Cile: le difficoltà della prima Costituzione paritaria



Cile: le difficoltà della prima Costituzione paritaria 

Oggi è il giorno della Dignità Nazionale perché il Cile rompe con il suo passato.  Si alza con fede nel futuro e inizia la strada definitiva della sua indipendenza economica, che significherà la sua piena indipendenza politica”.

Salvador Allende, 11 luglio 1971 
“Giorno della dignità”, Giorno della nazionalizzazione del rame

“Vinceremo, vinceremo noi, i più semplici, vinceremo, 
anche se tu non lo credi, vinceremo”

Pablo Neruda, “Ode all’uomo semplice” 
(in “Ode alla vita e altre odi elementari”)

La posta in gioco è esplicita: costruire un Cile plurinazionale, con uno Stato sociale di diritto, interculturale, ecologico e paritario.
Oppure restare ancorati all’eredità pinochetista. 

Il processo costituente cileno è arrivato alla fine della prima fase di un viaggio frenetico con la conclusione di un anno di discussioni nella Convenzione Costituzionale. 
La nuova legge fondamentale, che vorrebbe seppellire definitivamente l’eredità  della dittatura, sarà sottoposta a referendum il 4 settembre. 
Le inchieste parlano di una possibile vittoria del "rechazo" (rifiuto) sul "apruebo" (approvo). 
I partigiani della nuova Costituzione disponiamo di due mesi per convincere la popolazione ad approvare un testo che, oltre ogni dubbio, propone considerevoli progressi riguardo i diritti dei cittadini, delle popolazioni originarie, degli animali, dell’ambiente.

L’ultima fase di questo percorso verso un Cile più inclusivo è iniziato nell’ottobre 2019. 
L’aumento di 30 pesos (0,035 euro) del trasporto pubblico scatenava un’ondata di proteste che aumentava d’intensità fino a diventare un “estallido social” (ribellione sociale) senza precedenti. 
Va da sé: il problema principale non erano i 30 pesos ma i 30 anni di neoliberismo, disuguaglianze sociali e disprezzo per le maggioranze, i “nessuno” (ninguno), i “ninguneados”.
Va precisato: il richiamo ai 30 anni non includeva i 17 anni della dittatura ma si riferiva esplicitamente al periodo governato sostanzialmente dal centrosinistra, e cioè dalla Concertación (Concertazione), coalizione che includeva la DC ed i vari Partiti socialisti e dalla Concertación ampliada (Concertazione allargata), che includeva il Partito comunista.
La ribellione metteva in crisi il governo conservatore di Sebastián Piñera (2010-2014 e 2018-2022), che rispondeva con una repressione brutale, decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti. 
La fase più acuta del conflitto si chiudeva con la firma del “Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione”, sottoscritto da diverse forze politiche. 
Tra i parlamentari firmanti c’era il futuro presidente, Gabriel Boric, che lo sottoscriveva malgrado l’opposizione di parte del suo gruppo, il Fronte Ampio, e del Partito Comunista.
Ma il vero salvatore di Piñera e del sistema partitico cileno era il Covid, che costringeva la popolazione a tapparsi in casa.

Un anno dopo la firma di quell’accordo parlamentare notturno, il 78% della popolazione sceglieva mediante referendum di darsi una nuova Costituzione per sostituire quella vigente.
La costituzione pinochetista era stata promulgata nel 1980 in piena dittatura. 
Nel maggio 2021 venivano eletti i 155 uomini e donne integranti della Convenzione Costituzionale, assemblea eletta con modalità paritaria per la prima volta al mondo, che includeva rappresentanti dei popoli indigeni. 

Secondo i censimenti ufficiali, nel Cile i popoli indigeni rappresentano il 13% della popolazione, una consistente minoranza che, storicamente emarginata, oggi vive sotto un regime caratterizzato da leggi speciali dettate all’epoca della dittatura.
Il 13% è la percentuale di cileni che si dichiarano indigeni ma, molto probabilmente, i popoli originari sono una percentuale assai maggiore.

Al voto per eleggere l’Assemblea Costituente presero parte diverse liste di indipendenti e dei movimenti sociali.
Il risultato è stato: 118 rappresentanti eletti dalle diverse organizzazioni che si richiamavano alla sinistra e 37 a quelli dichiaratamente di destra.
Ovvero, con il 78% degli eletti, teoricamente i progressisti potevano decidere con ampia libertà. 

Tuttavia, particolare importante, nel Parlamento la destra riaffermava la sua maggioranza.
Ciò perché considerando il Parlamento una sorta di ossario per sopravvissuti, la popolazione non diede gran importanza alla sua elezione, prendendosi un gran cazzotto in faccia che le ha fatto male e potrebbe farle molto più male nel futuro prossimo.

I lavori della Convenzione Costituente sono finiti il 4 luglio scorso con la  consegna al presidente Gabriel Boric di un testo di 388 articoli da sottoporre ad un referendum per la sua approvazione. 
Tutte le proposte sono state approvate da almeno due terzi dei costituenti.

Il 5 luglio partiva la durissima campagna referendaria.
Al campo degli oppositori della nuova Costituzione, formato dalla destra di “Chile Vamos”, dagli estremisti di destra del ex candidato presidenziale José Antonio Kast, dalle elite economiche e dai grandi media, si è sommato un settore del vecchio centrosinistra che, con non so quanta cosciente autoironia, si è denominato “los amarillos” (i gialli). 
S’ignora quale sarà il peso elettorale specifico di questo nuovo raggruppamento di destra ma, senza dubbio, i vecchi bombaroli diventati pompieri e portaborracce, hanno allargato culturalmente il campo della destra.
Detto diversamente, coloro che si vergognano o comunque non se la sentono (non ancora) di dichiararsi apertamente di destra, ora si definiscono “amarillos”. 
Sono gattopardi di nuova generazione, rinnovabili ma non raccomandabili.  

Il blocco opposto, partigiano del cambiamento, è composto dalla sinistra, dalla maggior parte degli ex costituenti, dai movimenti sociali e dalle organizzazioni dei popoli originari.
Teoricamente, sembrerebbe un campo compatto ma comprende più forme di adesione, da quelle piene a quelle “del male minore” coniugate sotto diverse sfumature.

Come accade per ogni processo costituente, la nuova norma fondamentale propone una rifondazione del paese. 
Nel caso cileno riassegna un ruolo preponderante allo Stato, garante della sanità, dell’educazione, delle pensioni, della casa e dell’accesso all’acqua.
Tutti questi diritti sono oggi subordinati agli interessi privati.
 
Se vince il "apruebo", il Cile sarà una democrazia paritaria (con almeno un 50% di donne ad ogni livello di rappresentanza e organizzazioni pubbliche) e uno Stato plurinazionale che riconosce 11 nazioni indigene dotate di autonomia territoriale e da sistemi giuridici propri ma sotto l’ombrello dello Stato cileno, unico e indivisibile.
La formula può essere discutibile ma indiscutibilmente riconosce le diversità del paese. 

La restituzione di terre inclusa nella nuova norma cerca di tracciare una strada verso la pacificazione di territori come l’Araucania, nel sud del paese, dove il popolo mapuche conosce da secoli la repressione statale come unica risposta alle sue domande.
Naturalmente, i popoli indigeni hanno persino l’obbligo di diffidare delle proposte “dei cileni”.
Altrettanto naturalmente, l’indispensabile restituzione di terre non può prescindere di considerare gli interessi legittimi dei “non indigeni” presenti su queste terre ai quali, presumo, saranno corrisposti compensazioni eque.
Tra gli “interessi legittimi” sono tuttavia da escludere quelli delle multinazionali forestali, dei grandi latifondisti e di coloro che si sono impossessati con la forza di terre appartenenti alle comunità indigene.

Alcuni tra gli altri pilastri della proposta costituzionale sono la protezione dell’ambiente e la messa in sicurezza del territorio, indispensabili per affrontare la crisi climatica ed ecologica; la
decentralizzazione dello Stato, la soppressione del Senato compensata dalla creazione di una Camera regionale e una scommessa sulla democrazia partecipativa.

Penso che, al di la della scommessa sulla partecipazione, fondamentale per chi come me pensa che il socialismo vada definito come la costruzione di una “democrazia senza fine”, gli elementi più rimarchevoli del testo siano i passi in avanti riguardo i diritti sociali. 
Ad esempio in campo sanitario, educativo, abitativo. 
Ma, credo sia altrettanto importante la forma ovvero il fatto che, pur con molti errori, si sia trattato di un processo trasparente, di una esercitazione politica più vicina alla gente che all'elite. 
Il nuovo testo mi sembra perfettibile ma penso rappresenti un’opportunità relativamente ben colta per fare una politica non lontana dalla società.
Penso altresì che la proposta costituzionale irrobustisca la democrazia, ponga le basi per diminuire le scandalose disuguaglianze e renda visibili le diversità permettendo che la popolazione si riconosca nelle differenze reali e non nei racconti e fiabe inventate dal pensiero dominante. 
In definitiva, penso cioè che il testo scritto in parità proponga una democrazia paritaria e una prospettiva di genere che punta all’uguaglianza.

Comunque vada, il 4 settembre sarà la data più importante della storia recente del Cile.

Come già osservato, diverse inchieste indicano come il risultato più probabile la vittoria del "rechazo", con differenze che oscillano da 15 a 20 punti percentuali.
Tuttavia, oltre alla necessità di diffidare da organizzatori d’inchiesta che in Cile (e non solo), non ne beccano una, bisogna ricordare che l’altissima percentuale di indecisi può spostare tranquillamente i risultati. 

In Cile, non dovrebbe suonare strano per un lettore italiano, i media hanno organizzato sapientemente una campagna di disinformazione fin dall’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente. La causa è fin troppo ovvia: appartengono o, quantomeno, dipendono, dai poteri economici.

Cosa succederà se vince il No?
Penso che la notte del 4 settembre potrebbe riportare in auge la ribellione popolare, se la popolazione si sente derubata dalla sua vittoria.
 

Gabriel Boric, eletto l’11 marzo scorso, aveva presentato un programma di trasformazioni sociali non troppo diverso della proposta costituzionale. 
Nelle ultime settimane però, il governo ha cercato di separare il suo futuro dal risultato del plebiscito. 
In ogni caso, non esiste motivo alcuno per il quale l’eventuale vittoria dei conservatori debba frenare le riforme in materia di pensioni, sanità o fiscalità.

Comunque, per concludere questo testo introduttivo, penso che in questo viaggio iniziato sulle strade quasi tre anni fa con l’urlo di rabbia e indignazione “¡No son 30 pesos, son 30 años!” (Non sono 30 pesos, sono 30 anni!), continuerà. 
Non lo penso per fideismo ma perché considero necessario costruire un paese più solidale, più inclusivo, più degno, meno ingiusto. 
Perché penso sia necessario un nuovo Cile.
Si potrà obiettare che i tempi dell’ira sono maturi da molto, non solo in Cile, ma questa obbiezione tipica dal pensiero conservatore camuffato non ricorda la recente ribellione popolare e prescinde del fatto che la crisi sistemica porta non solo altri e gravissimi pericoli per tutti ma, anche, delle opportunità, per tutti.

“Poeti e mendicanti, guerrieri e malandrini, tutte noi creature di quella realtà eccessiva abbiamo dovuto chiedere molto poco all’immaginazione, perché la sfida maggiore per noi è stata l’insufficienza delle risorse convenzionali per rendere credibile la nostra vita. Questo, amici, è il nodo della nostra solitudine.”

Gabriel Garcia Marquez, “Discorso di accettazione del Nobel per la letteratura, Stoccolma 1982

                                                      Rodrigo Rivas

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