Materialismo Storico, di Fabio Minazzi
Materialismo Storico, n° 2/2021 (vol. XI) - E-ISSN 2531-9582 399
Fabio Minazzi, Epistemologia storico-evolutiva e neo-realismo logico, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2021, pp. 571, Isbn 9788822267504
Un libro summa questo di Fabio Minazzi. Sono più di 500 pagine di un serrato dialogo con se stesso, il mondo della filosofia e della scienza, i protagonisti di quel mondo. Una raccolta di una ventina di saggi prodotti nel tempo, negli ultimi dieci/quindici anni circa. Ma il lavoro che qui viene presentato è figlio di un’attività che ha impegnato Minazzi sin dall’età liceale e dalla stesura della tesi di laurea, un preciso lavoro su Giulio Preti, un intellettuale che continua ad essere una colonna di riferimento del suo continuo arrovellarsi attorno a temi teoretici.
Prendiamo di questa ultima fatica il primo intervento e l’ultimo. Il primo scritto, del 2017, intende essere l’apertura di una discussione che verte non a caso sul problema della verità sotto la forma dell’oggettività scientifica. Il significato di questo legame, verità/oggettività, non è cosa da potere essere bellamente messa a posto senza una continua riconsiderazione e ridefinizione delle diverse proposte teoriche che l’Autore ha incontrato nel suo percorso di studi.
L’obiettivo è quello di giungere a una definizione soddisfacente del dualismo, che sia sempre pronta però a nuove precisazioni che dovrebbero portare sempre più vicine ad un concetto di verità che regga, che debba reggere alla prova dei fatti e dei percorsi teorici presi in esame. Le tre definizioni di quella relazione, nel primo intervento, fanno riferimento, naturalmente, a mondi teorici differenti ma anche in qualche modo intrecciati. Oggettivo come: a) ciò che esiste in quanto oggetto; b) in quanto possiede un oggetto cui riferirsi; c) come qualcosa che sia tale perché valido per un pubblico, estensivamente per tutti. Ma lasciamo le correnti del pensiero che si srotola in numerosi rivoli e cerchiamo di riferirci agli autori che Minazzi mette al centro della riflessione: Galileo, Spinoza, Cartesio, Preti, Geymonat, Dal Pra, Evandro Agazzi.
Arriviamo alla definizione che sembra uscire da questo continuo dialogo: l’oggettività/verità ha sempre attinenza con il momento storico nel quale l’uomo vive. Si tratta perciò di contestualizzarne l’essenza e di usarla per mettere a frutto percorsi di studio e intervento sulle cose del mondo, le quali debbono disporsi nel modo in cui noi ce le immaginiamo. Un percorso libero da restrizioni ma calato, inzuppato, nella storia di quel momento sociale. Qui invero sorgono anche altre questioni che in questo primo intervento non compaiono appieno. E questo a me interessa.
La verità/oggettività sta sempre all’interno di una lotta per il potere che naturalmente indirizza la ricerca teorica e scientifica. Una lotta per il potere che toglie alla ricerca della pura verità la sua altezza, il suo sublime, e la fa ridiscender tra gli umani, pieni di incrostazioni e di difetti. Che li fa agitare, diversamente, in relazione al momento della storia che li vede partecipi, sempre però per quell’unico motivo di fondo: il potere sociale.
E se vogliamo aggiungere una sollecitazione marxiana, il potere dell’uomo sull’uomo, che evidentemente ha a che fare attualmente, da qualche secolo con il capitalismo economico. Quindi, all’uscita del percorso teoretico l’uomo si trova sempre a che fare con il momento del potere che viene dibattuto, strattonato, per motivazioni assolutamente storico-sociali. Qui la fa da padrone il momento storico puro, momento storico nel quale le decisioni degli uomini politici indirizzano la ricerca della verità e la sua strutturazione, per il tempo a venire. Finché altri uomini, altre lotte la sposteranno verso altri versanti. Una sponda politica è necessaria al lavoro teorico, perché al contrario quello resterebbe ancorato ad un livello etico interno Materialismo Storico, n° 2/2021 (vol. XI) - E-ISSN 2531-9582 400a campi definiti da limiti che ogni filosofo e/o scienziato potrebbe darsi da sé, per seguire le proprie inclinazioni teoretiche. Ma, attenzione, anche qui rientrerebbe in campo l’aspetto del potere: scienziati e/o filosofi più forti, in senso disciplinare, potrebbero indirizzare la ricerca a loro vantaggio. Non per niente l’intervento finale riprende in mano un discorso analitico sulla Scuola di Milano, fondata da Antonio Banfi. Qui siamo ad un esito “comunista” della ricerca. Un comunismo vissuto in modo limpido, sebbene abbia dovuto pagare i suoi oboli alla retorica e dogmatica della norma vincente in quel momento, il Dopoguerra degli anni Quaranta del Novecento. Infatti, nel testo viene ricordato come Banfi, esponente anche in Parlamento del Pci, poco amasse Togliatti, il decisore e organizzatore della cultura marxista in Italia in quegli anni. Che ha mantenuto un potere sul partito, nel Partito comunista italiano, non osteggiato veramente da alcuno, e che è apostrofato da Banfi come Canopo. Questo è il nome dell’anfora funeraria egizia, dove venivano messe le viscere del morto. Notoriamente queste hanno un odore pesante e marcio, così come, per Banfi, era l’azione politica di Togliatti. Minazzi ricorda: «Si tenga conto che allora il PCI era dominato da una cultura decisamente stalinista che non tollerava dissensi alla linea ufficiale del partito»(p. 511). Qui, come si vede, appare anche la figura di Stalin. Ma su questo vorrei chiudere, arrivandoci. È un problema, se si pensa alla storicizzazione della ricerca del rapporto oggettività/verità, non prendere in considerazione il momento politico definito dal leader o dai leader che indirizzano quel momento storico.
La storia non la fanno i popoli, da soli, così come alcuni credevano decenni fa – famosa è una scenetta comica di Dario Fo che prendeva in giro Amintore Fanfani, folgorato da una scritta sul muro dell’Università Statale di Milano che inneggiava, appunto, alla lotta dei popoli come agenti della storia –; la storia la fanno i leader, gli uomini forti, logicamente attorniati, ubbiditi e supportati, seguiti, da comprimari, senza i quali nulla potrebbero fare, con l’ausilio, il sostegno dei popoli, naturalmente. Ma proprio in questo 2021, nel quale vengono ricordati i duecento anni dalla morte di Napoleone Bonaparte con discussioni interminabili sul suo valore, è chiaro che i grandi uomini, come diceva del resto Hegel, portano su di sé la pesantezza del mondo. Torno a dire, non da soli, né solitariamente, ma rappresentando un punto di equilibrio tra diverse tensioni.
Le indirizzano verso orizzonti che a loro sono cari, che cerano di raggiungere. Le controllano, o cercano di farlo. Ogni uomo forte ha avuto questo compito e perciò anche Stalin lo ha avuto. Ne salviamo, in base ad un percorso etico, teorico solo una parte? Poco, pochissimo? Ma questo in fondo serve a niente. È il ruolo storico che serve, che deve essere riconosciuto, così come per Napoleone. Ed è a questo punto che la ricerca della verità/oggettività si arresta per prendere atto dell’insopprimibilità della realtà umana, politica e di potere. E fare i conti con essa.
Tiziano Tussi
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