Necropolitica e Oxfam: crisi e disuguaglianze

 

Necropolitica

“Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico.
Egli non ascolta, non parla né partecipa agli avvenimenti politici.
Non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’ affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche”

Bertolt Brecht

Ogni 4 secondi muore una persona, 21.300 ogni giorno, oltre 84 milioni ogni anno.
Muoiono per mancanza d’accesso ai servizi sanitari, violenza di genere (femminicidi e morti in seguito a mutilazioni sessuali), fame e crisi climatica.
I 4 cavalieri dell’apocalisse hanno un cognome comune: disuguaglianze.

Un anno fa, i mezzibusti ripetevano: “Siamo tutti sulla stessa barca”.Ignoravano che alcuni remavano mentre altri prendevano la tintarella, ma non avevano tutti i torti: per il 99% dei sapiens i soldi sono diminuiti ed i poveri in canna sono aumentati di 160 milioni.

Dimenticavano l’altro 1%. E’ comprensibile: loro li pagano e/o gli sottopongono ad insopportabili pressioni.

Dimenticavano i superricchi, 10 dei quali che hanno duplicato le loro fortune in due anni.
Si suppone che conoscano i loro nomi perché ne cantano spesso le lodi: Elon Musk, Jeff Bezos, Bernard Arnault, Bill Gates, Larry Ellison, Larry Page, Sergey Brin, Mark Zuckerberg, Steve Ballmer e Warren Buffett.
Alla fine del 2021 i 10 accumulavano sei volte la ricchezza di 3,1 miliardi di poveri cristi.

Il problema non è il denaro.
Per la pandemia, fino al dicembre 2021 i governi avevano speso 16mila miliardi di dollari .
Ai ricchi va bene così.
Ammesso che lo vogliano, agli altri manca la volontà e l’immaginazione per liberarci dall’asfissiante e letale camicia di forza del neoliberismo estremo.

Anche ai draghiani, macroniani, ursulani, johnsoniani .., va benissimo così.
Ma non è solo loro responsabilità: dal 1995 l’1% più ricco accaparra 20 volte la ricchezza che finisce al 50% più povero.
La pandemia ha solo accelerato l’andazzo.

Senza scomodare rivoluzioni improbabili, una tassa del 99% sui guadagni straordinari ottenuti dai 10 Paperoni negli ultimi 2 anni grazie alla pandemia, basterebbe per produrre i vaccini necessari per vaccinare tutta la popolazione mondiale.
Gli spiriti caritatevoli potrebbero temere le terribili condizioni a cui i 10 sarebbero sottoposti.
Niente paura: avrebbero sempre 8 miliardi di dollari in più di quelli che avevano alla fine del 2019.

Nel solo 2020 le donne hanno perso 800 miliardi di dollari dei loro redditi e 13 milioni sono state espulse dal mercato del lavoro.
Molte sono diventate badanti non stipendiate.
La chiusura stimata del “gap di genere”, 99 anni fino al dicembre 2019, è salita a 135 anni.
Ovvero, nessuna donna attualmente in vita conoscerà una società paritaria.

Le statistiche non considerano le conseguenze del razzismo, della schiavitù e del colonialismo.
Non considerano, ad esempio, che nel Brasile, le persone di pelle scura hanno 1,5 volte più probabilità di morire da covid-19 della popolazione bianca. O che in Inghilterra le persone originarie del Bangladesh sono morte 5 volte di più della popolazione bianca durante la seconda ondata della pandemia.

L’apartheid vaccinale passa il conto in termini di vite umane.
Perciò la priorità è la lotta alla pandemia ma, perché sia credibile, i governi devono mettere fine al monopolio dei vaccini. Debbono diventare un bene pubblico.


Finché ciò non avverrà, la pandemia continuerà, milioni di persone perderanno inutilmente la vita e le disuguaglianze continueranno ad aumentare.
Delta ed omicron dimostrano che l’apartheid non arresta il virus.

“Perché nasca una prateria, bastano un trifoglio, un’ape e un sogno. E se non ci sono le api e il trifoglio, può bastare anche il sogno”, scrisse nell’800 la poetessa statunitense Emily Dickinson.
Lei parlava della felicità, a me pare anche una buona definizione di ciò che una volta si intendeva per sinistra.


Certo: bisognerebbe prima recuperare la volontà e l’immaginazione.


NUOVO RAPPORTO OXFAM: LA PANDEMIA DELLA DISUGUAGLIANZA:

HTTPS://WWW.OXFAMITALIA.ORG/LA-PANDEMIA-DELLA-DISUGUAGLIANZA/


Covid, per i capitalisti la pandemia è una corsa all’oro

Il caso. Secondo l’ong Oxfam nei primi 21 mesi della pandemia i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i patrimoni da 700 a 1.500 miliardi di dollari. Ogni secondo hanno guadagnato 15 mila dollari, 1,3 miliardi di dollari ogni giorno. Nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa della pandemia. In Italia i 40 miliardari più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% dei più poveri: 18 milioni di persone adulte. Un milione di individui e 400 mila famiglie sono sprofondati nella povertà. E il mercato del lavoro resta profondamente disuguale e genera, in modo strutturale, povertà. Ogni 4 secondi una persona muore perchè mancano le cure e i vaccini anti-Covid. In occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos ecco il volto del coronacapitalismo: la secessione dei ricchi

Alla fine del primo anno pandemico, il 2020, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre due terzi della ricchezza nazionale mentre il 60% più povero appena il 14,3%. In quella platea già ristretta spuntava un’avanguardia di capitalisti che possedeva oltre sei volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. C’era poi un’élite delle élite, il 5%, la cui ricchezza era pari a quanto posseduto dall’80% della fascia più povera della popolazione.

SONO alcuni dei dati contenuti nel rapporto «La pandemia della disuguaglianza», pubblicato da Oxfram, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, che quest’anno si terranno in forma virtuale. Un’occhiata alla lista Forbes è essere sufficiente per comprendere la natura classista delle politiche economiche e finanziarie varate nel corso dei 21 mesi appena trascorsi della pandemia del Covid. Tra marzo 2020 e novembre 2021 i miliardari nostrani sono aumentati da 36 a 49. A livello globale i 10 uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato, in termini reali, i loro patrimoni guadagnando 15 mila dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Solo Jeff Bezos, imperatore che regna nel mondo Amazon, ha ottenuto un surplus patrimoniale di +81,5 miliardi di dollari. Questi soldi basterebbero da soli per pagare la vaccinazione completa contro il Covid (due dosi e la terza «booster») all’intera popolazione mondiale. Bezos non perderebbe nulla del suo potere. In compenso potrebbe contribuire a finanziare anche la logistica mondiale, mettendo a disposizione la potenza della sua impresa (aerei compresi) per aiutare i paesi meno attrezzati a vaccinare la propria popolazione. Il problema riguarda anche il capitalismo farmaceutico. Pfizer, BioNTech e Moderna hanno realizzato utili miliardari, ma meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei Paesi a basso reddito, dove è stata vaccinata appena il 4,81% della popolazione. E pensare che per spendere le proprie fortune al ritmo di 1 milione di dollari al giorno ciascuno, Bezos e gli altri ultra-miliardari necessiterebbero di 414 anni. 414 anni di pena per tutto il resto del mondo. . Non sarebbe un esproprio. Sarebbe giustizia.

«LE BANCHE centrali hanno pompato miliardi di dollari nei mercati finanziari per salvare l’economia, ma gran parte di queste risorse sono finite nelle tasche dei miliardari che cavalcano il boom del mercato azionario – sostiene Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International – I settori come quelli farmaceutici hanno beneficiato della crisi con conseguenze avverse per troppi ed è succube alla logica del profitto e restio alla sospensione temporanea dei brevetti e alla condivisione di know-how e tecnologie necessarie per aumentare la produzione di vaccini Covid e salvare vite anche nei contesti più vulnerabili del pianeta».

LE DONNE, insieme ai lavoratori giovani e stranieri, sono tra le più colpite dalla crisi. La quota di «working poor» (lavoratori con retribuzione annuale inferiore a 10.837 euro e mensile inferiore a 972 euro nel 2017) è aumentata dal 26% del 1990 al 32,4% nel 2017. Ciò che ha contribuito all’aumento della povertà lavorativa è stato il precariato, il part-time in prevalenza involontario la cui incidenza è quasi triplicata in questi anni.

OXFAM ha inoltre individuato la ragione di fondo che mina le politiche di bonus e incentivi con i quali i governi hanno illuso, facendo addirittura parlare di un fantomatico «ritorno dello Stato». I massicci trasferimenti hanno solo attenuato le disuguaglianze retributive e reddituali, ma le prospettive a breve restano incerte, data la temporaneità degli interventi e i rischi, tutt’altro che scongiurati, di un ritorno allo status quo pre-pandemico. Il desiderio di tornare al mondo di prima è stato coltivato anche dal governo Draghi è che il virus sia l’eccezione. E che il business as usual la regola. Gli effetti di questa decisione politica sono quelli indicati anche da Oxfam. E questo è solo il primo tempo della crisi.


Maslennikov (Oxfam): «Con il governo Draghi sono difficili da adottare misure di giustizia sociale»

Intervista. Parla Mikhail Maslennikov, policy advisor e autore dell’analisi sulle diseguaglianze in Italia contenuta nel rapporto di Oxfam "La pandemia della disuguaglianza": "Dal fisco al reddito di cittadinanza le scelte dell’esecutivo sono state fortemente discutibili. E serve chiudere, una volta per tutte, con la stagione del precariato"

Mikhail Maslennikov, policy advisor e autore dell’analisi sulle diseguaglianze in Italia contenuta nel rapporto di Oxfam, 40 miliardari italiani posseggono l’equivalente della ricchezza netta del 30% dei più poveri. Che cosa ha fatto il governo Draghi per invertire questa tendenza?
Il governo Draghi è supportato da una maggioranza politica estremamente eterogenea. Avanzamenti robusti sul fronte della promozione di misure di giustizia sociale sono in questo scenario molto difficili. Il giudizio complessivo su alcune misure di recente approvazione è in forte chiaro-scuro. Al netto di alcune criticità è, ad esempio, positivo l’intervento, ispirato all’universalismo selettivo, di supporto alle famiglie con figli, l’assegno unico. Sulla riforma fiscale invece le scelte dell’esecutivo, vincolate alle pulsioni divergenti dei partiti della maggioranza sono fortemente discutibili.

La rimodulazione dell’Iperf è stata contestata da Cgil e Uil con uno sciopero generale perché premia i redditi medio-alti. Cosa non funziona in questa impostazione?
Di recente si è discusso molto dei maggiori risparmi d’imposta per i redditi medio-alti derivanti dalla revisione dell’Irpef nella legge di bilancio, ma questa impostazione era stata definita già a giugno scorso, anche in logica «compensativa», visti gli interventi pregressi che avevano beneficiato i redditi inferiori ai 30 mila euro. Semmai andrebbe sottolineato quanto l’intervento sull’Irpef non abbia portato benefici al 20% dei percettori di redditi bassi, fascia della popolazione in cui si concentrano i working poor. Ci sono poi problemi a monte più sostanziosi…

Quali?
La riforma fiscale si è disinteressata a un riordino complessivo dei carichi impositivi e ha sacrificato completamente l’obiettivo dell’equità orizzontale. Puntando al completamento di un sistema duale con i redditi da lavoro assoggettati a uno schema di tassazione progressiva e quelli da capitale tassati in modo flat, i contribuenti in condizioni simili o uguali continueranno a subire trattamenti fiscali differenziati. Aggiungiamo anche, tra le criticità, le bieche prospettive di una riforma del catasto che possa eliminare le note sperequazioni tra rendite catastali e valori di mercato degli immobili, la strenua difesa di una parte della maggioranza dell’iper-generoso regime forfettario per gli autonomi, il tabù della revisione dell’imposta di successione.

Anche i dati nel vostro rapporto dimostrano che la ripresa dell’occupazione dopo i lockdown del 2020 non è trainata dal lavoro stabile, ma dal precariato e aumenta il lavoro povero. Cosa servirebbe per invertire la tendenza?
Serve prendere atto che le disuguaglianze sul mercato del lavoro hanno cause profonde. Bisogna chiudere una volta per tutte la stagione della deregulation contrattuale e il ricorso a contratti atipici lesivi della dignità di chi lavora. A beneficiarne sono le imprese che nel contesto italiano seguono da anni strategie competitive basate sulla compressione dei costi del lavoro. I fondi del Pnrr dovrebbero essere condizionati all’aumento dell’occupazione di qualità. Servono politiche industriali serie che invertano il processo di deindustrializzazione che ha visto crescere negli ultimi decenni settori a basso valore aggiunto e bassi salari.

Nella pandemia oltre 1 milione di persone sono sprofondati nella povertà. Cosa ne pensa degli interventi sul cosiddetto «reddito di cittadinanza» varati dal governo?
Il giudizio è negativo. Se un istituto del genere prevede un comitato di valutazione che ha presentato raccomandazioni oculate per riformarlo il governo avrebbe dovuto come minimo discuterle. In compenso ha peggiorato la misura esistente imponendo il décalage dell’assegno dopo sei mesi, ha continuato a escludere gli stranieri extraeuropei non di lungo soggiorno e a penalizzare negli importi le famiglie numerose e con minorenni. E in più si rischia di trasformare il «reddito» in una trappola della povertà: se un beneficiario inizia a lavorare per ogni euro che guadagna perde 80 centesimi di sussidio. Problema enfatizzato pubblicamente dallo stesso Draghi ma su cui si è scelto di non intervenire.

È stata varata anche una riforma degli ammortizzatori sociali. È adeguata?
Il ministro del lavoro Orlando ha avuto poche risorse: servivano 10 miliardi per le misure proposte dalla Commissione Catalfo, ne ha ottenuti un terzo. La platea dei beneficiari delle integrazioni salariali è decisamente cresciuta e la vocazione universalistica del riordino degli ammortizzatori è benvenuto. Poteva essere un intervento più generoso. La coperta resta comunque corta per i lavoratori autonomi, oggi poco tutelati. Sarebbe inoltre preferibile ridurre, in modo selettivo, i requisiti contributivi per gli ammortizzatori in mancanza di rapporto, soprattutto per i lavoratori più giovani con carriere professionali frammentate.









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