21 gennaio 1921: nasceva a Livorno il Partito Comunista d'Italia - Sezione dell'Internazionale Comunista. Come si svolsero degli eventi.

 21 gennaio 1921: nasceva a Livorno il Partito Comunista d'Italia - Sezione dell'Internazionale Comunista. Come si svolsero degli eventi.

Pioveva quel giorno a Livorno. All'annuncio dei risultati definitivi del XVII Congresso del Partito Socialista Italiano alcuni delegati lasciarono il teatro Goldoni, sede dei lavori, per trasferirsi al teatro San Marco. Erano gli esponenti della corrente 'comunista' del partito: secondo la tradizione popolare, mentre attraversavano le vie della città intonarono l'Internazionale. Il teatro San Marco era stato uno dei principali teatri livornesi ed italiani dell'Ottocento, ben superiore al Goldoni.


Ma la gloria passata era soltanto uno sbiadito ricordo quel venerdì 21 gennaio 1921: abbandonato da tempo e ridotto, durante la Prima Guerra Mondiale, a magazzino del Regio Esercito, il teatro San Marco accolse i comunisti con abbondanti infiltrazioni dal tetto, costringendoli a discutere e votare la nascita del Partito Comunista d'Italia - Sezione dell'Internazionale Comunista con gli ombrelli aperti! Si compiva così una scissione che nessuno voleva ma che tutti si aspettavano: quella tra socialisti e comunisti, la prima (e decisamente più importante) di una lunga serie di scissioni che hanno caratterizzato la storia della sinistra italiana.


All'epoca il Partito Socialista, che aveva ormai raggiunto significative dimensioni, era articolato in varie sezioni e ramificazioni territoriali che erano espressione delle diverse realtà con cui si confrontavano quotidianamente e che godevano di una certa autonomia: forse proprio per questo, in un periodo in cui la società italiana viveva conflitti molto aspri, il partito mancava di una linea unitaria. Alla vigilia del congresso livornese, che iniziò il 15 gennaio, il PSI era diviso in almeno tre correnti: quella di 'concentrazione socialista' vicina alle posizioni del gradualismo riformista di Turati, quella 'massimalista' di Giacinto Menotti Serrati e appunto quella 'comunista'.


Quest'ultima si era costituita il 15 ottobre 1920 a Milano ed era già consolidata in una struttura partitica: promossa da Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci, Francesco Misiano e Umberto Elia Terracini, era animata dal gruppo torinese legato al periodico 'Ordine Nuovo' e da quello napoletano legato al settimanale 'Il Soviet'. Tra 'concentrazione socialista' (o 'riformisti') e i 'massimalisti' si collocavano i cosiddetti 'rivoluzionari intransigenti' di Costantino Lazzari, mentre il gruppo della 'circolare' di Antonio Graziadei e Anselmo Marabini affiancava i 'comunisti'.


La componente numericamente meno rilevante era quella di 'concentrazione socialista', che però aveva il controllo della rappresentanza parlamentare e della Confederazione Generale del Lavoro. Senza entrare nel dettaglio, la mozione di questa corrente prendeva le distanze da qualsiasi forma di violenza per la conquista del potere e sosteneva il raggiungimento della dittatura del proletariato, intesa come necessità transitoria, e non come obiettivo programmatico, che poteva essere raggiunta attraverso riforme da concordare con le altre forze politiche moderate e da realizzare direttamente se giunti a governare.


I 'massimalisti', chiamati anche 'comunisti unitari', sottolineavano l'importanza del mantenimento dell'unità del partito e l'urgenza di giungere alla conquista del potere politico al fine di realizzare, anche per vie extralegali, la rivoluzione comunista.


Il nodo principale della discussione erano i 21 punti dettati dal II Congresso del Comintern, tenutosi a Pietrogrado e Mosca tra il 19 luglio e il 7 agosto 1920 su iniziativa dei bolscevichi dopo la dissoluzione della Seconda Internazionale. Questi 21 punti, elaborati da Lenin, stabilivano le condizioni di ammissione dei partiti alla Terza Internazionale. Significativi, per comprendere le vicende livornesi, il secondo e il settimo di questi punti. Il secondo sosteneva che "Qualsiasi organizzazione che voglia aderire all'Internazionale Comunista deve rimuovere, sistematicamente, i riformisti e i centristi da tutti gli incarichi di responsabilità all'interno del movimento operaio (organizzazioni di partito, comitati di redazione, sindacati, gruppi parlamentari, cooperative, organi di governo locali) e sostituirli con comunisti collaudati, anche se, soprattutto all'inizio, sarà necessario sostituire degli opportunisti "esperti" con dei semplici lavoratori di base".


 Il settimo, invece, che "I partiti che vogliono aderire all'Internazionale Comunista sono tenuti a riconoscere la necessità di una frattura completa ed assoluta con il riformismo e con la linea politica del "centro", e a propugnare il più diffusamente possibile questa frattura tra i propri membri. Senza di ciò non è possibile nessuna linea politica coerentemente comunista. 


L'Internazionale Comunista esige assolutamente e categoricamente che si operi tale frattura il più presto possibile. L'Internazionale Comunista non può accettare che dei noti opportunisti, come Turati, Modigliani, Kautsky, Hilferding, Hilquit, Longuet, MacDonald, ecc. abbiano il diritto di apparire quali membri dell'Internazionale Comunista. Ciò non potrebbe non portare l'Internazionale Comunista ad assomigliare per molti aspetti alla Seconda Internazionale, che è andata in pezzi". Il punto diciassette inviata inoltre i partiti che aderivano alla Terza Internazionale a cambiare nome: "Ogni partito che voglia aderire all'Internazionale Comunista deve chiamarsi: Partito Comunista del tale paese (sezione dell'Internazionale Comunista)".


La componente 'comunista' intendeva adottare tutti i punti e modificare il nome del partito, espellendo tutti gli aderenti a 'concentrazione socialista' e tutti coloro che a Livorno avrebbero votato contro alla completa osservanza delle indicazioni del II Congresso del Comintern. Anche i 'massimalisti' ribadivano l'adesione all'Internazionale, chiedendo tuttavia la possibilità di applicare i 21 punti secondo le condizioni dei singoli paesi e di conservare provvisoriamente il nome di Partito Socialista Italiano. In base ai punti precedentemente trascritti, è evidente come la posizione di 'concentrazione socialista' fosse decisamente delicata! Per questo, alla vigilia del congresso di Livorno, si riteneva ormai inevitabile una scissione a sinistra del PSI.


Il secondo giorno del congresso livornese vide l'intervento del delegato del Partito Comunista Bulgaro e dell'Internazionale Christo Kabakčiev. Questi attaccò duramente Serrati, che nel suo intervento del 19 gennaio rispose contestando apertamente il comportamento discriminatorio dell'Internazionale nei confronti del PSI. Lo stesso giorno di Serrati, parlò anche Filippo Turati che sottolineò la profonda distanza ideologica che lo separava dai comunisti. 


Nel suo discorso Turati ribadì il netto rifiuto di ogni soluzione rivoluzionaria violenta e propose una strenua difesa del riformismo socialista e della sua «opera quotidiana di creazione della maturità delle cose e degli uomini»: un opera che sarebbe sopravvissuta al mito russo dietro cui, secondo il leader socialista, si celava il nazionalismo. Il discorso di Turati fu applaudito anche dai 'massimalisti'. Il consenso riscosso da Turati fece commentare alla sua compagna Anna Kuliscioff come il leader riformista fosse il vero trionfatore del congresso. Una valutazione simile fu fatta da Benito Mussolini sulle pagine del Popolo d'Italia.


La votazione delle mozioni si tenne il 20 gennaio. L'esito, come accennato, fu comunicato la mattina del 21 gennaio: su 172.487 suffragi validi, i delegati avevano assegnato 98.028 voti ai massimalisti, 58.783 ai comunisti e 14.695 ai concentrazionisti, mentre le astensioni erano state 981. Come detto, all'annuncio dei risultati, su invito di Bordiga, i 'comunisti' lasciarono il teatro Goldoni. I delegati delle altre mozioni continuarono i lavori, con la speranza di riuscire a limare le controversie con il Comintern al successivo congresso della stessa organizzazione internazionalista e accusando Kabakčiev di aver esasperato gli animi.

Durante il III Congresso del Comintern dell'estate 1921 però il PCd'I fu confermato come unica sezione italiana della Terza Internazionale. Questo nonostante alcuni dissidi ideologici, con Lenin che accusò Terracini di aver contestato la necessità di attendere la conquista della maggioranza del proletariato prima di avviare la lotta per il potere. Il neonato PCd'I si guadagnò subito sul campo la fama internazionale di estremismo che ne caratterizzerà la prima fase della sua storia.

Alessio Pierotti - 21 gennaio 2022

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