Il salario minimo e i reali problemi rimossi dall'agenda politica e sindacale

C'è qualcosa di strano nel dibattito sul salario minimo con il Governo che nulla intende fare per rivedere i meccanismi che hanno portato alla perdita del potere di acquisto di salari e pensioni perchè intervenire su questi meccanismi significherebbe entrare in diretta collisione con i dettami europei. Sta qui il nodo da sciogliere, ovviamente per chi intenda farlo, rivendere i codici Ipca, i contratti al ribasso, il monopolio della contrattazione, le politiche di contenimento dei salari e delle pensioni.E' sicuramente sbagliata la scelta dei sindacati rappresentativi di pretendere che un salario minimo sia solo discusso all'interno della contrattazione canonica, quella contrattazione che ha salvaguardato invece pensioni e previdenza integrativa ma assai poco i diritti dei lavoratori, dei precari e dei pensionati.
Ben due sono  le proposte di legge in Senato che dovrebbero fissare il limite minimo sotto il quale  non far scendere la paga oraria. I sindacati complici, al contrario, hanno invece perseverato nella firma di contratti nazionali costruiti appositamente per ridurre ai minimi termini la dinamica salariale , quei contratti pensati anche per favorire i processi di esternalizzazione e di privatizzazione dei servizi pubblici.
 
La proposta del M5S fissa a 9 euro/ora al lordo degli oneri previdenziali e assistenziali la paga minima oraria, una proposta importante ma non certo rivoluzionaria mentre invece Confindustria la ritiene assolutamente errata perchè ostacolerebbe, a detta loro, la ripresa dell'economia.
Sulla stessa linea anche il PD che invece fissava la paga minima a 9 euro/ora netti.

Stabilire allora la paternità della proposta sul salario minimo non è cosa facile visto che i due partiti sono uno al Governo e l'altro all'opposizione. Ma in gioco c'è un'altra partita per i sindacati assai piu' rilevante perchè stabilire la rappresentatività rappresenta un punt nevralgico per chi ha giocato la carta della maggiore rappresentatività per escludere i sindacati di base e qualsiasi rivendicazione non in linea con i dettami padronali e di Maastricht.

Sullo sfondo, non dimentichiamolo, la tutela della proprietà capitalistica e lo stesso dominio di classe,la tutela del monopolio della contrattazione e di un ruolo sindacale che con la difesa delle classi subalterne e con il conflitto tra capitale e lavoro ha poco o nulla da spartire.

In Italia oltre il 12% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, milioni di lavoratori percepiscono salari mensili di poco superiori alla soglia della povertà.
 

E poi come dovremmo finanziare il salario minimo? Tagliando soldi ad altri lavoratori, rivedendo in peggio i meccanismi di contrattazione nel Pubblico impiego tagliando i fondi della produttività e tramutando, nel privato, gli aumenti salariali in bonus aziendali o nella sanità\previdenza integrativa?

Nello stesso tempo peggiorano le condizioni di lavoro e di vita, aumenta la intensità del lavoro e la durata della giornata lavorativa, non si arresta la disoccupazione, i prezzi dei generi di largo consumo non diminuiscono e cosi' le spese per affitti, mutui, per la sanità e la istruzione.
Ecco spiegata la contraddizione, da una parte è del tutto legittimo che il Parlamento fissi un salario minimo ma senza intervenire sulle dinamiche salariali, sul costo della vita, sul sistema previdenziale e sanitario si rischia di andare poco lontano.

Non serve ribadire la necessità della trasformazione rivoluzionaria della società capitalista o l'abbattimento del modo di produzione, gli aumenti salariali e l'abbattimento del costo della vita, salari e pensioni dignitose, una esistenza non falcidiata da costi in continuo aumento, sono questi i punti salienti di un programma minimo di classe con il quale muovere rivendicazioni forti e dirompenti. E tutto cio' dovrebbe rappresentare una inversione di tendenza capace di affermare diritti sociali e rivendicazioni di classe delle quali invece non si intravede neppure l'ombra

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