Rinnovi contrattuali al ribasso e senza risorse aggiuntive negli appalti
Appalti al ribasso e paghe da fame
Come
anche gli Enti pubblici si sono adeguati nel tempo alla logica, perdente, degli
appalti al ribasso applicando contratti sfavorevoli con un calcolo del costo
del lavoro che non prevede salario di secondo livello
Prendiamo spunto da una vicenda sindacale,
siamo in Toscana negli appalti del verde ove si applica il Ccnl delle
cooperative sociali che non prevede la erogazione del buono pasto rinviandone
la eventuale corresponsione ad un eventuale accordo tra sindacato e
appaltatore.
Accade, e non è certo un caso isolato, che
la stazione appaltante, Ente pubblico, abbia stanziato un budget risicato che a
mala pena prevede l’adeguamento del costo orario al rinnovo contrattuale nel
frattempo avvenuto con aumenti di gran lunga inferiore alla inflazione degli
ultimi anni.
Non ci sono fondi destinati alla
contrattazione di secondo livello, la stazione appaltante non ha aggiunto un
euro a tale scopo e l’appaltatore può anche rifiutare la erogazione del buono
adducendo come motivazione la scarsa disponibilità economica e il fatto che il
contratto nazionale applicato non preveda l’obbligo per l’azienda, o
cooperativa che sia, di erogare un ticket per i lavoratori, o lavoratrici, che
operano fino a metà pomeriggio dalle prime ore del mattino.
Questo modus operandi è ormai imperante e a
rimetterci sono solo i lavoratori degli appalti che vedono negato un diritto
elementare come quello del buono pasto.
Ma capita sovente che sempre gli Enti
pubblici, al momento di una gara, calcolino il costo del lavoro previsto dal
contratto più sfavorevole e non tengano conto che lo stesso nel frattempo è
stato rinnovato con incrementi da fame che per quanto esigui dovrebbero essere
calcolati, avviene sempre in Toscana in altri appalti all’ombra degli Enti
pubblici. E se nel precedente contratto si applicava un diverso CCNL con paghe
orarie maggiori, la rimessa economica per la forza lavoro è assicurata. Il
rispetto delle clausole sociali diventa quindi parziali, la mera conservazione
del posto non tiene conto anche delle retribuzioni in essere.
Una recente sentenza è intervenuta
asserendo che le modifiche dei contratti collettivi, avvenuti dopo
l’aggiudicazione della Gara, devono
essere sempre presi in considerazione da parte del Rup ma si tratta di una mera
consolazione in presenza di logiche imperanti destinati a calcolare il costo
del lavoro sempre e comunque al ribasso.
Bisogna ricordare che nel caso delle
proroghe contrattuali dovrebbe avvenire l’adeguamento delle paghe orarie con adeguati
stanziamenti da parte della committenza ma le proroghe non tengono mai conto
della situazione ossia del “rispetto dei minimi salariali inderogabili”
sancendo di fatto una gestione dell’appalto al massimo ribasso con
ripercussioni negative non solo sulla forza lavoro ma anche sull’appaltatore.
Nelle proroghe si consuma il misfatto,
contratti di appalto siglati anni prima continuano ad andare avanti ben oltre
il limite previsto senza alcun adeguamento dell’offerta ignorando i cambiamenti
intervenuti non solo a livello contrattuale ma in generale ricalcolando i costi
della impresa accresciuti dopo l’aggiudicazione.
Ora se la Sentenza prevede l’obbligo per la
stazione appaltante di tenere conto delle variazioni contrattuali, analogo
discorso andrebbe fatto per altri costi aggiuntivi dei quali l’appaltatore deve
pur sempre sobbarcarsi. E troviamo insensato, a dir poco, che non sia quasi mai
prevista una contrattazione di secondo livello legata al buono pasto, agli
orari disagiati, ai passaggi di livello determinati dall’acquisizione di nuove
professionalità……
Non parliamo di mere circostanze alla
insegna della imprevedibilità ma di situazioni diffuse che almeno un Ente
pubblico dovrebbe prendere in seria considerazione senza limitarsi al formale
rispetto dei contratti applicati che sappiamo essere rinnovati con cifre
irrisorie.
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