La nuova Irpef della Meloni
La nuova Irpef della Meloni
di M.P
Il Parlamento ha approvato la nuova legge-delega di riforma del nostro ordinamento tributario. Siamo per la destra, usando una terminologia calcistica, al secondo tempo della partita. Una prima legge delega è stata approvata con il Governo Berlusconi ancora nel lontano 2003 ed è rimasta sostanzialmente inattuata, un totale flop. Ora la compagine conservatrice, nel frattempo diventata di destra-centro, è tornata alla carica. Quello che sorprende è come le proposte fiscali dei conservatori in più di venti anni non siano cambiate ma siano rimaste sempre le stesse, e per di più in gran parte inattuate. In verità anche i protagonisti sono sempre gli stessi, anche se ora il padre nobile della visione fiscale della destra, il prof. Giulio Tremonti, è transitato, pare per ragioni elettorali da Forza Italia a Fratelli d’Italia, e continua da lì ad offrire le sue consulenze.
Non mancheranno occasioni per fare una valutazione generale
della posposta fiscale della Melonieconomics, qui mi concentro su un aspetto
particolare, ma non secondario visto che coinvolge circa 40 milioni di
contribuenti, e cioè la nuova riforma dell’Irpef. In tutti i progetti del
centro-destra, o da esso appoggiati come la riforma Draghi, troviamo come
elemento centrale la riduzione delle aliquote dell’Irpef. Questa sembra essere
una grande ossessione per i fiscalisti conservatori, come se ridurre le
aliquote magicamente risolvesse i problemi di equità dell’Irpef, imposta pagata
sostanzialmente da lavoratori dipendenti e pensionati. Ma seguiamo l’evoluzione
delle proposte della destra che riservano qualche curiosità.
La prima proposta organica sulle aliquote dell’Irpef è stata formulata dal Governo Berlusconi ed ha portato alla approvazione della legge delega del 2003. Siamo in un periodo in cui l’ideologia della flat tax domina anche il dibattito internazionale e il ministro Tremonti all’art. 2 propone di sostituire l’attuale Irpef con una nuova imposta sul reddito, l’IRE. La nuova Ire avrebbe avuto solo due aliquote, del 23% per i redditi fino a 100.000 euro e del 33% per quelli sopra. Allora, come ora, il centro-destra aveva una maggioranza schiacciante in parlamento.
Passarono i due ani ma la delega non venne esercita
è l’Irpef rimase quella di prima. La ragione: un debito pubblico allora pari al
106% del reddito. La riforma era semplicemente insostenibile per le casse dello
stato e quindi addio al progetto di riduzione delle tasse per ammissione degli
stessi protagonisti.
Poi arriviamo al 2011 e siamo al lumicino del IV Governo Berlusconi. In piena tempesta dei titoli sovrani il centro destra gioca ancora la carta della mega riforma fiscale che viene presentata a fine estate. Non arriverà mai in Parlamento perché di lì a poco Berlusconi sarà sfrattato da Monti. La proposta di delega fiscale del IV governo Berlusconi prevedeva all’art. 3 la sostituzione delle 5 aliquote (23, 27, 38, 41e 43 %) con solo tre aliquote (20, 30 e 40%). Questa sforbiciata avrebbe dovuto comportare una sostanziale riduzione del carico fiscale, sicuramente per il primo e l’ultimo scaglione, ma anche per quelli intermedi, anche se non è possibile dirlo perché la proposta non li specifica. Quando il duo Berlusconi-Tremonti avanzava questa proposta il debito pubblico era già del 116% e si annunciava una tremenda tempesta valutaria. Un banale principio di responsabilità fiscale portava alla ricerca di una soluzione che non avesse alcun impatto sui conti pubblici. La soluzione venne trovata come recita la legge “mediante l'eliminazione o la riduzione totale o parziale dei regimi di favore fiscale attualmente vigenti”.
Quali siano questi regimi fiscali di favore, la proposta li elenca nell’appendice. Sono ben 476 e sono tutti questi casi che ora, con linguaggio più neutrale ma anche più ipocrita, definiamo tax expenditures, a cominciare dalle detrazioni e deduzioni d’imposta che vengono minuziosamente descritte.
Poi il testo, si conclude in maniera
anche divertente, riletto a quasi 13 anni di distanza. Infatti l’at.11 affermava
che da questa operazione non solo non dovevano derivare nuovi oneri per la
finanza pubblica, ma addirittura un risparmio di 4 miliardi nel 2013 e di ben
29 miliardi nel 2014. Però è molto interessante e genuina la motivazione della
eliminazione delle agevolazioni fiscali. Nella proposta si legge che non deve
essere lo stato a decidere come il cittadino debba scegliere dove indirizzare
la spesa. Quindi una visione liberista della solidarietà sociale, affidata
all’individuo e non allo stato. È chiaro tuttavia che finanziare la riduzione
delle aliquote con l’eliminazione delle detrazioni è semplicemente una partita
di giro e quindi una presa in giro del contribuente elettore.
La legge delega della sinistra del 2015 non ha minimamente toccato le aliquote dell’Irpef, anche perché nel frattempo il debito pubblico lievitava. Invece è tornato sul tema il governo Draghi aprendo ancora il cantiere della delega fiscale, facendo di necessità virtù. Anche Draghi ha dovuto pagare dazio all’ideologia conservatrice della riduzione delle aliquote, ma con fortuna e furbizia. Le aliquote con il suo Governo sono state ridotte da cinque a quattro e alcune incongruenze tra scaglioni eliminate ma questo ha comportato un costo non indifferente per le casse dello stato di circa sette miliardi.
Stavolta il
beneficio massimo di circa 6-700 euro in meno di imposte all’anno è andato ai
redditi medi, tra 40.000 e 55.000 euro. Quindi possiamo dire che Draghi abbia
rubato completamente la scienza al centro destra. Tanto per fare un confronto,
questo sconto annuale di tasse per il ceto medio vale come il reddito di
cittadinanza.
Ora Meloni vorrebbe ripetere l’esercizio di Draghi, tagliare le aliquote dell’Irpef per ridurre le tasse. Impresa molto difficile e del tutto illusoria, anche perché nel frattempo il debito pubblico è volato al 134% del Pil. Inoltre la giovane premier non ha la reputazione interazione dell’ex-presidente della BCE che un poco ha aiutato, e nemmeno il sostegno della forte crescita economica che i vari bonus hanno regalato a Draghi.
Il giro dell’oca fiscale della destra
torna dopo un decennio al punto di partenza. Secondo il viceministro Leo la
riduzione delle aliquote verrà finanziata tagliando le agevolazioni da lui
definite non necessarie. La presa in giro dei contribuenti da parte dei
conservatori viene riproposta dieci anni dopo con una discreta faccia tosta, e con
un sicuro sapore elettoralistico perché ci sarà da litigare, politicamente
parlando, tra le varie fazioni anche a destra su quali esenzioni e deduzioni
tagliare.
Poiché
poi l’Europa ci osserva con grande attenzione ecco che l’ultimo articolo
precisa solennemente che dalla applicazione della riforma non dovranno arrivare
nuovi oneri per la finanza pubblica. Una pietra tombale sul mito della
riduzione delle tasse per tutti riducendo le aliquote dell’Irpef, almeno a
parole. La nuova Irpef della Meloni nasce già vecchia ed appassita, una
promessa di riduzione delle tasse mai mantenute ma ripetuta ad ogni campagna
elettorale dove viene spesa a piene mani.
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