Dossier Cile

 riceviamo dal GIGA e pubblichiamo alcuni articoli che crediamo pubblicati sulle pagine de Il Manifesto .


Il litio del Cile in mani sbagliate

La febbre dell'oro bianco. Con un piede già fuori dalla Moneda, Piñera serve alle élite l’ultima mega-concessione. Una polpetta avvelenata per il neo presidente Boric e il suo governo. Che vorrebbe nazionalizzare. Insorge la società civile

Il compito di servire gli interessi delle élite Piñera ha voluto assolverlo scrupolosamente fino alla fine del suo sciagurato mandato. Al punto da lanciare a ottobre, quando mancava appena un mese al ballottaggio, una gara d’appalto per la concessione ai privati di licenze relative alla produzione, divisa in cinque quote, di 400mila tonnellate di litio.

E NON SI È FERMATO QUI. Con un piede già fuori dalla Moneda – a soli due mesi dall’insediamento di Gabriel Boric – ha disposto l’assegnazione di due quote di 80mila tonnellate ciascuna, per un periodo di 27 anni, alla società cinese Byd Chile Spa e a quella cilena Operaciones mineras del Norte Sa (di proprietà del gruppo Errázuriz), le quali hanno avuto la meglio sulle due imprese leader nella produzione mondiale di litio: la cilena Sqm (Sociedad Química y Minera de Chile) e la statunitense Albermarle, le quali possono comunque consolarsi con i colossali profitti accumulati in decenni di saccheggio del Salar de Atacama, il lago salino nella regione di Antofagasta considerato la più grande riserva di litio al mondo.

Con la sua decisione, Piñera è passato davvero sopra a tutto: al rifiuto di gran parte della società civile, alle resistenze dei parlamentari dell’opposizione, ai ricorsi in tribunale, all’obbligo di consulta preventiva dei popoli indigeni residenti nell’area, alla discussione in corso nella Convenzione costituzionale e alla richiesta di Gabriel Boric di sospendere la gara d’appalto per lasciare che fosse il nuovo governo a occuparsi della questione.

CON UNA PROPOSTA ben distinta: quella di creare un’impresa statale per l’estrazione e l’industrializzazione del litio, la cui domanda, legata al suo uso nella fabbricazione di batterie per auto elettriche, è destinata secondo le previsioni a crescere del 21% entro il 2030.
Piñera, tuttavia, non ha voluto sentire ragioni, insistendo sulla necessità che il Cile, il quale rappresenta il 32% della produzione globale del cosiddetto oro bianco (contro il 46% dell’Australia), recuperi la sua posizione di leadership: «Eravamo il primo paese nella produzione di litio e oggi non lo siamo più».

Ed è così che ha battuto tutti sul tempo. Proprio mentre i parlamentari dell’opposizione convocavano mercoledì una sessione speciale alla Camera dei deputati nel tentativo di evitare la vendita di parte della riserva di litio a enti privati, il ministro delle Miniere Juan Carlos Jobet annunciava, con due giorni d’anticipo, l’assegnazione delle due quote, corrispondenti all’1,8% delle riserve stimate nel paese, in cambio di 121 milioni di dollari. «Una mancanza di rispetto verso un potere dello Stato», ha commentato il deputato del Partido por la Democracia Raúl Soto, denunciando «una totale mancanza di trasparenza nel processo».

E DI «UNA CATTIVA DECISIONE» ha parlato Boric, annunciandone una revisione e ribadendo l’obiettivo di «creare un’impresa nazionale del litio che operi in accordo con le comunità e contribuisca allo sviluppo produttivo del paese».

Qualcosa, però, non ha funzionato all’interno dell’équipe del presidente eletto, apparsa decisamente remissiva durante le riunioni sostenute con il governo uscente: «Non abbiamo individuato alcun vizio legale. Il prossimo governo dovrà rispettare una decisione adottata nei canali istituzionali», ha dichiarato il collaboratore di Boric Diego Pardow. «Le basi della gara d’appalto, così come sono state redatte, non lasciano margine per una sospensione o un rinvio», ha detto a sua volta il coordinatore del gruppo sull’attività mineraria Willy Kracht. Non esattamente una dichiarazione di guerra.

Ma sul saccheggio del litio il nuovo governo dovrà necessariamente prendere posizione, anche considerando i gravi e irriversibili danni arrecati agli ecosistemi del deserto di Atacama, dove l’estrazione delle acque sotterranee da parte di Albemarle e Sqm (quest’ultima controllata dal genero di Pinochet Ponce Lerou) è stata calcolata in 2mila litri al secondo, con conseguenze devastanti sulle riserve d’acqua utilizzate dalle comunità. In questo quadro – mette in guardia il biologo Domingo Lara -, se non si procede all’espropriazione di «parte delle attuali quote di estrazione» e non si cambia «la relazione con le comunità», lo stesso progetto di Boric di un’impresa statale del litio rischia di limitarsi appena ad «aggiungere un nuovo attore alla depredazione ambientale».

A PRENDERE POSIZIONE, intanto, è la società civile, nel quadro del processo di partecipazione della popolazione ai lavori della Convenzione costituzionale: l’Iniziativa popolare sulla «Nazionalizzazione delle miniere di rame, litio e oro», promossa da un cartello di associazioni, ha già superato le 15mila firme necessarie per venire discussa all’interno della Convenzione e punta a superare le 100mila firme entro il primo febbraio.

Il Cile di Boric è pronto per il «primo governo ecologista» della sua storia

Cambio della Moneda. Il programma del nuovo presidente promette di cambiare il volto del paese, ma la destra difenderà con ogni mezzo il modello Pinochet-Chicago boys

È in corso un grande dibattito, all’interno della sinistra cilena, sulla natura, sulla composizione, sugli obiettivi e sulle reali prospettive del futuro governo di Gabriel Boric.

E anche sullo stesso profilo del presidente eletto, sul quale i giudizi non potrebbero essere più discordi: per alcuni quasi un novello Allende, o almeno l’espressione dello «spirito di ottobre», cioè della rivolta sociale del 2019; per altri l’opportunista rappresentante di una classe politica disposta ad accorrere in soccorso di Piñera pur di salvare lo status quo neoliberista. E in mezzo, naturalmente, tutte le sfumature possibili.

A POCO PIÙ DI DUE MESI dal suo insediamento, che si terrà l’11 marzo, il 63% della popolazione mantiene in ogni caso un’immagine positiva di Boric, il cui programma di governo, se rispettato, potrebbe davvero cambiare il volto del paese. Un programma, almeno nella versione originaria, piuttosto ambizioso, mirando a garantire l’accesso universale alla salute con la creazione di un servizio sanitario nazionale, una riforma tributaria in senso progressivo, l’abbandono del sistema pensionistico privato, educazione pubblica, gratuita e di qualità. Come pure a dar vita, secondo le stesse parole di Boric, al «primo governo ecologista della storia cilena».

Grandi aspettative, in particolare, ha suscitato la promessa di «pensioni dignitose», attraverso il superamento dell’odiatissimo sistema dei fondi pensione (Afp, Administradoras de fondos de pensiones) in direzione di uno pubblico.

IDEATO DA JOSÉ PIÑERA, fratello del presidente uscente, e introdotto durante la dittatura di Pinochet, tale sistema aveva sostituito il modello a ripartizione con quello a capitalizzazione, obbligando ogni lavoratore a contribuire con il 10% del suo salario a un fondo privato gestito dalle Afp, con conseguenze disastrose per la grande maggioranza dei lavoratori senza uno stipendio alto e un impiego stabile. Non per niente la rifondazione totale del sistema pensionistico è stata una delle principali rivendicazioni delle proteste del 2019. Si tratta però di un obiettivo assai complesso, come indica anche la progressiva tendenza di Boric a moderare il suo discorso: in assenza di una maggioranza parlamentare, tutto rischia di tradursi in una riforma poco ambiziosa.

GRANDI SFIDE attendono il futuro governo anche in campo ambientale, a cominciare da quella delle cosiddette «zone di sacrificio» (territori su cui vengono scaricate le attività più inquinanti della produzione capitalista) come Quintero, Huasco e Mejillones e da quella della protezione delle acque e dei ghiacciai, soprattutto a fronte dalla grave siccità che ha colpito quest’anno il Cile, con il peggiore calo di precipitazioni dal 1915 e oltre 180 municipi costretti a convivere con il razionamento di erogazione dell’acqua. Un tema, quest’ultimo, che investe due aree chiave per l’establishment: il settore agroesportatore, principale consumatore di acqua del paese, e quello minerario.

MA IL PROSSIMO GOVERNO dovrà pronunciarsi anche su altre controverse questioni, da quella dell’espansione, anche all’interno di aree protette, della contaminante industria salmoniera a quella dello sfruttamento del litio, a fronte dell’apertura da parte del governo Piñera di un bando di gara per la concessione di licenze relative allo sfruttamento e alla produzione di 400mila tonnellate del prezioso minerale.

Per finire con il contestatissimo progetto minerario Dominga, diventato ancor più emblematico dopo le rivelazioni dei Pandora Papers riguardo alla milionaria compravendita della compagnia mineraria tra Piñera e il suo amico Carlos Délano nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche, oltretutto condizionata all’impegno del governo Piñera a non dichiarare come riserva naturale l’area interessata dal progetto: quella del comune de La Higuera, nella regione di Coquimbo, dove si trova l’arcipelago che deve il suo nome ai rari pinguini di Humboldt.

Ma che si tratti delle pensioni, della sanità, dell’educazione, della questione ambientale o della smilitarizzazione del Wallmapu, la terra mapuche, le intenzioni del presidente, anche nel caso fossero le più avanzate, da sole non basteranno.

NON A CASO SONO IN CORSO, da parte dell’équipe del nuovo presidente, frenetiche trattative per assicurare al nuovo governo una minima base di appoggio che gli consenta di portare avanti il suo programma.

Di fronte alla prevedibile guerra che la destra scatenerà a difesa del modello imposto da Pinochet e dai suoi Chicago boys e alla prospettiva di estenuanti trattative con forze politiche di centro, ciò che allora definirà, come evidenzia Atilio A. Boron, «il margine di manovra e il destino del governo sarà la presenza cosciente e organizzata delle masse nelle strade e nelle piazze del Cile».

Trionfo degli indipendenti, María Elisa Quinteros eletta presidente

Cile. Costituente parte seconda: la sfida sarà coinvolgere i cittadini

Per la Convenzione costituzionale cilena è iniziato il secondo tempo. E a segnare l’avvio è stata la tormentata elezione della nuova giunta direttiva, chiamata a sostituire dopo sei mesi, come previsto dal Regolamento, quella guidata dalla mapuche Elisa Loncon e dal suo vice Jaime Bassa.

Dopo quasi 20 ore di estenuanti negoziati e colpi di scena, a spuntarla è stata infine, alla nona votazione, un’altra donna: la 39enne indipendente María Elisa Quinteros, esponente dell’Assemblea Popolare per la Dignità (composta da organizzazioni sociali e territoriali della regione del Maule), eletta con i voti degli indipendenti, dei rappresentanti dei popoli originari, del Partito comunista e del Frente Amplio.

DENTISTA E DOCENTE del Dipartimento di salute pubblica dell’Università di Talca, si è imposta, con la maggioranza semplice dei voti (78), su una schiera di nomi apparsi e poi scomparsi nel susseguirsi delle votazioni, come quelli di Ramona Reyes, del Partito socialista, dell’indigeno diaguita Eric Chinga e di un’altra indipendente, Cristina Dorador, fermatasi a 72 voti.

«Sono felice di contribuire alla costruzione di una società che sia più pluralista, in cui sia possibile rispettare le differenze e incontrarsi nel dialogo», ha dichiarato la nuova presidente della Convenzione, a cui Gabriel Boric ha subito garantito «l’appoggio entusiasta» del suo governo.
Un appoggio che è invece completamente mancato sotto la presidenza Loncon, la quale, nel suo ultimo discorso, non ha mancato di rilevarlo: «Purtroppo abbiamo avuto a che fare con la meschinità del potere costituito. Malgrado il mandato costituzionale, il governo uscente è stato un ostacolo».

A completare il trionfo degli indipendenti è stata poi l’elezione come vicepresidente, già alla prima votazione, del medico gay 32enne Gaspar Domínguez, rappresentante degli Indipendenti non neutrali (di centro-sinistra) e uno dei fondatori della Rete dissidente costituente, nata per dare visibilità al tema della diversità sessuale.
E sarà proprio la nuova giunta in mano agli indipendenti ad affrontare la decisiva sfida di promuovere una più efficace partecipazione della cittadinanza, a cui il Regolamento generale riconosce il diritto di presentare le proprie proposte – chiamate “Iniziative popolari di norma” – alla Convenzione, perché siano votate al pari di quelle avanzate dai costituenti.

MA SE LE INIZIATIVE registrate sul portale di Partecipazione popolare della Convenzione sono già oltre 600 – tra cui quella per la rinazionalizzazione delle miniere di rame, oro, argento e litio e quella che raccoglie le rivendicazioni storiche dei movimenti in difesa dell’acqua e dei ghiacciai e per il riconoscimento dei diritti della natura -, la possibilità che vengano incorporate nella futura Costituzione è tutt’altro che scontata: solo le proposte che otterranno, entro l’1 febbraio, 15mila firme provenienti da almeno quattro regioni saranno votate da una delle sette commissioni tematiche. E solo se riceveranno la maggioranza semplice dei voti nella commissione corrispondente potranno passare alla plenaria, che dovrà approvarle con la contestatissima maggioranza dei due terzi.

Ad oggi, a raggiungere le 15mila firme necessarie è stata solo l’iniziativa “Sarà legge”, mirata a garantire i diritti sessuali e riproduttivi di ogni persona, compreso il diritto all’aborto, in base ai principi di autonomia, libertà e dignità. Presentata il 24 dicembre dall’Assemblea permanente per la legalizzazione dell’aborto, ha impiegato solo 5 giorni a raccogliere le firme richieste, provenienti da ben 16 regioni del paese.



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