COSTITUZIONE E POLITICA

 



COSTITUZIONE E POLITICA


di Tiziano Tussi*



L’intervento parte dal titolo del libro di Enzo Cheli (Accademico dei Lincei e Vicepresidente emerito della Corte costituzionale). In questo incontro (qui in forma scritta) ricorreremo al suo libro appena uscito per poterci instradare verso un percorso il più possibile chiaro. Partiamo con un’affermazione sulla Costituzione, legge spina dorsale dello Stato che si spalma nel tempo e sulla società; la Costituzione è forte mentre la società che ora l’accoglie è debole (p. 13-14). 


Per questo si sono tentate delle fughe in avanti che hanno cercato di cambiarla, con referendum confermativi, dopo votazioni in Parlamento che non raggiungevano i due terzi degli eletti. Perciò era possibile chiedere il referendum popolare confermativo. Quando questo è avvenuto (recentemente 2006 e 2016) l’esito è stato negativo (diversi passaggi, es. p. 26). Così come si sono rivelati fallimenti le Commissioni costituzionali e bicamerali (1985,1992, 1997) (p. 36). Tutti tentativi che dovevano portare ad un aggiustamento o ad aggiustamenti funzionali. 


Tale necessità era dovuta anche al momento storico in cui la nostra Costituzione era sorta, appena dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con tutte le problematiche del dopoguerra e perciò di una società instabile (p. 14-15); ma tutti i tentativi, compreso quello relativo al capitolo V, si sono rivelati poco sostenuti. Quest’ultimo cambiamento, giunto a buon fine, per quanto riguarda le modifiche al testo, ha lasciato sul terreno molta confusione che si è rivelata ancora una volta in periodo Covid, ad esempio sulla discussione di chi avrebbe dovuto decretare la zona rossa in Lombardia. 


Tali confusioni di scrittura e di costruzione di una nuova impalcatura costituzionale hanno fatto sì che gli ultimi referendum siano stati un fallimento per i governi che volevano cambiarla anche in modo significativo (2006-Berlsuconi; 2016-Renzi).


Ma Cheli ci richiama a problemi irrisolti che attendono risoluzioni: Bicameralismo, rafforzamento dell’esecutivo, rapporto stato -regioni. Per il bicamerismo riporta una citazione dell’Abate Sieyès, attivo durante la Rivoluzione francese, uno dei tre consoli con Napoleone Bonaparte alla fine del secolo, poi nel Direttorio: “Se due camere fanno la stessa osa sono inutili; se fanno cose diverse sono dannose…” (p. 78). Ma ognuno dei problemi irrisolti ha dalla sua la necessità di interventi chiari. Per ognuno di questi tentati cambiamenti vi è da definire la centralità dei partiti che devono partecipare alla formazione di una buona democrazia, dal basso verso l’alto; cercando di evitare una cattiva democrazia, dall’alto verso il basso. 


Questi trovano nella Costituzione una fonte a loro difesa. Infatti, ci si può configurare come partito senza troppe limitazioni, dovendo solo rispondere a formalità democratiche, elencate nei loro statuti. 


La limitazione partitica è avvenuta una sola volta, e per ovvie ragioni, nella XII disposizione transitoria e finale, sulla riorganizzazione del Partito fascista, vietata sotto qualsiasi forma. L’ovvia ragione consiste nella fine di una guerra mondiale che aveva visto, nella sua catarsi, contrapposti due parti del Paese, con una guerra di Resistenza lunga e produttrice di morti e feriti e tragedie popolari, per arrivare alla liberazione dell’Italia dalla presenza di fascisti e nazisti, alleati nella guerra. Insomma, una limitazione che era nelle cose. L’articolo18 della Costituzione permette ai cittadini di associarsi liberamente, per fini non in contrappostone alla legge dello Stato, vengono proibite solo le associazioni segrete e i comportamenti violenti organizzati militarmente.


 Anche l’articolo 49 ribadisce la possibilità di concorrere con metodi democratici a determinare la politica nazionale. Mente l’articolo 50 ricorda che è possibile indirizzare petizioni alle Camere (50mila firme). Naturalmente per poter perseguire tali fini i partiti debbono assicurare la corrispondenza verso “l’etica pubblica e la correttezza costituzionale” (p. 64). Per questo sono così importanti gli statuti di fondazione degli stessi che debbono rispondere a questi requisiti (p. 65); per questo la vita interna ed esterna dei partiti presenti in Parlamento, ma anche fuori, deve essere specchiata.


Un grande problema riguarda i contributi in denaro che si dirigono verso di loro. L’anno da tenere presente è il 2017, durante il quale è stata abolita integralmente la contribuzione dello Stato agli stessi. Perciò risulta naturale vigilare su di loro e sui loro modi di procurarsi denaro per la loro vita politica. A tale scopo esiste anche una Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici (p. 66-67). Tale commissione istituita presso la Camera dei deputati, in pratica controlla che i soldi che arrivano ai partiti siano di chiara derivazione.


Una presenza eccentrica a questo scenario riguarda il Movimento 5 Stelle, una forma politica non partitica. Evidentemente un’eccentricità che dovrebbe essere superata oppure corre il rischio di sparire stando il quadro normativo che interessa i partiti politici (p. 69). Insomma, uno Stato si regge su colonne di fondamento, e ad esse occorre attenersi. Ed anche per l’elargizione di fondi occorre avere chiarezza per la loro derivazione. Si presume che un ritorno ad una qualche forma pubblica sia meglio di altre (p. 70). Questo anche per aiutare ad innalzare lo spessore degli uomini politici, ora ad un basso livello, corrispondente ad un vuoto politico e perciò risulta conseguentemente poco rilevante anche il rispetto dei diritti sociali e politici. (p. 71).


Diritti che risentono di molte varabili, oltre a quelle citate, anche il territorio è un elemento di discriminazione: “aree interne non è un’espressione geografica, ma una condizione esistenziale dei luoghi [in pratica territori dimenticati dallo Stato]. Si può essere interni anche stando vicino al mare… [si perde perciò] la consapevolezza di quello che possediamo, cioè la consapevolezza del patrimonio e de suoi valori soprattutto se ci troviamo più lontani dei servizi e delle opportunità, cioè dai diritti.”1


Un testo di riferimento, scritto molti anni fa2 , riporta storie e particolarità dell’assenza dello Stato, la desertificazione sociale che viene a crearsi in alcune aree del nostro Paese. Quindi l’impossibilità di reclamare diritti di ogni sorta.

Ogni Stato si regge su due colonne portanti: tasse e forza. In Italia, per la prima questione, il problema è: chi paga le tasse? Tutti lo sappiamo, sono le pensioni e gli stipendi, in maggioranza ed obbligatoriamente. Per il resto l’evasione fiscale è altissima. Il documento Nadef (Nota di aggiornamento del Documento economia e finanza, del novembre 2022) dice che l’evasione in Italia si stima attorno ai 99 miliardi di euro, in diminuzione, anche se non eccessiva, dagli anni precedenti. Insomma, circa 100 miliardi di euro ogni anno.


 Molto più al Sud che al Nord del Paese. In paragone con gli altri stati europei, molto più da noi che in Svezia, dove l’evasione è praticamente nulla, mentre l’Italia si ritrova seconda solo alla Romania per l’entità di evasione.


La forza: l’articolo 11 della Costituzione dice testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Sati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”


Come si legge un articolo chiarissimo nella prima parte, il primo comma, e poco trasparente nella seconda parte, che però sembra escludere la partecipazione ad una guerra sotto qualsiasi forma.


Una riflessione sul linguaggio: la nostra Costituzione è scritta con linguaggio funzionale e comprensibile. Mette attori e ricettori in chiaro. Al contrario, molto spesso, e specialmente per i documenti a livello europeo, tale chiarezza di indirizzo non c’è. Vengono scritti volutamente così, poco trasparenti, almeno stando a dichiarazioni così espresse.3

Un esempio di questa lontananza, qui espressa come tale, dalla realtà sociale, e non stiamo parlando di oscurità di scrittura e arzigogoli letterari, nel documento Carta europea riveduta della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale, realizzata nel 1992 e riveduta nel 2003. È chiaro che si tratta di una indicazione che va nel senso dell’etica pubblica positiva. Ma si dimostra molto ingenua, almeno essendo accondiscendenti, altrimenti come diceva Sieyèz, è inutile.


L’obiettivo di fondo è questo: “Partecipazione e cittadinanza attiva significa aver il diritto, i mezzi, lo spazio e l’opportunità e, se necessario, il sostegno per partecipare e influenzare le decisioni e impegnarsi in azioni e attività in modo da contribuire alla costruzione di una società migliore.” Certo ogni passaggio meriterebbe una considerazione, ma proseguiamo. Questo invito si declina in quattro punti. Il promo: “La dimensione politica della cittadinanza si riferisce ai diritti e alle responsabilità politiche nei confronti dello stato. Lo sviluppo di questa dimensione dovrebbe avvenire attraverso la conoscenza del sistema politico e la promozione dei comportamenti democratici e delle capacità partecipative. In relazione con il sistema elettorale inclusivo.” Prendendo la questione della partecipazione elettorale inclusiva basterebbe ricordare ciò che scaturisce dalla Rivoluzione francese del 1700 che indica nel metodo “una testa, un voto” quello più democratico. Ma in tanti Paesi questo sistema non è messo in atto ed in Italia si sono inventati plurimi pasticci elettorali, dopo gli anni ’90. Continuamente ripensati, con sistemi diversi per ogni tipologia elettiva. Il secondo punto:” La dimensione sociale della cittadinanza ha a che fare con il comportamento tra gli individui di una società e richiede comportamenti leali e solidali. Le abilità sociali e le conoscenze delle relazioni sociali all’interno della società sono necessarie per lo sviluppo di questa dimensione.” Anche qui ci si dimentica di rapporti reali nelle società europee, in merito a questioni di punta quali razzismo e autoritarismo spinto. Una specie di dichiarazione di intenti, che si vorrebbe sostanziale.


Terzo punto: “La dimensione culturale della cittadinanza fa riferimento alla consapevolezza di un’eredità culturale comune. Questa dimensione dovrebbe essere sviluppata attraverso la conoscenza di un background culturale, di una storia e di alcune competenze base condivise (lingua nell’oralità, nella lettura e nella scrittura). Come fare per portare a definizione ciò che si vorrebbe in questa sezione in una società frequentata da immigrati, con le attuali, ovvie conseguenze del caso?

Ultimo punto: “La dimensione economica della cittadinanza riguarda la relazione tra un individuo e il mercato del lavoro e del commercio.” Anche qui siamo in presenza, nel mondo del lavoro, di tipologie che contrastano con la richiesta; lavori a tempo determinato, precari, in nero, volontariato. Come mettere in relazione quanto esiste con quanto dichiarato?


Piccola coda sul sistema politico italiano. Sempre Cheli ci dice che il riferimento più indicato è quello dello Stato Costituzionale come forma più avanzata di Stato di diritto (p. 91). Per questo la pletora di organi amministrativi, locali e centrali, ad evanescenza di indirizzi, e assenza di sanzioni per chi non ottempera gli indirizzi dichiarati, i cosiddetti “carrozzoni pubblici”, non impatta su tale corrispondenza. È anche per questa evanescenza che si è dimostrato inutile il disegno di destrutturazione dello Stato, operato da diverse parti politiche, mancando evidentemente un cuore ben funzionante dello Stesso. Lo Stato non ha un cuore solo, ma diversi, se così possiamo dire, e quindi indirizzandosi verso il cuore dello Stato si addiviene ad un vero e proprio fallimento. 


Questo in ordine di scontro armato, leggi terrorismo, ma anche per la volontà di riforma complessiva dello stesso, attraverso i tentativi di riforma allargata a livello giuridico. Occorre capacità di individuare una complessità di funzionamento che andrebbe ben capita prima di entrare in contrapposizione frontale con esso. I referendum istituzionali falliti ne sono un esempio. Le sottovalutazioni della complessità portano a poco.


Al riguardo è interessante osservare il caso di Milano, oltre al già ricordato libro di Ben Jelloun per la parte meridionale del nostro Paese, che nella sua recente trasformazione ha cambiato in senso stroboscopico la sua anima. Una città di plastica, escludente per ogni soggetto che non possiede un livello patrimoniale di rilievo.4


La sostituzione dell’esistente storico, a livello cittadino, con il post-moderno accattivante non rende sul piano dell’orizzonte. Ogni città si unifica ad una forma tendente all’identico, che non lascia spazio allo specifico dello stare in una città invece che un’altra. Fenomeno particolarmente evidente per le grandi città. L’attualizzazione della rete di Internet, di per sé di stretta attualità, e degli strumenti informati imprigiona, ed al limite uccide, uccide la storia.

Perciò ogni richiesta e difesa di diritti di partecipazione storica alla vita sociale si scontra con questa tendenza che viene esaltata dai dirigenti politici. La partecipazione, al contrario, vuole libertà. La tendenza a dimenticare il substrato storico si riverbera sul piano istituzionale. Tutto molto veloce e facilmente dimenticato, in vista del prossimo step.

Qui il discorso di riapre: che fare per cercare di ovviare alla dimenticanza, al trituramento, alla masticazione della storia, fenomeno che lascia intatta la masticazione fisica: denti, cibo, rigurgito, nuova masticazione?5 Infatti la cucina – programmi TV, libri, convegni, chef stellati – ha assunto una rilevanza mai avuta. Unica possibilità: la cultura e la scuola. Una risposta facile, ma difficile da mettere in contrapposizione funzionale. Questo discorso che si riapre necessita di altre, lunghe, considerazioni. Ma altre strade non ci sono e neppure scorciatoie salvifiche.■


*Intervento #webinarSaperi 2023 per il CPIA della Lombardia, 23 maggio 2023.

 

Note:

1- Rossano Pazzagli, Paese mio che stai sulla collina, in Prometeo, dicembre 2022.

2- Tahar Ben Jelloun, con Egi Volterrani, Dove lo Stato non c’è. Racconti italiani, Einaudi, Torino, 1992.

3- Stefano D’Andrea, L’Italia nell’Unione Europea. Tra europeismo retorico e dispotismo “illuminato”, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2022

4- Lucia Tozzi, L’invenzione di Milano, Culto della comunicazione e politiche urbane, Cronopio, Napoli, 2023.

5- Il riferimento qui è indubbiamente ad Arthur Schopenhauer e ad un libro della fine dell’800 di Knut Hamsun, Fame

 


fonte: GRAMSCI OGGI  -  LUGLIO 2023

 


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