Dossier Ucraina

 Buonasera,

Le pressioni Usa/Nato contro la Federazione che vedono al centro, in questa fase, l'Ucraina stanno creando forti tensioni che riteniamo opportuno analizzare superando la visione filoatlantista del nostro apparato mediatico nazionale main stream, in modo di fornire gli strumenti per una analisi più oggettiva della realtà.

Per questo abbiamo preparato questo breve dossier che vi proponiamo di seguito composto da articoli vari tratti da Il Manifesto

Il coordinamento del Giga


Nyt: «Atomiche di Mosca in base russa di fronte agli Usa»

Tensione armata. Risposta da guerra fredda all’Ucraina nella Nato. Sarebbe coinvolta la base di Vladivostok

L’allarme arriva sempre dal New York Times e riguarda questa volta la possibilità che l’esercito russo sposti sulla sua costa orientale armi atomiche, una misura che potrebbe essere interpretata come una «minaccia diretta» dagli apparati di sicurezza americani. «Ci sono stati segnali, mai espliciti», che questo possa avvenire, ha scritto il quotidiano citando interventi a porte chiuse di diplomatici ed esperti di politica estera.

Secondo l’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, o Ican, le forze armate russe hanno a disposizione almeno 6.257 testate atomiche. Nessuno conosce con assoluta certezza l’esatta disposizione dell’arsenale, ma è lecito supporre che un numero sufficiente a riportare all’età del ferro mezzo emisfero già si trovi nelle installazioni costruite fra il Mare di Okhotsk e quello di Bering. Non è del tutto chiaro, quindi, quale vantaggio strategico i russi intenderebbero ottenere spostando altre armi verso Oriente.

Per il New York Times l’operazione permetterebbe di ridurre al limite di cinque minuti i tempi di allarme dopo un ipotetico attacco agli Stati Uniti. Ma senza alcun dato a sostegno, il rischio vero è che il rapporto finisca semplicemente per assecondare l’approccio da Guerra fredda che avanza nell’Amministrazione Biden. Con una differenza significativa: allora, negli anni Sessanta, c’erano missili diretti ai Caraibi, a migliaia di chilometri dai confini dell’Unione sovietica; oggi, forse, si tratta della base di Vladivostok, nella regione russa del Primorskij Kraij.

Le tensioni tra Stati Uniti e Russia restano in ogni caso al livello di allerta. Già lo scorso dicembre il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov ha detto apertamente che la Russia potrebbe impiegare missili a medio raggio nella parte europea del paese nel caso in cui la Nato dovesse accettare fra i nuovi soci Ucraina o Georgia. Il vertice a Bruxelles della scorsa settimana con i rappresentanti dell’Alleanza atlantica al quale ha preso parte lo stesso Ryabkov non è bastato a chiudere un’intesa.

Al centro dello scontro c’è com’è noto lo status dell’Ucraina. Il presidente, Volodymyr Zelensky, ha chiesto con forza di far parte della Nato. Il capo del Cremlino, Vladimir Putin, considera l’adesione una «linea rossa» per la sicurezza nazionale. La crisi ha condotto l’intelligence americana a formulare un’ampia serie di ipotesi, compresa quella sempre meno credibile di un’invasione russa dell’Ucraina. Il paese affronta peraltro da mesi una preoccupante crisi politica, oltre alla guerra civile nel Donbass. Il leader della Piattaforma di opposizione, Viktor Medvedchuk, è agli arresti domiciliari dallo scorso maggio. E ieri a Kiev è cominciato il processo per tradimento contro Petro Poroshenko, che è stato presidente dal 2014 al 2019 ed è ora sotto accusa per l’acquisto di carbone dalle province ribelli di Donetsk e Lugansk. Poroshenko è tornato in patria ieri per assistere all’udienza in tribunale. All’aeroporto Zhuliany è stato accolto da migliaia di sostenitori. La procura ha chiesto una cauzione record per lasciarlo in libertà: trenta milioni di euro.

Nei cinque anni al palazzo presidenziale, Poroshenko ha portato avanti un programma politico aggressivo, in particolare su temi come lingua e cultura, divenuti divisivi dopo la rivolta del 2014. In base a una delle leggi approvate proprio nel corso del suo mandato, tutti i giornali a diffusione nazionale devono essere pubblicati a partire da questa settimana esclusivamente in ucraino. Il rispetto della norma sarà garantito da un commissario alla lingua e dai suoi funzionari regionali. Oggi Poroshenko si trova in una condizione molto simile a quella dell’ex leader di opposizione Yulia Timoshenko, incarcerata un decina di anni fa per un accordo sul gas firmato con la Russia nel periodo in cui era premier.

La condanna contro Timoshenko sollevò prima l’indignazione e poi le sanzioni economiche dell’Europa. Il capo dello Stato era in quel periodo Viktor Yanukovich, considerato «filorusso».

A Zelensky, salito al potere nel 2019 con l’esplicito intento di entrare nella Nato, le autorità europee non ritengono necessario chiedere garanzie sui processi agli oppositori. E’ un’altra pessima notizia per Poroshenko, e, in fin dei conti, per le speranze democratiche del paese.

Usa-Russia, nuovo round. E Berlino resta nel mezzo

Crisi Ucraina. Blinken e Lavrov si rivedono venerdì. La ministra Baerbock in visita distensiva a Mosca

Il segretario di stato americano, Antony Blinken, vedrà il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, venerdì a Ginevra: è un nuovo round del negoziato che Cremlino e Casa Bianca conducono da mesi con i loro inviati alla ricerca di un equilibrio sul piano della sicurezza. «Ho detto a Blinken che vogliamo risposte concrete alla nostra richiesta di garanzie», ha detto Lavrov dopo un colloquio preparatorio con il collega. Le garanzie riguardano in particolare il processo di espansione della Nato.

I RUSSI CONSIDERANO l’adesione di Ucraina e Georgia una minaccia esistenziale, una «linea rossa» che non deve essere varcata. Gli americani difendono, dal canto loro, la capacità di ogni paese di decidere in modo autonomo in tema di difesa. Una riunione straordinaria del Consiglio Nato-Russia non è bastata la scorsa settimana a raggiungere un accordo, ma il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha fatto sapere di essere al lavoro per un nuovo vertice che si potrebbe tenere già nei prossimi giorni. «Siamo pronti anche a proposte scritte per raggiungere una soluzione», le parole di Stoltenberg. Negli ultimi due mesi le tensioni hanno spinto gli apparati americani a ritenere plausibile la possibilità di una invasione russa in Ucraina. L’ipotesi, mai peraltro smentita dai russi, sembra ogni giorno meno probabile. Poco o nulla si è però discusso, tuttavia, dei piani dell’Europa e degli Stati Uniti di fronte a uno scontro militare.

NEL 2008 L’ALLEANZA atlantica ha stabilito un percorso di accesso per Georgia e Ucraina. In caso di conflitto, però, la Nato avrebbe un ruolo «secondario», afferma un rapporto della Reuters. Il capo della Casa Bianca, Joe Biden, ha escluso esplicitamente l’invio di uomini a Kiev. Il suo corpo diplomatico ha già un protocollo di emergenza per lasciare il Paese, e lo stesso vale per il Canada. In più, un documento del dipartimento della Difesa pubblicato dal New York Times prevede soltanto sostegno a distanza agli «insorti». È come se per gli analisti dell’Amministrazione Usa l’Ucraina fosse una sorta di Afghanistan al limite orientale dell’Europa, in cui solo un gruppo ridotto di combattenti resterebbe sul campo a difendere quel che resta del Paese di fronte a una ipotetica offensiva russa.

Lo scenario dovrebbe indignare il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che continua a incassare segnali di disimpegno dagli alleati. L’ultimo lo ha ricevuto ieri proprio da Stoltenberg, secondo il quale la Nato garantirà, sì, l’integrità e la sovranità territoriale dell’Ucraina, ma attraverso «il diritto all’autodifesa». Non è certamente quello che le truppe della Guardia nazionale schierate lungo il fronte del Donbass speravano di sentire dopo sette anni abbondanti di combattimenti sfiancanti e di promesse che Zelensky non sembra in grado di mantenere.

ANCHE IL GOVERNO TEDESCO, il cui peso è come noto significativo negli affari europei, vuole evitare il confronto. «Non c’è alternativa ai buoni rapporti tra la Russia e la Germania», ha detto ieri la nuova ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, a Mosca per incontrare Lavrov. Baerbock ha chiesto il rispetto di «regole comuni sui diritti umani» citando i casi dell’oppositore politico Alexey Navalny e della ong Memorial; Lavrov ha domandato di «non politicizzare» il progetto Nord Stream 2, che è finalizzato, sempre secondo Lavrov, a «garantire la sicurezza energetica di Germania ed Europa».

MA IL RAGGIO D’AZIONE diplomatico e militare della Russia è ben più vasto. Il ministero della Difesa ha completato il ritiro dei tremila soldati che hanno preso parte all’operazione antiterrorismo in Kazakhstan, e hanno predisposto nelle ultime ore un contingente per esercitazioni che si terranno in Bielorussia. La marina parteciperà a manovre congiunte con Cina e Iran nell’Oceano Pacifico. E proprio il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, sarà ricevuto al Cremlino nelle prossime ore da Vladimir Putin. Sul tavolo progetti di cooperazione dal settore energia a quello della sicurezza. L’Ucraina è soltanto uno dei dossier sul tavolo del grande accordo che Stati uniti e Russia stanno affrontando.

Nato-Russia, chi assedia chi?

Conflitti. Oggi l'Alleanza Atlantica a oriente si sovrappone pericolosamente su una linea ribollente della storia europea: il nodo è dove finisce il confine occidentale della Russia e dove comincia quello orientale dell’Europa. Da qualche secolo qui si combattono l’imperialismo russo e l’espansionismo delle potenze europee con i loro alleati

Reduce insieme agli Stati uniti dal fallimento dell’Afghanistan, la Nato rischia un flop anche ai confini dell’Ucraina. A consigliare alla Nato di chiudere la porta verso Est è un articolo appena pubblicato su Foreign Affairs del professore di storia Michael Kimmage: «Non perché lo chiede Putin ma perché immergersi nel calderone nazionalistico ed etnico dell’Est Europa diventerà un problema per la stessa Alleanza Atlantica». Un’Alleanza che – ricorda Foreign Affairs – è prima di tutto difensiva, non offensiva.

Oggi la Nato a oriente si sovrappone pericolosamente su una linea ribollente della storia europea: il nodo è dove finisce il confine occidentale della Russia e dove comincia quello orientale dell’Europa. Da qualche secolo qui si combattono l’imperialismo russo e l’espansionismo delle potenze europee con i loro alleati.

Contrariamente a quanto affermano qui sui giornali, l’Ucraina è un po’ che ci prova entrare nella Nato e ha presentato domanda per l’adesione nel 2008. I piani furono accantonati in seguito alle elezioni del 2010 in cui il presidente Viktor Janukovich preferì mantenere il paese non allineato.

Con gli oscuri disordini dell’Euromaidan, caratterizzata oltre che da un ruolo dell’estrema destra da una forte connotazione contraria sia alla popolazione russa e russofona ucraina sia anti-russa, Janukovich fuggì dall’Ucraina e il governo ad interim di Kiev inizialmente dichiarò, con riferimento allo status non allineato del paese, che non aveva intenzione di aderire alla Nato. Ma in seguito alle operazioni militari russe e all’annessione della Crimea l’adesione è tornata prioritaria.

Forse qui non si è neppure capito che l’Ucraina si considera già dentro la Nato e l’Unione. Dal 2019, con un voto del Parlamento, l’obiettivo dell’adesione all’Unione europea e alla Nato è entrato nella stessa costituzione di Kiev, in poche parole quello che poteva sembrare soprattutto un traguardo geopolitico è diventato parte della stessa ragione d’esistere della nazione ucraina. È crollata da un pezzo l’idea che nel 2014 aveva Henry Kissinger di un’Ucraina che fosse un «ponte» e «non un avamposto di una parte contro l’altra».

Chi era cosciente della situazione era proprio la ex cancelliera Angela Merkel che infatti trattò gli accordi di Minsk dai quali è uscito evidente il consenso russo sul «non interesse e non ingerenza» nel Donbass la cui soluzione dovrebbe essere quella di una autonomia interna all’Ucraina.

Nessun leader occidentale ha parlato con Putin più di Merkel. I due non si amavano ma si capivano, ognuno parlava la lingua dell’altro, e comprendere il russo o il tedesco serve a intuire come pensa l’interlocutore. Merkel capiva perfettamente che per la Nato entrare in Ucraina significava per il suo interlocutore essere alle porte di Mosca.

In sostanza cosa chiede Mosca? Putin ha chiesto una garanzia agli Usa, ricordando la promessa di James Baker e di Bush padre fatta a Gorbaciov che accettava la riunificazione delle due Germanie in cambio del fatto che l’Alleanza Atlantica non si sarebbe allargata a Est.

Invece alla fine della guerra fredda, sotto la spinta americana e la scioglimento dell’Urss nel dicembre 1991, l’Alleanza si è allargata a una dozzina di Paesi (prima del Patto di Varsavia) e oggi è una coalizione di 30 stati, dal Nord America all’Europa occidentale, dai Paesi baltici alla Turchia. A questo bisogna poi aggiungere un corollario non indifferente: Israele, ovvero il maggiore alleato degli Usa, che sta facendo la «sua» Nato con i Patti d’Abramo stretti con i Paesi arabi.

Ora sarebbe interessante rispondere alla domanda: chi assedia chi? Merkel queste cose agli americani le aveva fatte notare. Quando Obama, nel 2014, chiese o volle imporre, che l’Ucraina entrasse nell’Unione europea (una alleanza militare non solo politica), Putin reagì prendendosi la Crimea, mise sotto scacco il presidente americano, e iniziò la guerra civile in Ucraina.

Obama espulse Putin dal G8, nonostante Merkel cercasse di fargli capire che per risolvere una crisi, che fosse la Siria o l’Ucraina, era necessario parlare con l’avversario. Che cosa ha fatto invece la Nato? Nel 2011 ha bombardato la Libia non tanto per salvare i ribelli di Bengasi ma per attuare un cambio di regime.

E dopo l’Iraq nel 2003 questo a Mosca appariva un po’ troppo. Così la Russia ha reagito in Crimea nel 2014 e soprattutto in Siria nel 2015, scendendo in campo a fianco del regime di Bashar Assad: era la prima volta dai tempi dell’Urss che Mosca si trasformava in un attore chiave di un conflitto non regionale o post-sovietico ma globale, al quale prendevano parte tutte le principali potenze mondiale schierate, in un modo o in un altro, contro Damasco. E chi ha vinto, almeno per ora, quella guerra? Mosca e Teheran.

Ora naturalmente della Siria non si parla più, della Libia il meno possibile, perché anche un orbo ha capito che con la presenza di truppe straniere si è avviata una spartizione di fatto in zone di influenza. Mentre l’Afghanistan è stato abbandonato al suo destino con la fuga da Kabul di agosto. Con alle spalle tutti questi “successi” l’Occidente e la Nato devono stare molto attenti.

L’Ucraina si difende meglio con la diplomazia che con le armi. Berlino per lo meno continua a crederci: a Mosca la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, incontrando Lavrov, ha detto ieri che «non c’è alternativa ai buoni rapporti tra la Russia e la Germania», respingendo intanto la richiesta di Kiev di forniture di armi. Merkel approverebbe. E intanto arriva la notizia che le marine militari russa, cinese e iraniana terranno esercitazioni congiunte, secondo quanto ha annunciato la flotta russa del Pacifico, senza precisare le date previste.

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