Immagini distorte sulla guerra

 di Tiziano Tussi

 Su Internazionale del 18/24 agosto 2023, N° 1525, viene tradotto e ripubblicato un articolo di Slavoj Žižek uscito originariamente in Inghilterra sul New Statesman che potremmo indicare, come titolo, W i buoni di spirito uniti



L’analisi prende le mosse dalla guerra in Ucraina e ci dice che quel Paese è da ammirare per l’opposizione alla protervia della Russia di Putin: “l’Ucraina ha già perso circa un terzo della sua popolazione tra persone uccise, rapite o emigrate”. Alcuni numeri al riguardo: la popolazione ucraina nel 2021 era circa 43 milioni e mezzo. Un terzo assomma a circa 14 milioni e mezzo di abitanti. I morti in guerra si stimano a 100/200 mila, secondo stime approssimative in ogni caso, molto meno dei morti russi. I rapiti sono ancora meno. Si deduce che il resto sia tutto espatriato.

 Evidentemente poco credibile. In effetti molti se ne sono andati, chi ha potuto e non ha voluto, tra i maschi, andare al fronte. Ma sono soprattutto donne e bambini, che fra l’altro, specialmente in alcune zone, tornano in patria, in estate, e soprattutto nelle provincie dove guerra non ve n’è o è sporadica, non imperversa, totalmente o è presente solo parzialmente. Così come nelle zone occidentali del Paese, al confine con la Moldavia e la Romania e altri Paesi come la Polonia. Questo andirivieni è curioso, dato che il territorio ucraino, in generale, è sotto attacco russo. 

Ma così è. L’articolo prosegue spiegando che proprio ora, mentre la guerra continua “l’Ucraina deve combattere su due fronti”. Contro i russi e per la giustizia nello stato ucraino. Ma intanto: l’Ucraina non esiste, esistono gli ucraini e questi sono di diversa strutturazione psicologica e politica, come in ogni altro stato. Forse ora hanno altri problemi, più impellenti, visto la guerra in corso, che non l’osservanza dei diritti delle persone lgbt+ che dovrebbero essere presenti in un fronte popolare democratico, anche con la sinistra “che condanna l’aggressione russa” ma non vuole che l’Ucraina diventi un paese nazionalista come la Polonia o l’Ungheria. 

Così chiude l’articolo. Forse Žižek non vede che è proprio per la guerra, dovuta anche alle spinte nazionalistiche incrociate, non estranee quelle ucraine, che la popolazione ucraina è chiamata a scegliere una improbabile scelta: o con l’Ucraina o con la Russia. Naturalmente risulta difficile scegliere la Russia, dato che sta bombardando sulla testa gli abitanti ucraini. Difficile operare distinguo precisi e democratici con le bombe che ti cadono addosso. Perciò risulta perlomeno ovvio una scelta di campo totale per il proprio Paese.

 Gli scarti nel sistema democratico ucraino, che farebbe già ridere se non ci fosse una guerra in corso, visto anche la carriera professionale del suo attuale presidente, sono soffocati da un nazionalismo crescente. Tanto che l’avversione verso tutto quello che è russo, dalla cultura al modello di vita, si impone automaticamente. In situazioni di guerra operare sottigliezze, come nota Žižek, è veramente difficile. Solo chi non si trova nella situazione critica militare può appunto chiederselo. E poi non è che l’Ucraina, prima della guerra non esisteva in qualche modo. Il Paese era attraversato da tensioni e scontri politici e militari, dal 2014. Non era un corpo unitario né tantomeno ben bilanciato tra Est ed Ovest. 

Queste diversità si sono spappolate nel corso della guerra. E le contraddizioni da guerra fredda, si sono mutate in altra forma, dopo la fine dell’URSS e l’inizio di questo scontro armato. Quindi si tratta di sopravvivere, e poi si vedrà. Ma almeno occorrerebbe sviluppare un umanesimo con i piedi per terra. Anche la Resistenza italiana, cui Žižek si richiama, ha avuto traversie non da poco per sopravvivere politicamente e socialmente. Ed anch’essa ha attraversato momenti tragici come rotture interne, poca considerazione da parte di fette del mondo politico, dopo la Seconda guerra mondiale ed ha dovuto lottare per la propria sopravvivenza. 

In altro scenario è riuscita a non farsi mettere da parte dai vincitori del conflitto e da settori della classe politica nazionale, mettendo in campo compromessi di vario titolo, a livello nazionale ed internazionale, dimenticando per strada richieste minoritarie e radicali, pur di essere presa in considerazione e non messa in un angolo. 

Limiti che sconta anche ora, ad ogni momento topico del nostro vivere sociale. Richieste magari legittime, ma di difficile fattibilità. Purtroppo, i rapporti tra umani e tra stati sono spesso definiti da lotte per la supremazia. Posizioni di bontà, di chiara volontà etica, sono sovente difficoltose da mettere in pratica e perciò occorre prendere tempo. 

Non si deve pretendere dagli uomini e dalle donne ucraine una guerra continua contro la Russia ed un’altra “contro le molestie dei colleghi” uomini, al fronte. L’indipendenza di genere la si conquista fattivamente senza sollecitazioni da Paese del primo mondo, cui l’Ucraina, al di là delle parole di conforto spese a piene mani, certo non apparteneva, ne appartiene. È lunga la strada per lo sviluppo democratico di ogni Stato. Ce ne accorgiamo anche noi quando vengono a galla porcate sociali quali stupri di gruppo, e controllo mafioso del territorio. 

Difficile dire quale sia un luogo senza profondi guasti sociali, ma almeno per alcuni stati situazioni all’italiana sono sconosciute. Le posizioni di bontà sociale, che poi Žižek critica nella figura dei pacifisti, che invocando la pace sono lontani dalle sofferenze ucraine, hanno comunque il fiato corto, in una situazione di guerra, per di più decisa da potenze troppo grandi per il paese asiatico, che si crede nel cuore dell’Europa. Un contrasto che, sotto altre forme, mette di fronte Russia e USA. Paesi non proprio esempi di risolutivo equilibrio sociale.       

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