Le considerazioni di Berlinguer dopo il golpe in Cile

 Le considerazioni di Berlinguer dopo il golpe in Cile


Tiziano Tussi




Sono passati cinquant'anni dal golpe in Cile, avvenuto l'11 settembre del 1973. Si è depositato, un avvenimento tragico come quello, a livello mondiale, come stigma di un'azione perversa contro il corso "normale" delle cose nella società: libere elezioni, vittoria della sinistra, quindi un governo di sinistra che tenta un percorso di sinistra per cercare di porre mano alle storture macroscopiche della società, in questo caso cilena. Averlo soffocato, manu militari, con una orribile impronta di violenza e sopraffazione, ha riaffermato un esempio di protervia assoluta che è stata disprezzata da tutto il mondo libero, semmai ve ne sia o fosse stato all'epoca ed oggi. Merce rara la libertà d'azione.

Enrico Berlinguer, allora segretario del PCI scrisse, dopo il golpe in Cile, tre articoli per il settimanale Rinascita che sono stati opportunamente ristampati, sia dieci anni fa che oggi, dall'Associazione a lui intitolata. I pezzi sono stati scritti dalla fine di settembre dello stesso anno, sino alla metà di ottobre. Tre pezzi per accompagnare la proposta finale, nel terzo, di stretta alleanza con il mondo cattolico, e l'accompagnamento di quello socialista, evidentemente dato per ovvio, ad una politica antiimperialista, per la strategia che avesse come obiettivo un avanzamento verso il socialismo in Italia, mai comunque dichiarato esplicitamente in riferimento al mondo cattolico, quando Berlinguer doveva aggiungerlo, questo era nella sua ricetta, per un comportamento politico virtuoso e democratico.

Vediamo lo svolgersi dei tre articoli. Il primo pezzo porta il titolo Imperialismo e Coesistenza alla luce dei fatti cileni, 28 settembre 1973. Qui il lessico è decisamente antiimperialista ed è un articolo descrizione di tutte le porcherie che l'imperialismo, soprattutto americano, ha creato nel mondo fino a quell'epoca:
"Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell'imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano."

Una piccola curiosità, il termine jugulazione è davvero poco usato. Significa prendere alla giugulare, togliere il sangue velocemente tramite la recisione delle vene giugulari. Rende bene ciò che è accaduto in Cile, come in altri scenari a livello mondiale, e ci rende la visione dell'imperialismo americano simile a quella di un vampiro. Berlinguer prosegue poi rivendicando al movimento comunista e socialista la difesa della democrazia nei vari Paesi:
"…gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno nei paesi del cosiddetto «mondo libero», i nemici della democrazia."

Non sono certo i partiti di sinistra ma:
"L'opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che le classi dominanti borghesi e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi e il proprio potere."

Occorre pertanto operare con
"…vigile attenzione di tutti sui percoli che l'imperialismo e le classi dominanti borghesi fanno correre alla libertà dei popoli e all'indipendenza delle nazioni, e per sviluppare in masse sempre più estese l'impegno democratico e rivoluzionario per modificare ulteriormente, nel mondo e in ogni paese, i rapporti di forza a vantaggio delle classi lavoratrici, dei movimenti di liberazione nazionale e di tutto lo schieramento democratico e antimperialistico."

Quanto fa specie leggere accanto al termine democratico anche l'aggettivo rivoluzionario. Passa poi ad additare nei monopoli statunitensi gli attori nascosti del golpe:
"…fin dall'avvento del governo di Unità popolare i gruppi monopolistici nord-americani presenti con posizioni dominanti nell'economia cilena (rame, Itt) e i circoli dirigenti dell'amministrazione degli Usa hanno intrapreso una sistematica azione su tutti i terreni - dalla guerra economica alla sovversione - per provocare il fallimento del governo Allende e per rovesciarlo."

Elenca poi una serie di altri paesi avversati o minacciati allo stesso modo:
"Chi non ha presenti i brutali interventi in Guatemala, nella Repubblica dominicana e in tanti altri Stati? E chi non sa che Cuba socialista, con la sua fermezza e con la sua unità, e grazie anche alla solidarietà e al sostegno dell'Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti, ha dovuto respingere per anni manovre, provocazioni, boicottaggio economico,"

Poi ricorda che il mondo si è aperto ad una nuova strada verso la liberazione dalle catene del profitto e cita il Vietnam:
"È proprio in questa direzione che va il processo storico mondiale da quasi sessanta anni, da quando la rivoluzione russa del 1917 ha spezzato per la prima volta la dominazione esclusiva dell'imperialismo e del capitalismo."

Anche la rivoluzione cinese rientra nel quadro di questa azione di liberazione dal capitalismo:
"soprattutto dopo la vittoria sul nazismo, dopo la vittoria della rivoluzione cinese e con il crollo del vecchio sistema coloniale inglese e francese, l'area sottoposta al controllo dell'imperialismo si è andata restringendo."

Ed ecco il Vietnam:
"In questo quadro ha avuto e ha enorme portata la vittoria dell'eroico popolo del Vietnam, sostenuto dai paesi socialisti e da un possente movimento internazionale di solidarietà, contro l'aggressione americana."

Nello stesso articolo si sostiene che l'imperialismo degli USA è ben capace di operare comportamenti simili a quello del Cile in altre zone del mondo, andando contro la politica della distensione e della coesistenza pacifica. Questi ultimi comportamenti tesi ad evitare la guerra atomica, pur restando il mondo diviso per sfere di influenza. Comunque, la politica della distensione è un viatico verso un mondo più sicuro e tranquillo. Scrive di sapere che l'Italia è all'interno del mondo capitalistico ma questo non sarà un ostacolo per gli sforzi del PCI ad operare nel senso definito sopra, quello della coesistenza pacifica.

Il PCI ha dovuto resistere a tentativi di porlo in sordina:
"…la nostra lotta e la nostra iniziativa vanno sviluppate anche sul terreno dei rapporti internazionali, sia dando un nostro contributo a tutte le battaglie che in Europa e in ogni parte del mondo possono condurre a indebolire le forze dell'imperialismo, della reazione e del fascismo."

Ed ancora, molto più chiaro:
"Lavorare per questo obiettivo non vuol dire porre una tale Europa, e in essa l'Italia, in una posizione di ostilità o verso l'Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti o verso gli Stati Uniti."

Rigettando tutte le critiche "di sinistra" chiude il primo articolo:
"Chi ciò volesse si proporrebbe qualcosa di assurdo, di velleitario e, in ultima analisi, di antitetico alla logica di una politica di distensione e di sviluppo democratico per il nostro paese e per tutti gli altri paesi dell'Europa."

La chiusura della ripubblicazione non coincide con l'originale pubblicazione dei pezzi. L'opuscolo si ferma sull'affermazione che "La lotta conseguente per questa linea di politica internazionale è parte fondamentale della prospettiva che chiamiamo via italiana al socialismo".

Si passa poi al secondo articolo, quindi proseguiamo.
"Dal complesso delle differenze e delle analogie (tra i due Paesi, Cile e Italia, n.d.r.) occorre dunque trarre motivo per approfondire e precisare meglio in che cosa consiste e come può avanzare la via italiana al socialismo."

Questo concetto, attribuito in primis a Togliatti, ritorna più volte negli articoli. Viene poi diluito proprio in vista della chiusa finale, rivolta alla Democrazia Cristiana ed al mondo cattolico.

Nel secondo pezzo, indipendentemente dalle differenze di pubblicazione citate sopra, viene accostato Gramsci a Togliatti e si fa riferimento alla politica del secondo, dalla svolta di Salerno in poi. Svolta che in pratica prendeva atto dell'inclusione dell'Italia nel mondo capitalista e del PCI all'interno di questa scelta. E si tira in ballo ancora la Grecia e la sua storia del secondo dopoguerra, con il movimento operaio e comunista che andò incontro all'avventura rivoluzionaria e subì una tragica sconfitta e venne ricacciato indietro, in quella situazione di clandestinità dalla quale era appena uscito.

Per Berlinguer comportamento irrealistico, mentre in Italia, e specialmente durante la Resistenza, il PCI ha fatto una scelta realista e pragmatica, sapendo di essere in una situazione storica e sociale ben definita:
"Ma non fu questo il solo fattore che determinò le nostre scelte di strategia e di tattica. Il senso più profondo della svolta stava nella necessità e nella volontà del partito comunista di fare i conti con tutta la storia italiana, e quindi anche con tutte le forze storiche (d'ispirazione socialista, cattolica e di altre ispirazioni democratiche) che erano presenti sulla scena del paese e che si battevano insieme a noi per la democrazia, per l'indipendenza del paese e per la sua unità."

Una vasta unità che comprendeva anche spezzoni ben lontani dalle posizioni di sinistra, ma che erano comunque "patriottici":
"Si trattava di una unità che si estendeva dal proletario, dai contadini, da vasti strati della piccola borghesia fino a gruppi della media borghesia progressiva, a gran parte del movimento cattolico di massa e anche a formazioni e quadri delle forze armate."

Propone poi una parte di uno scritto di Togliatti al X congresso del PCI che riassume bene il comportamento politico del PCI non avventurista né pantofolaio ma cosciente propositore di una politica di compromesso. Nonostante le chiusure da parte della DC questo cammino verso il socialismo, la democrazia allargata, non si è mai interrotto del tutto.
"Solo questa linea e nessun'altra può isolare e sconfiggere i gruppi conservatori e reazionari, può dare alla democrazia solidità e forza invincibile, può far avanzare la trasformazione della società."

Berlinguer si accorge anche della politica reazionaria presente in Italia ma non per questo il PCI deve scartare dalla via della proposta di democrazia allargata. E quello che è accaduto in Cile deve fare riflettere sulle politiche troppo spinte. Dato che l'avversario di classe è sempre pronto a trarre profitto da ogni posizione estremista per portare a fondo i suoi colpi reazionari.
"E sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena, che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le forze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello Stato e nella società. Ma quale conclusione dobbiamo trarre da questa consapevolezza? Forse quella, proposta da certi sciagurati, di abbandonare il terreno democratico e unitario per scegliere un'altra strategia fatta di fumisteria, ma della quale è comunque chiarissimo l'esito rapido e inevitabile di un isolamento dell'avanguardia e della sua sconfitta?"





Al contrario si deve insistere al fine di evitare ancora più laceranti spaccature:
"…impegnarci con ancora maggiore decisione, intelligenza e pazienza a isolare i gruppi reazionari e a ricercare ogni possibile intesa e convergenza fra tutte le forze popolari."

E poi, citando Longo, scrive che è necessario resistere:
"Spingendo a fondo l'organizzazione, la mobilitazione e la combattività del popolo, consolidando ed estendendo ogni giorno le alleanze di combattimento della classe operaia con le masse popolari, realizzando in questo modo, nella lotta, la sua funzione di classe dirigente."

Lo scopo, fare fallire tutti i tentativi reazionari che vorrebbero fare tornare indietro l'Italia. Si tratta di
"…comunque di ricacciare indietro il movimento operaio e popolare. Così è avvenuto, a partire dal 1947-'48, nella lotta contro la politica di discriminazione, le persecuzioni e gli attentati liberticidi dei governi centristi. Così è avvenuto nel 1953 quando fu battuto il tentativo di distorcere in senso antidemocratico, con la legge-truffa, il meccanismo elettorale e la rappresentatività del Parlamento. Così è avvenuto nel 1960, quando fu stroncata sul nascere l'avventura autoritaria iniziata dal governo Tambroni. Così è avvenuto nel 1964, quando furono sventate le manovre antidemocratiche e i propositi di colpi reazionari che videro anche il tentativo di coinvolgere e di utilizzare contro la Repubblica una parte delle forze armate e dei corpi di pubblica sicurezza. Così è avvenuto dal 1969…".

Basta così per questo secondo articolo che è una costante ripetizione martiriologica per esaltare le masse comuniste che si sacrificano per il bene e la democrazia nello stato.

Il terzo articolo è la fine del percorso iniziato nel primo e che mette come punto centrale l'unione reale tra forze popolari e quindi anche quelle cattoliche, non tralasciando di prendere in considerazione che le stesse erano organiche alla D.C. Questa terza parte è più lunga delle altre due, forse per cercare di fare passare l'idea del rapporto con tutte le masse popolari, una sorta di anticipazione del compromesso storico che verrà di lì a poco. L'articolo si apre con la considerazione che, in politica, ci si debba prendere carico anche delle sconfitte, e citando Lenin, si dice:
"«Bisogna comprendere - e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza - che non si può vincere senza aver appreso la scienza dell'offensiva e la scienza della ritirata»"




Due esempi con Lenin come attore: la pace di Brest Litovsk e la NEP. Ora, per tutti e due gli esempi vi sarebbe da discutere, alla luce dell'accostamento berlingueriano, ma ciò ci porterebbe troppo lontano. Riscontriamo comunque una certa dose di disinvoltura nell'accostamento stesso che specialmente per il primo, la pace di Brest Litovsk, non tiene in considerazione le condizioni, guerra civile prolungata in Russia, con mezzo mondo ad attendere il risultato finale, assenza di guerra in Italia. Proseguiamo.
"L'obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di una determinata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi delle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra."

Forza e consenso sono gli ingredienti necessari per ogni politica di moderna democrazia allargata. Esempio ricordato, la Resistenza. Il proletariato deve fare propria sino in fondo la considerazione che la società italiana contemporanea, in quegli anni '70, è molto composita e non si tratta certo di pensare di condurre una vita politica nazionale ed operare da solo, pena la sconfitta totale.
"Appare chiarissimo che per l'esito della battaglia democratica che conduciamo per la trasformazione e il rinnovamento della nostra società è determinante dove si situano, in che senso sono orientate e come si muovono queste masse, questi ceti intermedi, questi strati di popolazione. È del tutto evidente, cioè, come sia decisivo per le sorti dello sviluppo democratico e dell'avanzata al socialismo che il peso di tali forze sociali venga a spostarsi o a fianco della classe operaia oppure contro di essa."

Occorre perciò garantire i livelli economici delle classi eventualmente alleate del proletariato, dato che è particolarmente importante dove si posizionano i ceti intermedi, e gli altri strati della popolazione. Occorre perciò
"…una concordanza di fini fra la classe operaia, che lotta contro i monopoli e per abbattere il capitalismo, non più solo con le masse proletarie e semiproletarie, ma con la massa dei coltivatori diretti nelle campagne e con una parte importante dei ceti medi produttivi nelle città".

Ceti medi che si uniranno ai proletari se gli converrà:
"…una alleanza permanente della classe operaia con strati del ceto medio della città e della campagna è determinata da una convergenza di interessi economici e sociali che trae origine dallo sviluppo storico e dalla attuale struttura del capitalismo…"

Quindi è necessario garantire loro il livello economico più utile si possa avere per il loro stile di vita:
"…in una società democratica che si sviluppi verso il socialismo sarà garantita la loro attività economica".

Necessario è che queste classi sociali sviluppino un comportamento virtuoso che le faccia uscire dall'individualismo. Il proletariato ed il suo partito devono egemonizzare le altre classi sociali verso un modello morale di società. Compito veramente difficile e delicato, che non deve sollevare contro il proletariato ed il PCI nessuna acrimonia economica e spirituale:
"D'altronde, la contrapposizione e l'urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a una spaccatura a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico"

Ed arriviamo a scoperchiare tutto il progetto berlingueriano:
"Di ciò consapevoli noi abbiamo sempre pensato - e oggi l'esperienza cilena ci rafforza in questa persuasione - che l'unità dei partiti di lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per garantire la difesa e il progresso della democrazia ove a questa unità si contrapponga un blocco di partiti che si situano dal centro fino alla estrema destra. Il problema politico centrale in Italia è stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte di tipo clerico-fascista e di riuscire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posizioni coerentemente democratiche."

Ed ecco la proposta, esplicita:
"Ovviamente, l'unità, la forza politica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le loro diverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo. Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l'opera di un governo che fosse l'espressione di tale 51 per cento. Ecco perché noi parliamo non di una «alternativa di sinistra» ma di una «alternativa democratica» e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico."

Scrive Berlinguer che non vi è stata nessuna seria critica a questa proposta da parte di alcuno a sinistra. Insomma:
"…non si può" sfuggire all'altro grande problema costituito dalla esistenza e dalla forza di un partito politico come la Democrazia cristiana, che a parte la qualificazione di «cristiana» che esso dà di sé stesso, raccoglie nelle sue file o sotto la sua influenza una larga parte delle masse lavoratrici e popolari di orientamento cattolico."

Lasciamo il resto del lungo articolo nel quale Berlinguer cerca di porre come indiscutibile la centralità del PCI sia verso al DC che verso il PSI. Chiude indicando appunto il
"…nuovo grande «compromesso storico» tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano"

È stata poi la storia tragica degli anni immediatamente successivi a questa proposta, ed ancora di più quelli che ci vedono viventi ora, a farci aggirare in mezzo a montagne di rovine e disgrazie che si sono consumate ripetutamente e che hanno messo la parola fine a questa illusione, questa sì illusione, verso un comportamento che era nella testa dei dirigenti, e non di tutti, del PCI di allora. Altro che spinte estremistiche e via dicendo. Questo progetto che faceva i conti senza l'oste, appunto i nemici del proletariato, molto più forti e strutturati del progetto stesso e che hanno fatto sì che nei decenni successivi molti accadimenti in Italia, ma anche all'estero affondassero qualsiasi tentazione di una via italiana al socialismo con mezzi democratici e per approssimazioni sempre più spinte. Tutto rimasto nella testa di uomini come Berlinguer. Pensieri altamente civili che si scontravano però con un mondo dove la civiltà viaggiava sulle ali del defoliante arancione, che sviluppava diossina, e che cadeva sulle teste dei vietnamiti.

 

da www. resistenze.org

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