Se non nel genere umano e nella fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli dèi, memori del giusto e dell’ingiusto.”

A Kiribati, nell’Oceano Pacifico, i 104.000 abitanti vivono di turismo, pesce e copra, distribuiti sugli 811 km2 delle loro 33 isole. Tuttavia, dal 1989 è ufficiale: sono destinati a finire presto inghiottiti dal mare.

Nel marzo 2012 il governo ha comunicato che intendeva acquistare 20 km2 a Viti Levu, la maggiore delle isole Fiji, a 2.250 km da Tarawa, la capitale di Kiribati. Raccontava il capo del governo:

“Non abbiamo ancora raggiunto un accordo per l’acquisto dei terreni. Le chiese di Fiji, che ne sono i proprietari, li valutano 10 milioni di dollari. Perciò, stiamo valutando anche altre due ipotesi. La prima, si tratta di una soluzione provvisoria, consiste in costruire un muro sulla costa delle isole più popolate per contenere il mare. La seconda, sarebbe una soluzione definitiva, implica costruire una piattaforma fluttuante come quelle utilizzate dalle compagnie petrolifere”.

Nel 2014, stanco dal gioco al rialzo delle chiese, il governo ha acquistato per 9 milioni di dollari il fondo Natoavatu Estate a Vanua Levu. Ma ben presto si è scoperto che non può garantire cibo e accoglienza a sufficienza e che la sua morfologia è inadatta ad ospitare insediamenti a lungo termine.

Ergo, nel 2016 il governo ha chiesto a Dubai suggerimenti per la costruzione di isole artificiali. Nel 2019 non è stata ancora trovata la soluzione È difficile sapere quante persone saranno costrette a emigrare per gli effetti dei cambiamenti climatici.  La serata del 30 luglio, nel programma “In onda”, su la Sette, è stato detto che saranno tra 25 milioni e 1 miliardo.

Apprezzo che qualche giornalista si occupi del tema in orari decenti, ma il delta indicato dai loro ospiti mi sembra troppo ampio perché possa essere di una qualche utilità.E poi, penso che non si deva cercare d’indurre al terrore. Un miliardo di persone è ovviamente un dato non gestibile. E visto l’andazzo presumo che le soluzioni tecniche adottate avrebbero più vicinanze con le camere a gas che con soluzioni umane.

Il cambiamento climatico non ha le sembianze di un’invasione da popolazioni extraterrestri. Poiché anche in materia ambientale predomina l’ingiustizia, colpisce prima e più duramente chi ha meno colpe (e dispone di meno mezzi per scamparla). Quindi, le prime vittime sono e saranno del Sud globale. Ma difficilmente risparmierà il Nord globale in tempi relativamente brevi.

Per ora, senza azzardare numeri complessivi, si può ricordare alcuni dati (dati, non ipotesi):

  • Tra il 2008 ed il 2015 circa 203 milioni di persone si sono già dovute spostare in seguito a disastri naturali. Di questi, il 36% provenivano dal Sudest asiatico.
  • Nel Bangladesh, il “Piano di Azione e Strategia per il Cambiamento Climatico del governo”, prevede che entro il 2050 dovranno emigrare oltre 20 milioni di persone. Molte di loro finiranno nella capitale, la cui popolazione dovrebbe passare da 14 a 40 milioni di abitanti. Ma le città del Bangladesh non potranno assorbire tutta l’affluenza delle persone costrette ad emigrare.
  • Secondo il rapporto “The Hindu Kush Himalaya Assessment: Mountains, Climate Change, Sustainability and People”, pubblicato nel marzo 2019 dall’International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD) di Katmandu, pure i ghiacciai dell’Himalaya si stanno sciogliendo ad un ritmo più veloce di quanto accade in altre aree del mondo.

Questi ghiacciai alimentano i principali fiumi dell’Asia (Azzurro o Yangztze, Giallo, Gange, Brahmaputra, Irrawaddy, Mekong…) e garantiscono l’acqua durante la stagione secca. Senza questo apporto, ad esempio, il Gange e il Fiume Giallo perderebbero il 70% dell’acqua durante la stagione secca.  Nell’ipotesi più ottimistica sul riscaldamento del pianeta, l’aumento di soli 1,5 gradi sui livelli preindustriali, scomparirà un terzo dei ghiacciai himalayani.

Le conseguenze su 10 tra i più importanti sistemi fluviali del pianeta, molti dei quali porterebbero acqua solo durante la stagione delle piogge, ricadranno direttamente su 2 miliardi di persone. Piccolo problema: l’80% del raccolto cinese e il 60% di quello indiano dipendono dall’irrigazione, la quale a sua volta dipende da questi sistemi fluviali[11].

  • Agli inizi del XIX secolo gli europei “scoprirono” il lago Chad, allora tra i maggiori del mondo. Ai confini degli attuali Ciad, Camerun, Niger e Nigeria, le sue acque permettevano che le popolazioni vivessero di pesca e di agricoltura.

Il colonialismo e cambiamento climatico ne hanno ridotto il volume d’acqua del lago e dei fiumi tributari. Infatti, all’inizio del III millennio il Lago Ciad si era ridotto a 26.000 km2, il 10% di quanto era 2 secoli prima. Non sembrerà strano che le popolazioni rimaste senza cibo siano state costrette ad emigrare o ad arrangiarsi in altri modi. Infatti, poco dopo è comparso Boko Haram e, nel 2011, il governo della Nigeria ha decretato lo stato di emergenza nel nord del paese, ossia proprio nelle province affacciate sul Lago Ciad.

Boko Haram è cresciuto e si è radicalizzato sfruttando la disperazione di una popolazione affamata che non trovava altri modi per guadagnarsi da vivere. Per la cronaca: all’epoca della comparsa di Boko Haram, il lago si era ormai ridotto a 1.500 km2.

  • Dalla fine degli Anni ‘60, il Sudan ha subito una serie di periodi di siccità.

Quindi, i pastori nomadi e gli agricoltori si sono scontrati lungo conflitti sempre più feroci per impossessarsi delle poche terre fertili che il progredire del deserto continuava a ridurre. Si stima che solo nel Darfur, all’ovest del Sudan, le vittime di queste guerre siano state tra 200.000 e 500.000. E si sa che nei campi profughi vivono 2 milioni di persone. Il Sudan è uno dei pochi casi in cui è stato riconosciuto a livello internazionale che il cambiamento climatico si trova all’origine della violenza e della guerra civile. Nell’aprile 2019 la popolazione è riuscita a cacciare il dittatore Omar al-Bashir. Come andrà ora?

Piccolo resoconto dall’angolo della politica:

Le forze paramilitari hanno fatto irruzione nel sit-in in atto davanti al Comando Generale dell’Esercito a Khartoum, sparando contro i manifestanti e mettendo fine a sei mesi di una rivolta sostanzialmente pacifica. I soldati si sono fatti strada tra le barricate dei manifestanti, hanno bruciato le loro tende di campagna sparando e picchiando senza ritegno. Infatti, dei testimoni hanno raccontato che i soldati hanno sparato indiscriminatamente, che hanno buttato i corpi dei manifestanti assassinati nel Nilo e che hanno violentato due dei medici presenti nel sit-in. Ufficialmente, in 48 ore, i morti hanno superato quota cento, ma decine di cadaveri continuano ad essere pescati dalle acque del Nilo. Si contano anche 500 i feriti in ciò che potrebbe descriversi soltanto come un massacro premeditato”[12].

Pronostico della meteorologia: “La temperatura continuerà ad aumentare e le precipitazioni a diminuire al ritmo del 5% annuo”.

  • È noto l’effetto del clima sui conflitti in Medio Oriente, dalla Primavera Araba (2010-2012), al conflitto in Siria, iniziato nel marzo del 2011 in seguito a un lungo periodo di siccità che portò alla perdita dei raccolti per diversi anni costringendo le famiglie contadine ad emigrare nelle città. La veloce crescita della popolazione urbana, il sovraffollamento e la disoccupazione si trovano all’origine dello scontro politico-militare sul quale si è successivamente innestata l’azione statunitense.

  • In base agli scenari di riscaldamento e ai livelli di adattamento usati, si stima che entro il 2080 il cambiamento climatico indurrà tra 1,4 e 6,7 milioni di contadini messicani ad emigrare per la diminuita produttività agricola. L’Agenzia statunitense per lo Sviluppo prevede che nei paesi che conformano il triangolo nord dell’America Centrale diminuiranno le piogge e si prolungheranno i periodi di siccità.

Nell’Honduras, le precipitazioni scarseggeranno laddove sarebbero necessarie mentre le inondazioni aumenteranno complessivamente del 60%.

Nel Guatemala, le regioni aride progrediranno verso le attuali aree agricole, rovinando gli agricoltori.

El Salvador perderà tra il 10% ed il 28% della sua costa prima della fine del secolo. Eccetera.

Ad occhio e croce, date cause e contesto, sembra piuttosto improbabile che il moltiplicarsi di facce sinistre, torve, truci, molto cattive, e l’inasprirsi delle minacce includendo “lavori forzati” (“una ragazzata”) ed “espulsioni di massa” (“ricorsi dialettici”), impedirà il moltiplicarsi delle migrazioni.

En passant, il caso libico con i suoi lager dimostra che per molti emigranti non esistono minacce peggiori alla morte certa per fame e stenti.

Altrettanto inutile pure il sogno di qualche forza politica italiana: accerchiare le coste africane con un blocco navale. Resterà inutile anche se poi proseguono accerchiando le coste asiatiche, poi quelle mediterranee e, infine, quelle atlantiche e pacifiche (naturalmente l’ordine può variare), in “un mussoliniano crescendo glorioso ed eroico” che il copione prevede finisca con l’estinzione dell’ultimo canguro.

La sopravvivenza dei migranti è sinonimo di “pacchia” come ribadiscono autorevoli fonti ministeriali? Forse sì. Infatti, sopravvivono. E non è poco.

Ma, senza disturbare la necessità di restare umani, anche poiché prima bisogna riconoscersi nei valori dell’umano, penso che sarebbe più interessante, proficuo e proprio della politica, affrontare le cause dell’emigrazione.A Marte ben sanno che la principale causa del cambiamento climatico è il capitalismo industriale basato sull’uso di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone).Pur non potendo leggere i quotidiani marziani presumo che tutti loro sappiano che:

In buona misura, la crisi climatica del XXI secolo è stata provocata da solo 90 aziende.

Queste 90 aziende hanno prodotto il 63% delle emissioni accumulate globali di diossido di carbono industriale e di metano prodotte nell’era industriale.

Salvo 7 aziende, tutte sono aziende del settore energetico che producono petrolio, gas e carbone. Le altre 7 producono cemento.La metà dell’emissioni sono state prodotte negli ultimi 25 anni – molto dopo la data in cui governi e corporation hanno verificato che le crescenti emissioni di gas serra derivate dalla combustione di carbone e di petrolio erano causa di un pericoloso cambiamento del clima”.

L’elenco delle 90 aziende include 50 società private – soprattutto compagnie petrolifere come Chevron, Exxon, BP e Royal Dutch Shell, e produttori di carbone come British Coal Corp, Peabody Energy e BHP Billiton.

Include 31 aziende statali, come Saudi Aramco (Arabia Saudita), Gazprom (Russia) e Statoil (Norvegia). Include 9 imprese gestite direttamente dai governi, soprattutto nel settore del carbone, in Cina, l’ex Unione Sovietica, la Corea del Nord e la Polonia .Forse per mancanza di prospettiva, sulla Terra siamo assai meno informati dei marziani sul nostro pianeta. Comunque sappiamo che il cambiamento climatico non è il solo problema che abbiamo davanti.

Infatti, sappiamo che i limiti planetari identificati sono nove: il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, l’ozono stratosferico, i cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo, l’uso globale dell’acqua dolce, il cambiamento nella destinazione d’uso della terra, il tasso di perdita della biodiversità, l’inquinamento chimico ed il carico atmosferico da aerosol. E sappiamo di avere già superato almeno tre di questi limiti: il cambiamento climatico, il tasso di perdita della biodiversità ed i cambiamenti del ciclo dell’azoto.

Grazie alla loro prospettiva, a Marte persino i bimbi capiscono che i governi del Nord globale, principali responsabili di questa situazione, dovrebbero prendere misure chiare ed energiche per arrestare il cambiamento climatico in corso.

Nel 2019 le emissioni di gas ad effetto serra sono equivalse a circa 40 miliardi di tonnellate.Secondo l’Osservatorio Terrestre della NASA, 8,4 miliardi di tonnellate derivano dall’uso di combustibili fossili (principalmente carbone, gas e petrolio). 
 Secondo l’Agenzia di Valutazione Ambientale dei Paesi Bassi i paesi più inquinanti sono: Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India, Russia, Giappone, Germania, Canada, Inghilterra, Francia, Italia e Brasile. In termini di emissioni pro capite, primeggiano gli Stati Uniti ed il Canada.

Ogni canadese ed ogni statunitense emette una media di > 15 tonnellate di CO2 annue prodotte dalle loro trasferte, consumo, uso di energia domestica, ozio e viaggi.

La CO2 equivale a circa il 76% dell’emissioni di gas ad effetto serra antropogenici.

Tutto ciò malgrado, sulla Terra compaiono – a volte anche come serissimi progetti scientifici – proposte di geoingegneria destinate a manipolare i sistemi che permettono la vita sulla Terra.

Va da sé: nessuna di queste proposte si propone di risolvere il problema, ma tutte dichiarano di voler alleggerire i sintomi della malattia in corso.Se guardate l’elenco delle 90 aziende sopra nominate, la conclusione sarà del tutto ovvia: di questa distruzione si beneficia soltanto una piccola minoranza di nazioni, imprese e individui.

Le proposte della geoingegneria servono esclusivamente questi interessi.

Come ci ha largamente anticipato Albert Einstein, il fatto è che:

Si produce per il profitto, non già per l’uso. Non esiste alcun provvedimento per garantire che tutti coloro che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre in condizioni di trovare un impiego; un «esercito di disoccupati» esiste quasi in permanenza.

Il lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego. Poiché i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato vantaggioso, la produzione delle merci per il consumo è limitata, con conseguente grave danno. Il progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione, piuttosto che in un alleggerimento del lavoro per tutti. Il movente dell’utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti, è responsabile dell’instabilità nell’accumulazione e nell’utilizzazione del capitale, destinata a portare a crisi sempre più gravi”.

Il 18 luglio 2019 l’Istituto di ricerca di Potsdam sugli effetti del cambiamento climatico (Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung, PIK), interamente finanziato dal governo tedesco, ha proposto uno di questi nuovi megaprogetti di geoingenieria. Secondo i grandi scienziati, ha come scopo salvare alcune grandi città: New York, Shangai, Tokyo, Calcutta…

Direi che la scelta delle città, assai furbastra, indica che reputano il pericolo reale ed imminente.

La loro proposta recita:

“Migliaia di cannoni lanceranno dal mare 74 bilioni di tonnellate di neve artificiale sui ghiacciai Pine Island e Thwaites, nell’Antartide occidentale, per rallentarne lo scioglimento”.

Per la cronaca: a parlare non è una commissione creata da qualche ministro, non necessariamente serio, integrante di qualche governo, non troppo credibile, per guadagnare un po’ di tempo prima di procedere, l’esempio è di pura fantasia, a bucare inutilmente una montagna. Il PIK è invece uno istituto assai prestigioso, consulente tra l’altro della Banca Mondiale, della Commissione Europea e, ça va sans dire, del governo federale tedesco.

Gli scienziati del PIK fanno parte del gruppo che redige i rapporti del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

Ottmar Edenhofer, il capo economista del PIK, coordina il gruppo di lavoro dell’IPCC sul cambiamento climatico.

Ovvero, si parla del gotha del pensiero scientifico, in questo caso neoliberista pur se travestito da “progressismo”.

Come tutto il pensiero neoliberista, penso si tratti di pensiero folle.

Commentiamo citando ancora due frasi attribuite ad Albert Einstein:

“La pazzia consiste in fare la stessa cosa una e altra volta sperando risultati diversi”. “La differenza tra la genialità e la stupidità è che la genialità ha i suoi limiti”. Detto diversamente, a me pare che i neoliberisti, sia teorici che imprenditori e/o politicanti, seguono la logica dei passeggeri e marinai della nave dei folli descritta dal tedesco Sebastian Brant nel 1494. 
Scrive Michel Foucault commentando questo testo:

Accadeva spesso che i folli fossero affidati a battellieri: a Francoforte, nel 1399, alcuni marinai sono stati incaricati di sbarazzare la città di un folle che passeggiava nudo; nei primi anni del XV secolo un pazzo criminale è stato spedito nello stesso modo a Magonza. Talvolta i marinai gettano a terra questi passeggeri scomodi ancor prima di quanto avevano promesso; n’è stato testimone quel fabbro di Francoforte, due volte partito e due volte ritornato prima di essere ricondotto definitivamente a Kreuznach.

Le città europee hanno spesso dovuto veder approdare queste navi di folli”I due ghiacciai da bombardare si trovano nella zona critica di scioglimento del ghiaccio. Nell’Antartide, lo scioglimento deriva soprattutto dal riscaldamento del mare che soffrigge la sua base sottacqua.

Come tutti processi, non si tratta di un processo lineare ma di un processo in divenire.

Ovvero, raggiunto un certo livello, lo scioglimento aumenta la vulnerabilità del ghiaccio e conseguentemente accelera il processo di scioglimento stesso.

Descriviamo sommariamente l’idea esposta dagli scienziati del PIK:

a) creare decine di bilioni di tonnellate di neve artificiale

b) lanciare questa neve con cannoni capaci di spararla oltre i 640 metri di altitudine per superare l’altezza dei ghiacciai

c) depositare annualmente 10 metri di neve su di una superficie complessiva di 52.000 km2. Per dare un’idea, si tratta di una superficie simile alla somma della superficie della Lombardia (circa 23.861 km²), il Piemonte (25.400 km2) e la Valle d’Aosta (3.262 km2). Oppure, come tutta la superficie del Costa Rica ed oltre il doppio della superficie di El Salvador)

d) questa operazione dovrà essere svolta continuativamente per almeno 10 anni, ma se il cambiamento climatico continua a progredire, si dovrà replicare finché sarà necessaria.

e) la neve artificiale sarà prodotta con acqua pompata dall’oceano

f) ciò presuppone due operazioni previe: desalinizzare l’acqua marina e mantenerla come neve o ghiaccio fino ad integrarla nei ghiacciai

g) poiché l’operazione richiede la produzione d’ingenti quantità di energia, sarà necessario installare 12.000 generatori eolici nel mare

h) l’energia prodotta da questi generatori eolici basterà solo per produrre la neve artificiale e per lanciarla

i) quindi, bisognerà provvedere in un altro modo, non specificato nel progetto, per produrre l’energia necessaria alla costruzione degli impianti, alla domanda energetica per la desalinizzazione e ad altre fasi legate al processo. Tutte queste operazioni, da realizzare in condizioni estremamente difficili, sono comunque processi essenziali.

Ad esempio, se il bombardamento fosse realizzato con acqua salata, ci sarebbero seri effetti negativi sui flussi dinamici del complesso della calotta di ghiaccio dell’Antartide.

L’installazione dell’infrastruttura per produrre l’energia e dei cannoni per sparare la neve avrebbe effetti devastanti sulla fauna. Il documento del PIK lo ammette tranquillamente, affermando che comporterà enormi impatti negativi sull’ecosistema e sulle specie marine. Il riconoscimento è esplicito: è necessario sacrificare l’Antartide per salvare le grandi città.

Il documento riconosce esplicitamente altre non piccole incertezze.

Ad esempio, non prende in considerazione il riscaldamento addizionale dell’atmosfera se la temperatura continua ad aumentare; non fa una parola sulle eventuali conseguenze che comporterebbe muovere enormi masse d’acqua oceanica sulla circolazione marina e sulla possibilità che ciò aumenti l’ingresso dell’acqua calda nella base della calotta polare accelerando il suo scioglimento.

Insomma, come accadde in genere con le proposte della geoingegneria, la medicina potrebbe essere peggiore della malattia.

Da non scienziato e poiché in generale il pensiero che si richiama alla sinistra non mai avuto un rapporto facile con la scienza (non solo il pensiero in alcuni casi), credo necessario adottare il principio di precauzione.

Tuttavia, mi sembra estremamente preoccupante che un’istituzione nota e prestigiosa come l’Istituto Postdam salga sul carro della geoingegneria – peraltro sotto moratoria dal Convegno sulla Diversità Biologica – peraltro ammettendo esplicitamente che si tratta di sacrificare interi ecosistemi e che i rischi d’insuccesso e gli impatti collaterali sono gravissimi.

Il documento del PIK sostiene che si è arrivati a fare questa proposta perché se non si rispettano gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi, mantenere l’aumento medio della temperatura sotto i 2 gradi, l’Antartide continuerà a sciogliersi ed in 200 anni New York, Tokyo ed altre megalopoli scompariranno. Ergo, sostengono, bisogna che i governi decidano cosa dovrà essere sacrificato.

A me pare che la domanda centrale sia invece un’altra: perché, davanti ad una situazione così grave, non si azzardano proposte altrettanto drammatiche per risolvere le cause e fermare il cambiamento climatico?

Ne azzardo una che, tutto sommato, non mi sembra particolarmente drammatica: “Se il 10% più ricco del pianeta avesse un livello di vita simile a quello di un cittadino europeo medio (che già è di gran lunga superiore a quello medio a livello planetario), le emissioni globali di gas ad effetto serra diminuirebbero del 30%”[22]. La proposta è stata fatta da un assessore del governo inglese, Kevin Anderson, direttore del Tyndall Centre sui cambiamenti climatici.

Kevin Anderson aveva anticipato nel 2011:

L’analisi suggerisce che malgrado le tante dichiarazioni in senso contrario, già ora ci sono poche possibilità di mantenere la temperatura superficiale media globale uguale o inferiore a 2°C che rappresentano la soglia tra «pericoloso» ed «estremamente pericoloso» del cambiamento climatico … Le attuali proiezioni rivelano che la mancanza d’azione persistente da oltre 17 anni – periodo nel quale le emissioni di gas di cambiamento climatico, come il diossido di carbonio, si sono espanse al di fuori di ogni controllo – ha instradato il mondo verso un aumento potenziale delle temperature di 4°C verso il 2060 e di 6°C verso la fine del secolo.

Le conseguenze saranno terribili. Per l’umanità è una questione di vita o di morte… Non si estingueranno tutti gli esseri umani, e molte tra le persone che disporranno delle risorse adeguate potranno sopravvivere. Ma credo che con un aumento di 4°C della temperatura sia poco probabile evitare una mortalità di massa. Se nel 2050 saremmo 9 miliardi e la temperatura aumenterà di 4, 5 o 6°C, forse riusciranno a sopravvivere 5 miliardi di persone”.

Da queste dichiarazioni sono trascorsi 8 anni e la mancanza d’azione persiste ormai da 25 anni.
Poiché i sovranisti, più o meno analfabeti, del Nord globale, potrebbero pensare che in quanto razza superiore possono essere certi di fare parte dei sopravvissuti, penso valga la pena raccontare una piccola storiella sul paese con più poveri al mondo, non solo come ammonimento ma, anche, per provare a riportare loro qualche immagine sulla loro realtà:
“Antilla (a Mumbai), appartiene all’uomo più ricco dell’India, Mukesh Ambani. È la più costosa abitazione mai costruita, con 27 piani, 3 piattaforme per l’atterraggio di elicotteri, 9 ascensori, giardini pensili, sale da ballo, palestre, parcheggi a 6 piani e 600 domestici…

Ha funzionato lo sgocciolamento di grandi quantità di denaro verso i ricchi. Ecco perché in una nazione di 1.200 milioni di abitanti, le 100 persone più ricche dell’India possiedono beni personali equivalenti a un quarto del prodotto interno lordo del paese. Una serie di scandali ha dimostrato, con penosi particolari, che le grosse imprese commerciali comprano i politici, i giudici, i burocrati e i mezzi di comunicazione. Svuotano la democrazia mantenendone soltanto i rituali…  Enormi giacimenti di bauxite, di minerale di ferro, di petrolio e di gas naturale del valore di bilioni di dollari, sono stati venduti a grosse imprese per una miseria, sfidando anche la logica contorta del mercato libero. Cordate di politici e di grosse imprese corrotte hanno cospirato per sottostimare la quantità dei giacimenti e il reale valore di mercato dei beni pubblici travasando miliardi di dollari di denaro pubblico.

A ciò si aggiunge l’appropriazione delle terre, lo sfratto forzato di comunità formate da milioni di persone delle cui terre si è appropriato lo Stato che le ha poi consegnate ad imprese private (il concetto d’inviolabilità della proprietà privata raramente si applica alle proprietà dei poveri)… Poiché sono scoppiate rivolte di massa, molte delle quali armate, il governo ha fatto sapere che schiererà l’esercito per reprimerle.

Comunque, le grosse imprese commerciali e industriali hanno un loro esercito personale e una scaltra strategia per trattare il dissenso. Ad esempio, con una minuscola parte dei loro profitti gestiscono ospedali, istituti e fondazioni educative, che a loro volta finanziano ONG, università, giornalisti, artisti, cineasti, festival letterari e perfino movimenti di protesta. È una modalità d’uso della beneficenza utile ad attirare nella loro sfera d’influenza coloro che orientano e influenzano l’opinione pubblica, un modo per infiltrare la normalità e colonizzare l’ordinarietà, così che sfidarle appaia tanto assurdo (o tanto esoterico) come sfidare la «realtà» stessa.

Da qui al «non c’è alternativa», il passo è breve”

Chiudiamo con alcune affermazioni degne di Monsieur de Lapalisse:

  • Il motore principale del cambiamento climatico è il capitalismo industriale basato sui combustibili fossili (petrolio, gas, carbone).
  • I soli a trarne beneficio sono una sparuta minoranza di paesi, imprese e individui ricchi.
  • Le proposte della geoingegneria non sono pensate per salvare città.
  • Le proposte della bioingegneria sono pensate per salvare quegli interessi.
  • Questo è ciò che bisogna cambiare.
  • Sacrificare l’Antartide o qualsiasi altra area del mondo è una pazzia del tutto assimilabile ai sacrifici umani per ingraziarsi il divino.
  • Per quanto illustrati, i proponenti sono dei folli.

Secondo i greci, “gli Dei accecano coloro che vogliono perdere”.

Secondo i romani, “Quos vult Iupiter perdere, dementat prius”.

Secondo la formula cristiana, “Quos Deus perdere vult, dementat priu”.

Io sto con Erasmo da Rotterdam.

Vedete voi.

R. A. Rivas Agosto 2019
da http://rodrigoandrearivas.com/


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