COLTELLI E PISTOLE A SCUOLA di Tiziano Tussi

COLTELLI E PISTOLE A SCUOLA di Tiziano Tussi

 





Coltelli e pistole a pallini, non sembrano essere propriamente strumenti di pedagogia né di cultura. Questo è successo alcune settimane e mesi fa in due scuole superiori. Il coltello è apparso ad Abbiategrasso, alle porte di Milano, i pallini sono stati sparati, con annesso video da mandare sui social, a Rovigo. Vogliamo fare una piccola digressione sociologica? Abbiategrasso è un paese che forse non offre molte occasioni di possibilità di distinzione? Mah! E Rovigo potrebbe essere definita come una piccola città senza più alcun luogo di aggregazione e di impegno sociale? In ogni caso due episodi di una marcata gravità. Bene, il voto di condotta di due dei tre impallinatori è stato un nove, molto alto, con annessa promozione.


 La bocciatura è toccata al meno implicato dei tre, quello che aveva portato l’arma a scuola. Un risultato che caratterizza un rendimento scolastico molto alto, a fronte di questa aggressione. Mentre ad Abbiategrasso l’alunno è stato espulso e bocciato dalla sua scuola. Naturalmente si sono aperti dibattiti sui risultati scolastici finali e sulla corrispondenza con quanto accaduto ed il voto di condotta. Ma nessuno si dovrebbe sorprendere più di tanto. 


Una piccola nota personale. Nella scuola dove insegnavo fino a pochi anni fa, a Milano, un giorno trovandomi per caso in vicepresidenza vidi un ragazzo condotto là con la pistola che aveva portato a scuola, pistola vera. L’alunno si difese dicendo che lui l’aveva portata in classe “solo per vendere”. Poi non so come sia andata a finire. Ma se nella mente di un adolescente è potuto venire in essere un pensiero che gli permette di portare una pistola a scuola, allora molte macerie scolastiche si sono accumulate. 


E basterebbe riandare alle modalità con le quali nella scuola statunitense, con facilità, nelle aule, entrano armi da fuoco con conseguenti stragi, per capire la pericolosità di ogni corrispondenza di indulgenza, non importa di che tipo. 


Per i casi riportati sopra infatti risulta perlomeno consuetudine discutere del caso stesso e cercare di capire cosa fare?!? Ad esempio, il positivo voto di condotta è un risultato di comportamenti sociali ottimali in classe e a scuola. Non mi risulta che impallinare l’insegnante faccia parte di questa categoria di eccellenza. Poi il perdono, comportamento molto vischioso, che scaturisce sempre dal retroterra cattolico, entra in ogni situazione. Ma ragazzi di 15 anni, o oltre, hanno ogni capacità psicologica di capire i limiti del vivere civile. Poi possono anche non studiare, ma pistole e coltelli, fanno parte di uno stile di vita che ci aspetteremmo al di fuori della scuola, luogo di pedagogica acculturazione. E gli insegnanti, che ricordiamoci sono oramai usciti da questo sistema scolastico snervato, dovrebbero fare valere la loro età di adulti. 


I genitori, che ricordiamo, sono stati anche loro a scuola, in questa scuola, dovrebbero smetterla di aver comportamenti di baby-sitter infiniti per figli già grandi. I presidi dovrebbero poi avere a cuore l’incolumità dei propri insegnanti, con una missione educativa e valoriale verso gli studenti che a loro volta dovrebbero dimostrare di essere accoglienti, mettendosi nelle condizioni di accettare valori positivi, insomma, non essere refrattari. Mentre si assiste sempre più ad un approccio alla trasmissione del sapere come se questo fosse una Lollipop zuccherosa, torciglione da luna park. 


Vengono messi in primo piano attività psicologiche e ludiche, dello star bene a scuola, come se quello fosse l’obiettivo massimo da raggiungere. Ma allora tutti gli stimoli di Alfieri, “volli, sempre volli fortissimamente volli”; di Gramsci sulla fatica dello studio del latino, fatica positiva in sé, senza aspettative per un profitto sociale e/o individuale, il latino fa bene alla capacità di ben riflettere, pensare, alla razionalità; tutti gli esempi di chi con grande sagacia e insistenza ha saputo uscire da una situazione regressiva. E dire che in molte scuole medie di primo grado si fa leggere Padre padrone, una storia di riscatto nella vita di un bambino sardo represso dal padre. 


E proprio quest’anno, nella ricorrenza della nascita di Don Milani. Bocciare qualcuno che se lo merita, per condotta o per scarso studio, non porta certo alla sua distruzione, ma sovente, risulta essere un atto di riflessione sui propri ritardi. Insomma, valutare significa proprio valutare, cioè, prendere posizione. 


E questo è anche un comportamento che, negli anni della contestazione, il mitico ’68, gli insegnanti di vaglio tenevano ben stretto, nonostante le stupide richieste di 6 politico. Ma qui il discorso si riapre: e se chi dovrebbe valutare fosse esso stesso necessitante di valutazione? Prima o poi, in ogni caso, si dovrà pur mettere mano seriamente alla organizzazione della scuola italiana ed ai suoi insegnant

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