Dinamiche relazionali nei gruppi e interventi educativi
M@GM@ Rivista Internazionale di Scienze Umane e Sociali propone
Dinamiche relazionali nei gruppi e interventi
educativi
di LAURA TUSSI
M@GM@ Rivista Internazionale di Scienze Umane e
Sociali - Osservatorio Processi Comunicativi Associazione Culturale Scientifica
propone vari interventi psicopedagogici inerenti le dinamiche relazionali nei
gruppi e interventi educativi
M@GM@ Rivista Internazionale di Scienze Umane e Sociali - Osservatorio
Processi Comunicativi
Associazione Culturale Scientifica propone vari interventi psicopedagogici
inerenti le dinamiche relazionali nei gruppi e interventi educativi
Perché si muore?
Forse perché non si sogna abbastanza.
Fernando Pessoa
Nella comunità sociale il gruppo di pari comprende individui di uguale età, non
solo adolescenti o bambini, ma anche adulti e anziani che vivono insieme,
collettivamente, le stesse esperienze amicali, ludico/ricreative, per cui si
trovano insiemi comunitari per esempio tra gli ex combattenti e partigiani,
alla bocciofila come ai giardini, piuttosto che in parrocchia. Per
l’adolescente è fondamentale nello sviluppo psicoaffettivo l’esperienza
gruppale, in quanto egli vive la necessità di passare da un gruppo all’altro
nel ritorno inconscio ad un nucleo protettivo come la famiglia d’origine. Ma il
gruppo dei pari assume gli aspetti di una famiglia allucinatoria,
apparentemente protettiva e difensiva, perché in realtà pone di fronte alla
vita, ai rischi, alle prime inevitabili esigenze d’evasione e conseguenti
esperienze di trasgressione. Risulta importante osservare come l’adolescente
sia un soggetto ancora debole, fragile emotivamente, che si ritiene forte,
invulnerabile, in grado di poter affrontare le difficoltà della vita,
proteggendosi dentro una “corazza” caratteriale in realtà effimera, ostentando
spavalderia, presunzione, aperta ribellione con atteggiamenti eccentrici,
irriverenti, mascherando così intime insicurezze.
Il gruppo dei coetanei aiuta
ad affrontare le esigenze umane, gli impulsi naturali nel percorso di
iniziazione all’età adulta, che consistono nell’osare, provocare, rischiare,
trasgredire, “andare oltre” le regole, le norme, i tabù, i divieti, le imposizioni,
sconfessando valori acquisiti, smascherando ipocrisie latenti, opponendosi alla
banalità di futili convenzioni, rifiutando doveri, procastinando scadenze sine die, sfidando e sovvertendo usi e
costumi ricorrenti, divertendosi e soffrendo, reagendo alla disperazione in
modo frenetico, esibendo, ostentando la propria immaturità come un vessillo,
rivelando così l’intimo e sofferto rifiuto di nascita al mondo, anche se
attraverso “evasioni” spesso modeste, puerili, vivendo fino all’estremo un
desiderio di trasgressione aperta contro ogni forma di autorevolezza e
imposizione, rivendicando attenzioni mai concesse, mettendosi così a contatto
con la sperimentazione effettiva del vivere. Per cui, oltre la trasposizione
metaforica, il giovane avverte la realtà concreta dell’esistenza da accettare
come tale senza utopie ed idealizzazioni astratte, spesso deludenti che svelano
disincanto e disillusione, sempre costellata, lungo il suo corso di difficoltà,
inciampi, disagi, delusioni, pericoli e paure esistenziali, finalizzati a mete
da raggiungere, a traguardi da conquistare, per cui risulta difficile ritenere
negativa l’esigenza di natura trasgressiva, in quanto fa parte dei passaggi
esistenziali, dei continua, delle mete apicali che caratterizzano i percorsi
formativi. L’importanza pedagogica, per esempio, dello scoutismo consiste nel
creare, ricostruire la situazione di pericolo e di vivere ed affrontare il
rischio in una sorta di ambiente protettivo, famigliare, ma al contempo, in
competizione con gli altri e la natura circostante, simulando, fuor di
metafora, condizioni e situazioni richieste dal percorso di vita e
dall’esperienza, creando una dimensione di avventura esistenziale (dal latino
ad-venio, le cose che si incontrano), di ricerca e sperimentazione continue sul
significato ed il senso dell’essere al mondo, dell’esistere.
Nello scoutismo la trasgressione, l’avventura vengono idealizzate e
finalizzate, assumendo i caratteri di un imprescindibile valore di matrice
pedagogica per imparare a “diventare adulti” o almeno comprendere che la
maturità e con essa il mito della perfezione, saranno mete vagheggiate per
tutta la vita, che nel desiderio della loro piena realizzazione, costituiranno
lo slancio valoriale, l’anelito esistenziale nel percorso di formazione, per
vivere nel quotidiano la progettualità presente e futura. Ogni gruppo umano ha
bisogno di costituirsi tale perché individualmente non si otterrebbero
risultati. L’insieme gruppale si istituisce per realizzare il senso di
appartenenza insito nell’individuo, il quale ha bisogno di una comunità che
protegga e che, in realtà, si rivela uno strumento per realizzarsi, emanciparsi
per diventare persona, individuo, soggetto autonomo, in una condizione di
passaggio, di transito, di cambiamento esistenziale e formativo sostanziale.
Infatti se in adolescenza non si sperimenta questa condizione collettiva, di
appartenenza ad un insieme, si sogna un gruppo, si cerca una comunità per tutta
la vita.
All’interno di una prospettiva pedagogica si indaga “cosa” il mondo
retrospettivo, il vissuto, l’esperienza ha insegnato, “come” abbiamo appreso,
“cosa” riusciamo a trasmettere ad altri, in base al nostro bagaglio
esperienziale, culturale, valoriale, “come” siamo cambiati e “in che modo”
inventiamo, suscitiamo progetti di cambiamento negli altri. I gruppi assumono
una funzione pedagogica soprattutto quando ci allontaniamo da essi per
inventarne e costituirne altri creati da noi, in base alle nostre esigenze e
mete, secondo obiettivi prefissati.
La comunità dei coetanei assume una funzione difensiva, protettiva dalle ansie
per la perdita dell’infanzia, permettendo di superare gradualmente il distacco
affettivo, la separazione psicologica, emotiva, tramite la “desatellizzazione”
dalla famiglia d’origine, ma soprattutto consente di iniziare a prendere le
distanze dal passato, dalla propria fanciullezza (pubertà), spesso evocatrice
di minorità, inferiorità per l’adolescente che ad essa attribuisce
l’acquisizione delle regole gerarchiche, del senso di giustizia, del danno
psicologico dell’ingiustizia, dell’offesa, del torto, delle prime
discriminazioni, delle prime sofferenze esistenziali, frustrazioni affettive,
difficoltà ed incomprensioni relazionali nell’avversione viscerale contro
l’acritico rispetto delle norme, nell’intolleranza profonda nei confronti di
ruoli impositivi.
Il gruppo dei pari, di coetanei adolescenti, a scuola, ai giardini, ovunque,
diventano luogo intimo di appartenenza emotiva ed affettiva, dove si iniziano a
sperimentare le prime forme di seduzione, di sessualità, a vivere l’errore, il
“desiderio di erranza” esistenziale, sperimentando il significato del
trascorrere del tempo, della sua perdita, del suo spreco smisurati, eccessivi,
in fantasie, discorsi, elucubrazioni apparentemente futili, ma necessari per la
maturazione di un’identità interiore, per imparare a “poetare
l’irraggiungibile”, “quando l’immaturità coincida con una dimensione del mondo
interiore coltivata fin da piccoli e con l’aiuto di qualche adulto,
preveggente, un poco immaturo, prezioso mèntore” (Demetrio, 1998).
Nel gruppo si vive l’esigenza di trascorrere il tempo senza concludere nulla
avvertendo la sensazione ed il privilegio di poterlo perdere in tutto ciò che
apparentemente potrebbe risultare insignificante, ma che è indispensabile all'adolescente
per sviluppare e crearsi un'interiorità, una dimensione intima e segreta, come
risorsa esistenziale creativa, per alimentare il "puer" poetico che
lo accompagnerà nel corso dell’esistenza, “che sarebbe povera ed insignificante
senza una tensione verso una maturità irraggiungibile”, “pensando così ad
un’altra immaturità che sappia continuare ad alimentare la nostra vita di
innocenza e speranza, che possa rivelarsi una risorsa creativa”, valoriale, il
cui potere sia quello di cambiarci, rinnovarci verso nuove esperienze e
progetti decisionali di coraggiosa svolta radicale: un luogo dell’anima che non
coincide sempre col disagio e la malattia, da coltivare con una mente, libera
da preconcetti (Tussi, 1999). “La personale dimensione interiore, sempre fonte
di nuova ricerca autobiografica, deve essere prima di tutto coltivata
individualmente ed autogestita consapevolmente, per poi essere ripartecipata e
risocializzata, scoprendo così che l’origine della propria vita, la matrice
dell’esistenza personale, il vero “luogo natio” è quello dove sempre ognuno
presta uno sguardo consapevole nella dimensione interiore, individuale del sé”.
I gruppi dei pari secondo un’analisi antropologica permettono di vivere
l’ancestrale esperienza tribale con i suoi totem, simboli, oggetti di culto,
tensioni passionali, in una dimensione arcana, primitiva, originaria che
riporta agli episodi di drammaticità delle situazioni relazionali con il mondo
esterno in posizione di aperta ostilità, ostinata irriverenza nei confronti dell’autorità,
provocazione, trasgressione ed aggressione i cui aspetti latenti e tragiche
manifestazioni, secondo una prospettiva sociologica ed antropologica,
costituiscono processi e dinamiche collettive inevitabili. Per gli educatori ed
i pedagogisti alcuni eventi, condizioni e circostanze di aggregazione di
gruppi, costituiscono realtà oggettive da osservare in quanto dinamiche
processuali a livello sociale di carattere devastante, distruttivo ed
aggressivo, secondo il disappunto critico ed una certa inquietudine pedagogica
per i fenomeni trasgressivi degeneranti e incontrollabili.
La dimensione pedagogica si rende conto del contrasto tra civiltà ed inciviltà,
e si dimostra in grave imbarazzo per alcuni aspetti e fenomeni trasgressivi di
aperta sfida contro il mondo e il sistema che scaturiscono dai gruppi. La
preoccupazione nei confronti della trasgressione rientra nella deontologia
professionale di qualsiasi educatore e pedagogista, che non si accontenta di
descrivere, osservare ed analizzare le fenomenologie sociali (come per la
psicosociologia e l’antropologia), ma deve intervenire nei gruppi in modo
effettivo, concreto, reale, per renderli im-pari, secondo una prospettiva di
intervento militante, per creare, all’interno dell’apparente inoppugnabile coesione,
una propizia scissione interna, innescando dinamiche di confutazione e di messa
in discussione di presunte e idealizzate affinità, disgregando legami elettivi
spesso inibitori, per suscitare tensioni interne di cambiamento e rinnovamento,
introducendo insopportabili e scomode diversità, generando in tal modo la
feconda dissociazione degli elementi, orientandoli e finalizzandoli ad attività
costruttive e creative, sublimandone le potenzialità intrinseche, le cariche
emotive e pulsionali, in quanto “smettere di cercare, di imparare, di
avventurarsi altrove è più devastante del morire”.
Gli adulti educatori devono affrontare, provocare, sfidare l’intrinseca
coesione apparentemente indissolubile del gruppo per intervenire, dove poi
subentrerà un consequenziale e naturale scioglimento, una scissione interna
sofferta, perturbatrice e foriera di sentimenti nostalgici di abbandono da
parte dei componenti dell’insieme collettivo. Quest’ultimo diventerà col tempo
dis-pari ed assumerà gli aspetti ed i caratteri intrinseci di un gruppo
amicale, non più dei pari, con la perdita dolorosa di alcuni elementi e
l’acquisizione spontanea o voluta di altri, imparando così ad elaborare la
sofferenza emotiva della separazione, il trauma del distacco affettivo, a
convivere con il dolore della solitudine, con la fatica, le difficoltà
dell’esistere, assimilando e trasformando tali stati d’animo in risorse
positive, valoriali, creative e ricreative, per accettare la propria identità e
proiettarla in un futuro possibile, realizzabile, attuabile e concreto.
L’educatore si assume la responsabilità di un ruolo scomodo finalizzato
all’esecuzione di un compito disgregante, perturbatore, che infastidisce,
creando momenti di frattura che disorientano, frangenti di scarto, situazioni
di intolleranza, condizioni di pesante disagio, sentimenti di recondita
insofferenza e ostilità, provocando laceranti e dannosi incidenti di percorso,
affinché il gruppo si attribuisca finalmente una nuova identità, una rinnovata
configurazione che acceleri il processo di crescita, favorendo occasioni per
innestare la dinamica processuale di disgregazione, creando propizi fenomeni di
individualizzazione ed individuazione dei destini, oltre le barriere
intersoggettive e i muri caratteriali, oltre le difficoltà, le diversità
intergenerazionali, l’intolleranza ostile, sradicando convinzioni
precostituite, declassando divi inconsistenti e miti preconfezionati,
attraverso una “funzione di ‘decondizionamento’ dai massmedia, proponendo
ambienti sociali di ‘disintossicazione’ dalla commercializzazione dei messaggi
consumistici” (Tussi, 1999) per formare uomini e donne liberi e consapevoli.
Chi in gioventù è formato da tale esperienza di dinamica processuale,
inevitabile a livello gruppale, affronta in futuro la vita con un accentuato
senso di individualità, soggettività e conseguente stimolo progettuale. Quindi
gli elementi del gruppo transitano dalla coesione interna ad un processo di
individuazione, di emancipazione soggettiva, dove “identificarsi”,
individuarsi, come sostiene la psicanalisi junghiana, significa dividersi,
disgregarsi, separarsi dall’insieme, dalla matrice, dal tutto complessivo e
omnicomprensivo.
La società contemporanea ha bisogno di processi di individuazione perché
attraversa un periodo a forte rischio di standardizzazione ed omologazione.
Secondo dinamiche ed operazioni perverse imposte dal sistema, dai mezzi di
comunicazione massmediale, volti a sradicare il senso di dignità individuale e
personale, il valore ed il significato di una dimensione a livello intimo
interiore, attraverso meccanismi mercificatori di omologazione, per cui la vita
privata, segreta, intima dell’individuo si rivela a rischio di appiattimento,
di standardizzazione.
La funzione pedagogica dell’adulto educatore consiste quindi nel creare
ostacoli invalicabili nel gruppo, che implicano resa, accettazione, sconfitta,
rassegnazione, come gravi e irrimediabili incidenti di percorso, fratture
emotive ed affettive, al fine di instaurare e avviare il processo di
individuazione che si ottiene, per esempio, trasformando un insieme collettivo
di pari, di coetanei e avviando una progettualità futura, una prospettiva
interna al gruppo per sperimentare un senso unitario ed un significato sotteso,
finalizzati ad una meta ad uno scopo e obiettivo da raggiungere, con un portato
valoriale intrinseco.
Il lavoro di strada si compie allontanando, dissociando i ragazzi dal luogo
abituale di incontro, di ritrovo consueto del gruppo, generando uno
“spiazzamento” affettivo, emotivo e cognitivo, introducendo la novità, la
diversità, l’alterità, inserendo nel gruppo “accidenti” tutelati dall’educatore
che introduce, tramite un atteggiamento dialogico aperto, di interscambio,
esperienze di novità, di pensiero, di parole, messaggi e simboli che altrimenti
verrebbero respinti e non si integrerebbero con progetti che apportino
interrogativi, dubbi, perplessità, ricorrendo anche ad una serie di mezzi e
strumenti a carattere artistico, espressivo, ludico/ricreativo e sportivo.
La prospettiva pedagogica per avviare e realizzare il processo di emancipazione
individuale tramite lo spiazzamento a livello emotivo, cognitivo ed affettivo,
utilizza il metodo autobiografico, l’approccio narrativo, per cui la relazione
si fonda sul racconto e l’importanza di comprendere le storie di vita altrui,
per accoglierle, valorizzarle, interiorizzarle, facendone tesoro.
La pedagogia narrativa permette di accedere alle storie dei singoli elementi,
degli individui appartenenti al gruppo, dove la commistione delle vicende
narrate ed ascoltate non deve perdere il profilo del contenuto esperienziale,
del senso sotteso e del significato intrinseco che accomuna e rende partecipi
all’altruità. La specificità della competenza pedagogica consiste appunto nel
raccogliere, rievocare, riconnettere, rimembrare e relazionare storie e
resoconti di eventi che il gruppo non ha mai ascoltato veramente con interesse,
prestando attenzione al contenuto e all’implicito significato, attualizzando
così la trasposizione nella modernità dell’antica funzione narrativa degli
aedi, griot, poi cantastorie e cantori che narrano, rievocano vicende per
inserirsi in gruppi e comunità, attraverso l’esposizione narrativa di storie ed
eventi di vita che vengono riattualizzati, riesumati dal passato, rievocati, e
di rimando rilanciati per ottenere l’incontro, l’appuntamento abituale, al fine
di reincontrarsi e ritrovarsi, in una prospettiva rinnovata di cambiamento,
attraverso l’obiettivo fondamentale, il focus educativo del recupero della
memoria passata, personale e collettiva, sottesa alle implicite e
consequenziali dinamiche metabletiche dell’autonarrazione.
Così nel gruppo, con l’apporto della “pedagogia della memoria”, attraverso il
ricordo fecondo di idee, l’educatore innesta processi di autoriflessione,
rimemorizzazione dell’accaduto nel passato personale, da dove attingere per
rianimare e sviluppare una consapevole dimensione progettuale, decisionale
autogestita ed autoamministrata, in una prospettiva finalmente individuale, non
più d’insieme.
La scrittura di sé, la poesia, la narrazione, secondo l’apporto e contributo
autobiografico attraverso la pedagogia della memoria narrativa del passato,
risultano pratiche creative che costituiscono notevoli e significative
occasioni di interiorizzazione di valori e di introspezione, dove la forza
motrice dell’educazione consista nell’innestare lo stimolo del recupero e della
rivalutazione di una risorsa interiore, di una forma mentis creativa e
ricreativa, catartica perché rigenerante, nel risveglio di una coscienza
personale, individuale, di cui ogni storia costituisce un’esperienza. Una vita
ed un dialogo interiori che possano riunire, fare incontrare, in comunità, in
affinità, per recuperare il proprio sé, per ritrovarsi soggettivamente ed
individualmente, imparando a tollerare ed elaborare condizioni inevitabili di
solitudine esistenziale, pur appartenendo ad un insieme. “Uno sforzo di memoria
autobiografica con uno straordinario valore educativo e culturale nella sua
concreta pratica di formazione ed educazione permanente, che mira ad ottenere
il fondamentale obiettivo di recuperare e tutelare le specificità delle
esperienze soggettive e la loro unicità, che sa creare un argine diffuso e
condiviso contro la violenta pervasività del pensiero unico veicolato dai
massmedia e dall’uniformazione delle coscienze che la cultura consumistica ha
l’esigenza di ottenere. Contro l’ipocrisia e la falsa coscienza di una
rappresentazione virtuale dell’esistenza, dove saltimbanchi, buffoni ed
imbonitori uniformano la cultura popolare nel nulla televisivo. Contro
l’eliminazione di ogni differenza, contro una visione dove ogni cosa ne vale
un’altra, contro un insipiente e fallimentare appiattimento della prospettiva
storica su un presente ricorrente in modo ossessivo come unico luogo di concretezza
del mercato, contro una prospettiva che valorizza solo ciò che possiede un
valore immediato ed economico” (Tussi, 2001).
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