A proposito del 12 ottobre 1492. Alcune osservazioni sul colonialismo, sulle indipendenze latinoamericane e sulla modernità

 

Il coordinamento del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati in occasione del 12 ottobre, ricorrenza dell'arrivo degli europei nel continente americano, propone questo dotto e illuminante articolo dell'amico e collaboratore Rodrigo Rivas, che pur essendo stato scritto un anno fa, a seguito del suo carattere storico, è tutt'altro che superato oltre a mantenere invariato tutto il suo appeal intellettuale. La questione dell'arrivo degli europei nelle Americhe dal punto di vista storiografico si presenta assai delicata e controversa in quanto per molti secoli la narrazione storica è stata monopolio quasi totale dei colonizzatori, i quali, forti della loro presunta superiorità culturale e mossi dal desiderio di arricchimento, non solo non si sono mai posti la questione dei diritti dei popoli originari, ma addirittura hanno attuato una sostanziale rimozione della loro identità, determinando il cosiddetto "occultamento dell'altro" come ampiamente argomentato nell'omonimo saggio da Enrique Dussel, filosofo argentino che vive e insegna da anni in Messico, padre della filosofia della liberazione e raffinato commentatore dell’opera di Marx.

Per scaricare il saggio "L'occultamento dell'altro. Alle origini del mito della modernità". https://www.academia.edu/8273802/Loccultamento_dellaltro_Considerazioni_su_E_Dussel

 

A proposito del 12 ottobre 1492. Alcune osservazioni sul colonialismo, sulle indipendenze latinoamericane e sulla modernità

Qualche settimana fa, scrissi un articolo sull’indipendenza e le feste patrie del Cile che pare non sia stato particolarmente apprezzato da alcuni cileni.

A quel testo vorrei solo aggiungere, a mo’ di  piccolo esempio ulteriore, quanto si legge nel “Atto di costituzione della prima giunta di governo del Cile” (18 settembre 1810):

“… Seguendo l’esempio di quanto ha fatto il signor governatore di Cadice, questa giunta ha depositato tutta la sua autorità nel popolo perché decidesse il Governo più degno di fiducia e più adeguato all’osservanza delle leggi e alla conservazione di questi domini al suo legittimo proprietario e disgraziato monarca, don Ferdinando Settimo …

(Ha deciso) di difendere il regno fino l’ultima goccia del suo sangue, di conservarlo per il signore don Ferdinando Settimo e di riconoscere il Supremo Consiglio di Reggenza …

Tutti i corpi militari, capi, prelati, religiosi e vicini giurarono nello stesso atto ubbidienza e fedeltà alla giunta installata in nome del signore Don Ferdinando Settimo, al quale resterà sempre sottoposta”.

 

A questo malessere, per così dire storico, si è aggiunta pochi giorni fa la raccapricciante scena dei tre manifestanti buttati giù dal ponte di San Roque (Quito) dalla polizia ecuadoriana (https://www.bing.com/videos/search?q=Puente+de+SAb+Roque+Quito&mk).

L’ho vissuta come un aggiornamento su cosa siano lor signori ed i loro corpi militari. 

Un amico la commentò scrivendo: Sono dei Figli di puttana.

Gli ho risposto, ed è meglio non dimenticarlo.

In Italia il problema non esiste poiché nessuna TV ha trovato il tempo per trasmettere la scena.

Basta osservare il Kurdistan e il sopravolo dei rapaci che vanno a esigere un loro ulteriore contributo di sangue.

Il fatto é, per loro più volte ribadita ammissione, che gli Stati Uniti non hanno amici. Hanno solo interessi. Tuttavia, diversamente dagli europei li dichiarano esplicitamente. (https://www.barrypopik.com/index.php/new_york_city/entry/the_united_states_of_america_does_not_have_friends_it_has_interests/).

Naturalmente, parlo dei governi. Tuttavia, devo onestamente ammettere che considero chi si disinteressa del massacro in corso poiché i curdi non ci hanno aiutato in Normandia (come non lo fecero durante le guerre puniche), non sia così diverso intellettualmente dai senatori italiani che votarono, a maggioranza, che Ruby era la nipote di Mubarak.

C’è tuttavia una notevole differenza: Donald Trump è un impunito demagogo ignorante.

Lo era anche la maggioranza dei senatori italiani di quell’epoca. Probabilmente sono sempre  demagoghi. Certamente rimangono impuniti. Ma non credo fossero tutti ignoranti e, sopratutto, si trattava di un collettivo.

Torniamo a noi, occupandoci di cose con più senso.

“L’Atto d’Indipendenza dell’America Centrale” o “Atto d’Indipendenza del Guatemala”, è stato sottoscritto nel Palazzo nazionale del Guatemala il 15 settembre 1821.

Proclamava la separazione dalla Monarchia spagnola e invitava le altre province del Regno di Guatemala a nominare i deputati che, in un congresso convocato per il 1822, avrebbero confermato o meno l’indipendenza (il testo completo può essere consultato in “Historia y Símbolos Patrios de El Salvador”, Departamento de Relaciones Públicas de Casa Presidencial, San Salvador, novembre 1964).

 

“1°: Essendo l’Indipendenza dal Governo Spagnolo volontà generale del popolo del Guatemala e, senza pregiudicare ciò che su questo tema determinerà il Congresso che deve ancora formarsi, il Signor Capo Politico ordina di pubblicare questo atto d’indipendenza per prevenire le conseguenze, che sarebbero terribili, se questa dichiarazione venisse fatta dal popolo stesso”

“10º: Che la religione cattolica, che abbiamo praticato nei secoli precedenti e che praticheremo nei secoli successivi, si conservi pura e inalterabile, mantenendo vivo lo spirito di religiosità che ha sempre contraddistinto il Guatemala, rispettando i ministri ecclesiastici secolari e regolari, e proteggendoli nelle loro persone e proprietà”.

“11°: Che si comunichi ai degni Prelati delle comunità religiose che, per cooperare al mantenimento della pace e tranquillità, primo bisogno dei popoli quando passano da un governo ad un altro, devono disporre che i loro individui stimolino la fraternità e la concordia tra tutti coloro che, essendo uniti dal sentimento generale dell’indipendenza, devono pure esserlo un tutto il resto, soffocando le passioni individuali che dividono gli animi e provocano funeste conseguenze”.

“12º: Che l’Eccellentissimo Municipio, al quale corrisponde la preservazione dell’ordine e della tranquillità, prenda tutte le misure attive necessarie per mantenerlo imperturbabile in tutta questa capitale e nei paesi vicini”.

Commenti:

1) “La storia degli oppressi è un discontinuum (…) Il continuum della storia è quello degli oppressori. La rappresentazione del continuum livella al suolo ogni cosa, quella del discontinuum è alla base di ogni tradizione autentica.

La coscienza della discontinuità storica è propria delle classi rivoluzionarie nel momento della loro azione. Il compito della storia consiste in impossessarsi della tradizione degli oppressi” (“Scritti francesi”, in “Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti, appunti e materiali 1927-1940”).

2) Per i testi ufficiali, le prime lotte anticoloniali, tra cui l’insurrezione indigena capeggiata da Tupaj Amaru nel 1780, non sono lotte anticolonialiste ma soltanto ribellioni o resistenze malgrado siano riuscite a mobilitare la componente essenziale della fase successiva: l’antagonismo di massa.

Come già detto, neppure la fase successiva che culminerà con la formazione delle “giunte di governo” americane susseguenti all’invasione napoleonica della Spagna (1808), aveva scopi indipendentisti.

Solo in seguito al tentativo di restaurazione da parte della Europa colonialista sancito dal Congresso di Vienna (1 ottobre 1814 – 9 giugno 1815), la dinamica della lotta sociale, etnica, religiosa e culturale, si radicalizzava fino a diventare dichiaratamente indipendentista e rivoluzionaria.

3) “Il prete e i terratenenti avevano una voce sola, ed era sacra.

Chi non la rispettava pagava con la sua vita.”  (“Huasipungo”, 1934).

4) Eduardo Galeano: 

“Il «Codice Nero» vietava la tortura degli schiavi nelle colonie francesi. Non era per torturare, ma per educare, che i proprietari terrieri frustavano i loro neri e, quando fuggivano, li recidevano i tendini.

Le «Leggi delle Indie», che proteggevano gli indigeni nelle colonie spagnole, erano assai commoventi. Ma, più commoventi ancora, lo erano la gogna e la forca piantate nel centro di ogni Piazza Maggiore.

Assai convincente era la lettura dell’ingiunzione con la quale, alla vigilia dell’assalto al loro villaggio, si spiegava agli indigeni che Dio era venuto sulla terra.

Che aveva lasciato al suo posto San Pietro.

Che San Pietro aveva lasciato come successore il Santo Padre.

Che il Santo Padre aveva fatto mercè alla regina di Castiglia di tutta questa terra.

Che, quindi, dovevano scegliere tra andarsene o pagare un tributo in oro.

Che, in caso di rifiuto o ritardo, sarebbero stati costretti a scatenare la guerra contro di loro.

Che in seguito sarebbero diventati schiavi, così come le loro donne e figli.

Peccato che questa «Ingiunzione all’Ubbidienza» fosse letta su qualche monte, in piena notte, in lingua spagnola e senza interprete, alla presenza del notaio ma senza alcun indio presente, perché costoro, non avendo la più pallida idea del disastro in arrivo, dormivano beatamente a qualche lega di distanza” (Eduardo Galeano, “Il libro degli abbracci”).

5) Ci sono molti modi di uccidere. Si può infilare a qual­cuno un coltello nel ventre, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massa­crarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra ecc.

Solo poche tra queste modalità sono proibite nel nostro Stato” (“Gesammelte Werke”).

6) Consiglio andino dei popoli originari:

“Il 18 maggio 1781, prima di essere ammazzato per aver condotto una ribellione generale degli indigeni, dei meticci e di altre caste, il capostipite dei ribelli, Túpac Amaru, veniva torturato (…) Prima della sua esecuzione, sulla piazza del Cusco torturavano e strangolavano la moglie, Micaela, il figlio, il cognato, la cacicco di Acos e altri otto collaboratori. Per tutti si usava identica procedura: prima la garrotta (il cerchio di ferro fissato ad un palo stretto mediante una vite al collo del condannato fino a provocarne la morte per strangolamento, abolito in Spagna solo nel 1975, dopo la morte del dittatore Francisco Franco), poi la mutilazione, infine la forca. Ma a Tupaj Amaru è stato riservato un trattamento speciale.

Racconta un testimone del Cusco: «Lo spettacolo pubblico è stato chiuso da Tupaj Amaru. Il boia iniziava tagliandole la lingua. Poi, gli hanno tolto le catene, l’hanno appoggiato in terra e  l’hanno legato, mani e piedi, a quattro corde a loro volta legate a quattro cavalli che quattro meticci hanno spinto in quattro sensi diversi: è stato uno spettacolo mai visto prima in questa città».

Successivamente, «a scopo pedagogico perché gli indigeni capissero la lezione», i suoi resti sono stati appesi in cinque diversi villaggi: in uno c’era la testa, in altri due le braccia, in altri due le gambe. Dopo qualche tempo, quel che restava dei suoi resti venne bruciato e ridotto a ceneri che furono disperse nel vento e nelle acque di un rio «perché non ne restassi neppure una traccia fisica». La casa in cui Tupaj Amaru viveva fu demolita per ordine dei giudici (…)

Prima di essere giustiziato, Tupaj Amaru ha affermato: «Ritornerò. E saremmo migliaia».

Nelle Ande dicono che alla sua testa decapitata stia crescendo il corpo sotto la terra di Abya-Yala (nome che gli indigeni kuna di Panama davano al continente, adottato da tutto il movimento indigeno latinoamericano) e, quando il corpo sarà completo, ritornerà e «tutto ciò che è stato indigeno ritornerà ad esserlo»” (“Tupaj Amaru: un indomable guerrero …” op. cit.).

 


 

L’esecuzione di Túpac Amaru secondo Felipe Guaman Poma de Ayala, cronista indigeno peruviano durante la conquista dell’America.

 

7) Dichiarazione insurrezionale della Giunta Tuitiva nella città di La Paz, 16 luglio 1809:

“Finora abbiamo tollerato una sorta di esilio nel seno stesso della nostra patria; abbiamo osservato con indifferenza per oltre tre secoli la nostra primitiva libertà sottomessa al dispotismo e alla tirannia di un usurpatore ingiusto che, degradandoci dalla specie umana, ci ha trattato come schiavi; abbiamo mantenuto un silenzio abbastanza simile alla stupidità che l’ignorante spagnolo ci attribuisce, soffrendo con rassegnazione che il merito degli americani sia sempre stato un presagio di umiliazione e rovina. Quindi, è ormai tempo di rimuovere un giogo tanto funesto alla nostra felicità quanto favorevole all’’orgoglio nazionale spagnolo. Infine, è ormai tempo d’innalzare la bandiera della libertà su queste sfortunate colonie, acquisite senza alcun titolo e mantenute con la più grande ingiustizia e oppressione …” Documento conservato presso l’Archivio Generale della Nazione Argentina.

8) Guy Debord, “Società dello spettacolo”, 1967, anni prima dell’espansione del neoliberismo:

Tesi 1: “Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto quanto è stato esperimentato direttamente, è diventato rappresentazione, una visione del mondo che si è oggettivata”.

Tesi 4: “Lo spettacolo non è solo un insieme d’immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini”.

Tesi 6: “Inteso nella sua integralità, lo spettacolo è contemporaneamente risultato e progetto del modo di produzione esistente. Non un supplemento del mondo reale o un ornamento aggiuntivo, bensì il nocciolo della mancanza di realismo della società reale”.

Tesi 9: “Nel mondo veramente alla rovescia, il vero è un momento del falso”

Poiché la modernità sbarca nel mondo con l’arrivo delle caravelle di Colombo a Guanahanì, la sostituzione della realtà con un feticcio ha avuto inizio proprio in quel lontano 1492.

Si può ben dire che la funzione dello spettacolo sia la stessa assunta dalla religione nelle società tradizionali e dall’arte nella formazione del capitalismo: trasformare la rappresentazione in un qualcosa che sembra più reale dell’esperienza vissuta, più reale dei nostri stessi bisogni, per ridurre l’individuo alla condizione di spettatore passivo (della politica, della produzione e del consumo) e, in quanto tale, costringerlo ad accettare lo stato di cose esistente.

Esibito e/o in onda permanentemente, lo spettacolo trasforma frottole inaudite in credenze diffuse. La popolazione,  inerme e disarmata, viene indotta ad assumere come vere un sacco di fregnacce.

Mi limito a due piccoli esempi: “Il denaro è creato dagli Stati tramite le banche centrali. La verità è, invece, che queste (vale anche per la BCE naturalmente), non ne creano più del 5%.

Come a dire: Mario deposita 1.000 euro nel suo conto corrente presso la “Banca dei Draghi”. Questa mantiene come riserva il 10% del deposito e presta gli altri 900 euro ad Angela che li usa per acquistare una bara da Donald, il proprietario della maggiore impresa di pompe funebri nel mondo. Donald deposita i 900 euro nel suo conto corrente presso la “Banca degli Orchi e del Linguaggio nero”. Anche questa si tiene come riserva il 10%. Ne rimangono a disposizione 810 euro per un altro prestito.

Ci si può fermare qui. Grazie al debito, l’offerta monetaria (denaro circolante) e arrivata a 2.710 euro (1.000 euro risparmiati da Mario + 900 euro prestati ad Angela + 810 euro a disposizione della “Banca degli Orchi e del Linguaggio nero”). Così, in breve tempo gli enti finanziari possono arrivare al 1.000% dell’investimento iniziale fatto da Mario.

E’ la base di funzionamento del sistema finanziario, anche se l’estrema semplificazione dell’esempio renderebbe necessarie ulteriori precisazioni.

Il secondo esempio di fantascienza è politico.

Henry Kissinger, Premio Nobel della Pace nel 1973, viene solitamente citato come un grande statista e un conferenziere di successo.

Invece, Henry Kissinger ha avuto un ruolo centrale in tutte le atrocità commesse tra il 1969 ed il 1977, come prova l’impressionante mole di documenti declassificati dagli archivi ufficiali dal governo degli Stati Uniti nel 2000 (Cristopher Hitchens, “Processo a Kissinger”, 2018).

In poche parole, l’eroe Kissinger è direttamente responsabile:

– del massacro deliberato di civili in Indocina (1969-1975) e Bangladesh (1971);

– del piano per assassinare il capo dell’esercito di un Paese democratico non in guerra con gli USA (generale René Schneider, Cile, 1970);

– del piano per assassinare il capo di Stato di una nazione democratica (arcivescovo Makarios, Cipro, 1974);

– dei piani genocidi applicati in Timor Orientale (1975-1977);

– del piano di sequestro e assassinio di un ex ministro degli esteri cileno residente a Washington (Orlando Letelier, 1976);

– di coinvolgimento diretto nel massacro di curdi iracheni (1974-1975);

– della destabilizzazione dell’Angola e della successiva guerra civile (1975-1977);

– della repressione condotta dal governo di Reza Pahlevi in Iran (1969-1977);

– del piano d’assassinati in America Latina denominato “Cóndor” (1973-1977);

– probabilmente per non annoiarsi, Kissinger si è incaricato anche di redigere il Memorandum del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti “NSSM 200” (dicembre 1974), che definisce i piani di controllo della natalità da applicare su quelle popolazioni che, abitando in zone ricche di risorse, potrebbero ostacolare il deflusso futuro di queste ricchezze verso gli USA.

Ergo, se si applicassero i precetti decisi dal Tribunale di Norimberga sui crimini di guerra, il sempre lodato statista e conferenziere Henry Kissinger sarebbe dichiarato – oltre ogni ragionevole dubbio – un genocida.

9) César Vallejo, “Masa”

“Alla fine della battaglia, è morto il combattente, a lui venne un uomo e disse:

«Non morire, ti amo tanto!» Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.

Gli si avvicinarono in due e insistettero: «Non lasciarci! Coraggio! Ritorna alla vita!»

Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.

Accorsero venti, cento, mille, cinquecentomila, gridando «Tanto amore e nulla possiamo contro la morte!» Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.

Lo circondarono milioni di individui, con una preghiera comune: «Resta fratello!»

Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.

Allora lo circondarono tutti gli uomini della terra. Li vide il cadavere triste, emozionato; si drizzò lentamente, abbracciò il primo uomo; si avviò …” (in “César Vallejo. Opera Poetica completa” 2008).

10) R. A. Rivas (“Gillet Gialli”, in rodrigoandrearivas.com):

“I programmi delle elite rivoluzionarie hanno sempre puntato ad una società e ad una organizzazione politica future. I gesti, le azioni, i metodi di lotta dei popoli indigeni, rispondevano agli insulti, alle umiliazioni, alla rapina costante subita da loro stessi e dai loro antenati. Si nutrivano di queste  esperienze ereditate e ripetute fino al presente delle loro vite.

Intendo dire che la ribellione sorge dal passato e da questo prende le sue ragioni, i suoi motivi ed i suoi metodi. Che è sempre eredità e genealogia. 

Intendo dire che la rivoluzione che ne deriva – perché non esiste rivoluzione senza una precedente ribellione – abbatte il vecchio ordinamento istituzionale e ne costruisce un’altro. Che, quindi, è programma e politica.

Le motivazioni della ribellione possono non essere contrapposte agli obiettivi politici della rivoluzione, ma sono di sicuro altri (…)

 

·         Rodrigo Andrea Rivas  12 Ottobre 2019

 

http://rodrigoandrearivas.com/2019/10/12/a-proposito-del-12-de-octubre-de-1492-algunas-observaciones-sobre-el-colonialismo-las-independencias-latinoamericanas-y-la-modernidad-a-proposito-del-12-ottobre-1492-alcune-osservazioni-sul-colon/?preview=true&_thumbnail_id=547&fbclid=IwAR0kAqVXTTsNR2f9IdT1njDrjaY8VCOfZ-necRjw7SJI_84XdSIZHnjj9Q0

 

 

 

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