Lo scopone scientifico interclassista. A proposito della beatificazione di Marchionne.

Veniamo da giorni di beatificazione mediatica di Sergio Marchionne. Nel bene e nel male è stato detto praticamente tutto, gli smanettatori dei social si sono agitati per giorni come i servili giornalisti. Potremmo passare per ore in rassegna la stampa e cogliere innumerevoli contraddizioni, per esempio gli approfondimenti sull'uomo Marchionne che per anni aveva costruito un muro impenetrabile per salvaguardare la privacy della sua famiglia.

Marchionne sta morendo in un ospedale svizzero dove solo per essere visitati pensiamo (non ne siamo certi) servano tanti soldi che molti di noi non potrebbero permettersi. Non è vero che di fronte alla sofferenza e alla morte siamo tutti uguali, c'è chi puo' accedere a visite costose e cure sperimentali e chi, invece, è solo un numero in una fila interminabile in attesa di tac o della chemio.

Fin qui nulla di nuovo, del resto siamo o non siamo il paese delle crescenti disuguaglianze?

C'è tuttavia da cogliere un aspetto importante nella beatificazione di Marchionne:l'assenza di memoria, l'idea che si possa e si debba riabilitare tutto e tutti in nome del "vogliamoce bene"

Accade per esempio nelle ricostruzione del passato, si cancellano le pagine scomode per fornire immagini edulcorate di periodi che risultano alla fine incomprensibili. Questa grande operazione politica si chiama revisionismo storico e riguarda anche la storia recente se non addirittura l'attualità.

Sono poche le voci critiche verso Sergio Marchionne, quelle disposte a ricostruire la storia di questo manager, le decisioni assunte, le trasformazioni del gruppo Fiat, ora Fca, le delocalizzazioni, le politiche sindacali e industriali imposte ai governi di turno.

Dalle dichiarazioni di esponenti politici del Pd si capisce che quanti avrebbero dovuto almeno costrastare il manager Marchionne non lo hanno fatto, è difficile esaltare l'uomo dimenticandone l'operato a meno che sia proprio l'operato ad essere condiviso.

In queste ore abbiamo ripensato all'uscita della FCA da Confindustria, all'abbandono di gran parte degli stabilimenti italiani, ai reparti confino in cui hanno trasferito sindacalisti e operai riluttanti all'ordine aziendale,alle migliaia di posti perduti, agli anni di cassa integrazione, ai licenziamenti, alle delocalizzazioni produttive, ai capannoni industriali abbandonati o trasformati in altro, ai grandi profitti assicurati agli azionisti della ex Fiat.

Ci saremmo aspettati una lettura critica dell'operato di Sergio Marchionne ma invece apprendiamo come alcune decisioni importanti siano state assunte, con il plauso di amministratori locali, sindacalisti e politici, in un clima informale e conviviale. Eppure ci eravamo fatti un'altra idea, che quelle decisioni antioperaie fossero state imposte o comunque penosamente subite. Ci saremmo aspettati urbanisti, avvocati del lavoro, storici, sindacalisti (ma anche sindaci) a ricostruire una contronarrazione del manager Marchionne, ma le voci critiche stentano a manifestarsi se non su qualche giornale o pagina on line.

Nei giorni scorsi abbiamo ripensato ad un libro di quasi 50 anni fa , correva l'anno 1972 quando quello che sarebbe diventato sindaco di Torino per il Pci, Diego Novelli, pubblicava per gli Editori Riuniti una storia sullo spionaggio dei vertici Fiat ai danni di lavoratori e sindacalisti.

Novelli sarà il sindaco della città di Torino solo pochi anni dopo, pensare che oggi un sindaco possa essere eletto dopo essersi schierato contro i poteri forti è utopia, per capirlo basta leggere le dichiarazioni del Pd Chiamparino sul quotidiano La Repubblica.

La beatificazione di Marchionne (non servono a nostro avviso le invettive lanciate dai social network che fotografano la impotenza culturale e politica rispetto alle decisioni  dei managers e dei politici, sarebbe interessante piuttosto capire il ruolo finanziario del manager) è comunque una fonte di insegnamento per i nostri giorni, aiuta a capire il connubio tra politica, informazione, settori maggioritari del sindacato e capitani d'industria, una sorta di grande alleanza figlia degli anni della concertazione.

Nei giorni scorsi è uscita una sentenza della Consulta che ormai non fa piu' differenza se la critica al datore di lavoro proviene da un dipendente o da un sindacalista, la libera manifestazione di pensiero dovrà avvenire nel rispetto della "continenza formale e sostanziale", con toni moderati e senza assumere i connotati di una verità oggettiva.

Praticamente la Magistratura sentenzia la sostanziale fine del diritto di critica (ci perdoneranno i giuristi ma questa è la nostra opinione) e della stessa scriminante sindacale che permetteva qualche libertà di critica\azione al sindacalista in azienda.

Questa sentenza, che non riguarda l'universo Fiat, è figlia dei nostri tempi e sicuramente delle politiche industriali in Fca, basti pensare ai licenziamenti a Pomigliano.

Mentre Marchionne sta terminando la sua vita in un letto di ospedale, sarebbe utile ricostruire la storia sindacale, industriale, urbanista e politica degli ultimi 20 anni, bisognerebbe farlo per capire cosa accadrà nei prossimi mesi e anni.   Partire dal 1980 alla Fiat perchè quella data ha rappresentato una svolta anche nelle relazioni politiche  e sindacali, la sconfitta politica del compromesso storico e della svolta dell'Eur si è presto tramutata in sconfitta sindacale e nell'inizio della debacle operaia.

Dalla comprensione non potrà che scaturire  una lettura aggiornata che ci pemetta anche di individuare le linee guida di una rinnovata  iniziativa politica e sindacale (perchè le parole siano seguite dai fatti). Questo è il modo migliore, almeno per noi,  per ricordare i tanti operai suicidatisi perchè non sopportavano piu' la cassa integrazione o il licenziamento.

 Questa tristissima pagina di storia oggi sembra sia stata rimossa da molti media, ripristinarla significherebbe sviluppare narrazioni differenti da quelle ufficiali, anche se al ricordo del passato preferiamo sempre unire l'analisi del presente, giusto per provare almeno a incidere nella realtà in cui viviamo e non solo per il narcistico twittare sui social newtwork.





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