CILE LA MEMORIA I 3 settembre 2023 Nel 50° anniversario dell’inizio del crimine Cavalcando ricordi sparsi sulle note degli Inti Illimani Parte prima

 

CILE LA MEMORIA I

3 settembre 2023 Nel 50° anniversario dell’inizio del crimine

Cavalcando ricordi sparsi sulle note degli Inti Illimani Parte prima


presentazione


Presentazione dell'operazione memoria di Rodrigo Rivas, intellettuale cileno ex membro del Governo di Unidad Popular


In occasione dei 50 anni dal golpe di Pinochet contro Salvador Allende, Rodrigo Rivas, all'epoca membro del Governo di Unidad Popular, la cui vita fu stravolta dal cruento colpo di stato da cui si salvò divenendo profugo in Italia dal gennaio 1974, ha scritto una serie di ricordi a beneficio in primis dei giovani cileni nati dopo il 1973 che hanno vissuto solo la dittatura e la non ancora conclusa transizione alla democrazia, a causa del permanere in vigore della costituzione di Pinochet del 1980, non hanno alcun ricordo delle violenze della dittatura anche per la quasi rimozione delle stesse dal dibattito pubblico cileno.

Proponiamo i suggestivi e stimolanti ricordi scritti da Rodrigo affinchè anche in Italia i giovani vengano a conoscenza delle violenze e dei crimini commessi dalle dittature civico-militari fasciste in America Latina negli anni '60, '70 e '80 e i più maturi mantengano viva la memoria, esercizio fondamentale in questa fase storica di ritorno delle destre al potere anche in Europa.

Andrea Vento - Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati


Questo testo è la Postfazione del libro scritto dagli amici e compagni Eduardo Mono Carrasco e Francesco Comina, “Inti-Illimani Storia e mito, Ricordi di un muralista cileno” (Il Margine, Trento 2010).

Racconto il percorso di costruzione della mia memoria e di quanto hanno contato in questo percorso gli Inti, e cioè la musica e la poesia.

Per non annoiarvi troppo, l’ho diviso in 5 parti.


1) Parafrasando Guccini, posso dire che  ricordo bene qual era l’epoca dei fatti e qual era il loro mestiere: Roma, fine febbraio 1974, artisti.

Ero appena arrivato a Roma, senza pagare il biglietto, da pacco postale con le stigmate del sopravvissuto. Non sapevo bene ancora a cosa e a chi dovesse la mia sopravvivenza. Continuo a non saperlo, ma ho smesso di domandarmelo da parecchio tempo.

 

2) Ognuno di noi ha tre tipi di memoria.

La prima è documentale, puramente cronologica. Ci permette di ricordare la data delle guerre, delle rivoluzioni e degli onomastici delle persone care. E’ importante per orientarsi nel tempo, ad esempio per ricordare quanto siano vecchi i neonati e quanto siamo ancora giovani i vecchi.

La seconda è collettiva e si collega alle risposte sociali radicate nel corpo e nel discorso, ossia agli imbrogli della vita in comune: come comportarsi in una chiesa, come trattare un anziano, come seppellire i morti … La chiamiamo senso comune e si materializza in atteggiamenti, riti, cerimonie e istituzioni, permettendoci di agire adeguatamente senza bisogno di pensare.

Tuttavia, se non pensare è indispensabile per prendere misure già codificate per affrontare una situazione di emergenza - una tormenta o un terremoto - è pericoloso se ci troviamo davanti a tradizioni insensate, come l’ablazione del clitoride o l’esportazione della democrazia. Perciò, la memoria collettiva, il senso comune, va costantemente rivista e razionalizzata.

Infine, c’è la memoria individuale sedimentata attorno a costumi e oggetti. A me pare che ciò che segna veramente il nostro carattere è sommerso nel nostro corpo come un flusso di ripetizioni e cicatrici, di gesti rinnovati a fatica, di lunghe abitudini e angusti frammenti. Come la strada della scuola, la pioggia inclemente che ha accompagnato la mia fanciullezza patagonica, l’odore iodato dell’oceano, il richiamo del gelataio ambulante, il fruscio dei primi calzoni lunghi, la luce invernale proiettata sul mobiletto ereditato dal nonno, l’odore della naftalina, le porcellane sopravvissute ad ogni trasloco, il rosso della rosa che ci attirava a una strada appartenente alla "monnezza" e ai fumatori ...

Questa terza memoria – che possiamo definire idiosincrasica e metereologica, è composta da creazioni linguistiche erette senza considerare le norme valide per gli ambiti più ampi quali invenzioni dei singoli parlanti che formano parole e strutture sintattiche in base alla propria fantasia, alla loro struttura cognitiva e ai loro umori - può tradursi facilmente persino in cinese, perché si lega ai sensi, perché è patrimonio condiviso e perché, aggiungendone i quattro elementi della natura - fuoco, aria, acqua e terra - è terreno collettivo e universale. Ma, proprio per le sue caratteristiche, non può tradursi senza uno sforzo introspettivo e linguistico che riscatti ciò che, essendo comune, è rinchiuso nel proprio corpo. Uno sforzo che chiamiamo con diversi nomi. Ad esempio, “poesia”, “musica”, “letteratura”.

 

3) Tra i paradossi del capitalismo e delle sue tecnologie ancillari c’è la sua potente capacità di erosione dei tre tipi diversi di memoria.

Quella documentale è stata indebolita dalla sua stessa capacità tecnologica di registrazione e archivio: tutte le date, i dati, le statistiche, sono ormai immagazzinate su supporti esterni che hanno svuotato le nostre teste nella quale galleggiano, come fa il pane tostato nella zuppa, alcuni avvenimenti senza collegamento, isolati dalla storia, resi monumenti dai media che, come Nestlé e Disneyland, producono caramelle, giocattoli e merci.

In un dialogo di Platone, un amanuense egiziano dice a Solone che i greci erano come dei bambini, perché non riuscivano a ricordare nulla oltre tre generazioni, mentre loro, possedendo la scrittura, potevano risalire, nome a nome e data a data, fino al loro passato più remoto.

Noi, come l’amanuense egiziano, abbiamo la scrittura, ma nel frattempo il capitalismo ha cambiato le regole e ora produce bambini persi in un tempo uniforme, senza limiti né approdi.

 

4) Con la memoria individuale è stata danneggiata anche la memoria collettiva.

Siamo capaci di parlare di specie animali scomparse o minacciate da estinzione, ma abbiamo dimenticato i gesti millenari, le cerimonie comuni, le risposte collettive. Possiamo ancora pensare a mestieri morti, a liturgie cerimoniali estinte, a forme di organizzazione politica e a vincoli di solidarietà che sembrano definitivamente disfatti ma, ormai, le risposte automatiche – ovvero quello che ho chiamato senso sociale senza pensiero - non derivano più dalla tradizione, dall’istituzione o dall’educazione, con i loro vantaggi e rischi, bensì dalle multinazionali.

Come superare un lutto? La Roche ha messo in commercio una pastiglia adeguata.

Come seppellire i morti? Le pompe funebri, ovviamente private, s’incaricano professionalmente del residuo. Come baciarsi, dove divertirsi, come vestirsi, cosa mangiare, come viaggiare, cosa guardare? Ci pensano Disneyland, Dolce e Gabbana, Upim, Monsanto, MacDonalds, Sheraton, Franco Rossi …

Solo i poveri, i molto poveri, hanno ancora una biografia.

I ceti medi ed i loro imitatori dispongono soltanto di una raccolta di souvenir o di un catalogo standard di fotografie. La memoria individuale - le ripetizioni e le cicatrici, le abitudini e gli oggetti  - è stata sostituita da un universale depliant pubblicitario in cui, sprovvisto di corpo, ogni soggetto è intercambiabile con qualsiasi altro.

Cosa ricordiamo? L’area di servizio dell’autostrada, la finale del mondiale di calcio, il logo della Nike, la pubblicità della Toyota, l’atrio d’ingresso del Hotel Plaza, le offerte della Esselunga, l’icona iniziale della Microsoft … Avendo eliminato i cinque sensi ed i quattro elementi di cui sopra abbiamo contemporaneamente eliminato la possibilità di avere un’esperienza personale e di comunicarla.

 

5) Di tutto questo, la mia testa aveva sedimentato poco o nulla in quel febbraio 1974.

Era un sabato. In un teatro romano di cui non ricordo il nome, era in programma un concerto degli Inti. Per i cileni molto poveri come me, circa un centinaio di esuli allora, lo spettacolo era gratuito. Ma il teatro era pieno di italiani paganti che, pur nutrendo grande sfiducia sulle capacità artistiche dei musicisti, esprimevano la loro sofferta solidarietà accompagnandoci.

Invece, fu un concerto memorabile, anche per loro. Degli Inti si possono dire molte cose, ma è difficile sostenere che non sappiano suonare.

Ho risentìto la stessa sfiducia molti anni dopo, alla fine degli anni ’70.

Lucio Dalla cantava: “La musica andina, che noia mortale, sono più di dieci anni che si ripete sempre uguale”. Ma era un “giudizio estetico”, del tutto legittimo.

Non credo lo fosse invece, il giudizio “etico-politico” espresso dal critico musicale milanese de “Il Manifesto” negli anni ’80 quando, a proposito di un concerto che non aveva neppure ascoltato (ciaccolava incessantemente), per assistere al quale avevo dovuto pagare, scrisse: “Il pubblico presente era persino peggio dei musicisti. Continuava a chiedere canzoni stantie come «El pueblo unido jamás será vencido»”.

Tralasciando la politica e la morale perché – come diceva la mia mamma - “sui gusti non c’è nulla di scritto”, corredo cotanta sapienza con un detto popolare cileno: “Se gli stronzi volassero, sarebbe sempre nuvolo”.

 

6) Gli Inti attaccano: “Se Juanito Laguna, arriva alla nuvola, è il vento che viene, lo ama e lo tira su … Ah Juanito Laguna, se volasse l’aquilone con la tua fortuna”.

Suonavano chitarre, charango, quena, sikus e zampogne ma la memoria, che ha solo i confini dettati dall’ignoranza e dall’opportunismo, mi riportò lontano.

Rivisitai, prima, il bandoneon di Astor Piazzola e le parole di Horacio Ferrer: “Nelle notti, faccia sporca, da angioletto con i jeans, vende rose tra i tavoli, della bettola di Bachín. Se la luna splende sulla griglia, mangia luna e pane di fuliggine. Ogni aurora, nella spazzatura, con un pane e uno spaghetto, si costruisce un aquilone per andarsene, ma è ancora qui!...”

Poi saltai ai versi del poeta spagnolo, allora esule a Roma, Rafael Alberti che - meraviglia delle meraviglie - ci aveva fatto visita in albergo per regalarci alcune sue poesie: “Creiamo l'uomo nuovo, cantando. L'uomo nuovo di Spagna, cantando. L'uomo nuovo del mondo, cantando. Canto in questa notte di stelle, in cui sono solo ed esiliato. Ma nella terra non c’è nessuno da solo, se sta cantando. L'albero ha le sue foglie, e se è secco non è più un albero. L'uccello ha le nubi, il vento, e se è muto non è più un uccello. Il mare ha le sue onde, e il loro canto allegro le navi. Il fuoco ha fiamme e scintille e anche le ombre quando è alto. Nessuno è solitario sulla terra, creiamo l'uomo nuovo cantando”.

Questo testo, trasformato in canzone, si trova in “Inti-Illimani 6 Chile Resistenza”.

 

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