Pedagogia della resistenza
Intervista a Laura
Tussi di G. Capone
Solidarietà e cultura della Terrestrità
"In collaborazione con Fabrizio Cracolici, che è
Presidente ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) sezione “Emilio
Bacio Capuzzo” di Nova Milanese, trattiamo spesso di Pedagogia della
Resistenza, di formazione e educazione"
Lei non è una storica, è una pedagogista: qual è la
premessa metodologica con cui affronta i temi della memoria, della pace e del
razzismo? Cosa s’intende per “Pedagogia della Resistenza”?
In collaborazione con Fabrizio Cracolici, già Presidente ANPI (Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia) sezione “Emilio Bacio Capuzzo” di Nova Milanese,
trattiamo spesso di Pedagogia della Resistenza, di formazione e educazione. In
questo ambito, nei miei libri, propongo un percorso di accompagnamento alla
formazione e allo sviluppo della conoscenza dei diritti civili e dei diritti
inalienabili della persona. Insomma, un percorso di sviluppo della democrazia,
della cittadinanza attiva, della partecipazione. Quello che presentiamo anche
nelle scuole come un percorso globale di sviluppo educativo si scontra però,
spesso, con gli ambienti esterni alla scuola e con la famiglia, che sono
portatori di valori diversi, a volte opposti e contrastanti. Questi sono
quesiti molto aperti che ci poniamo sempre. Il ministro Luigi Berlinguer aveva
tentato di introdurre lo studio della storia contemporanea, quindi la didattica
della storia e della Shoah, nell’ultimo segmento di ogni ordine di scuola. E
aveva tentato di introdurre metodologie per leggere e comprendere il presente.
Successivamente, però, con i ministri Moratti e Gelmini, l’istituzione
scolastica è stata depauperata proprio di questa sua missione formativa e
soprattutto informativa, piuttosto che rimanere invece nell’attualità del
presente. Per educare all’antifascismo, all’antirazzismo e alla nonviolenza,
secondo il monito di Stéphane Hessel occorre ripartire proprio dall’istituzione
scuola. Noi non troviamo altra soluzione, perché la scuola, ancora prima della
famiglia, rispecchia il pluralismo e la diversità impliciti nella società.
Pluralismo e diversità che si vengono a manifestare nel processo educativo: nel
percorso didattico si scoprono le caratterialità, le criticità, le implicite
diversità, le esigenze del singolo studente che mutua e assimila varie istanze
e diverse forme di contenuto dal nucleo famigliare di origine. La scuola, tra
l’altro, in un passato che non dobbiamo dimenticare e archiviare, ha subito la
discriminazione e l’intolleranza: basti pensare alle leggi razziali
nazifasciste del 1938. E la scuola, pur con diversa entità ed intensità,
continua ancora a discriminare e a prendere provvedimenti contro i più deboli.
Anche il finanziamento pubblico alle scuole private è una forma di discriminazione.
La riduzione degli insegnanti di sostegno ai bambini diversamente abili, la
negazione della mensa ai meno abbienti sono forme di discriminazione. I quesiti
sono sempre aperti perché auspichiamo una scuola che si apra sempre più alle
differenze, agli altri, e non solo da parte degli studenti, ma anche da parte
degli insegnanti. Anche il mondo adulto viene messo in discussione nell’ambito
e nell’ambiente scuola. Noi veniamo sempre più messi in discussione nei nostri
affetti, assetti, nelle nostre convinzioni, nei nostri dogmi e paradigmi
caratteriali, a contatto con il mondo infantile. Quindi una scuola più aperta.
Una scuola che si apra alle implicite esigenze di ciascuno, ai caratteri di cui
ognuno è portatore, alle difficoltà implicite che ciascuno presenta. È
necessario costruire una scuola senza discriminazione, dove l’altro sia
considerato depositario di un’autentica ricchezza da risocializzare e
ripartecipare, una ricchezza da condividere nella convivenza del quotidiano
secondo un impegno di responsabilità e di indignazione contro tutte le
discriminazioni, contro l’intolleranza, il non rispetto e la violazione dei
diritti umani. Una nuova ricchezza sociale partecipativa che vada a
incrementare un discorso di civiltà a misura di persona, per una comunità, per
un assetto sociale e civile aperto alle differenze, alle divergenze, anche al
conflitto, come sostiene il nostro amico Daniele Novara, direttore del centro
psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza. Infatti,
il conflitto è implicito nell’educazione. Noi parliamo di nonviolenza, ma con
questo concetto non intendiamo un’idea di passività, di rassegnazione, di
debolezza, di lassismo, di incoerenza, di menefreghismo; intendiamo
nonviolenza, in senso stretto, come cooperazione, interdipendenza,
interconnessione su quelli che sono i diritti umani, quindi cooperazione di
tutti i popoli secondo lo slogan proletari e pacifisti di tutto il mondo
unitevi. Quindi cooperazione, solidarietà e interdipendenza, come sosteneva una
grande pedagogista, Maria Montessori, che fu perseguitata dal fascismo. Mentre
in tutt’Italia, in Europa e nel mondo divampava la violenza del secondo
conflitto mondiale, Maria Montessori portava nei suoi convegni messaggi di
speranza e di pace per l’intera umanità, a partire dall’infanzia. Inizialmente
fu vezzeggiata dal fascismo, perché Mussolini voleva strumentalizzare le sue
scuole, ma l’impostazione di pensiero di Maria Montessori contrastava
nettamente con l’ideologia fascista e l’indottrinamento del regime; basti
pensare ai principi di istruzione su cui si fondavano i dettami fascisti per
indottrinare la Gioventù Balilla, basati sull’individualismo, sulla
competitività ad oltranza, sul disprezzo, sull’aggressività nei confronti
dell’altro. Disvalori fascisti che, anche secondo Hessel, sono attualmente
veicolati dai mezzi di comunicazione di massa: come la cultura dell’oblio, il
consumismo sempre più esasperato, estetizzante e individualistico, la
competizione di tutti contro tutti; in sostanza il pensiero unico, capitalista
e neoliberista. Tornando al concetto di nonviolenza, Maria Montessori ne era
promotrice, e il suo celebre motto L’educazione come arma della
pace è un importante ossimoro per sostenere che tutto si gioca a partire
dall’educazione, a partire dalla scuola, per creare contesti di socialità e di
solidarietà, per andare oltre le dittature, i totalitarismi, gli sciovinismi, i
nazionalismi, proprio per costruire ambienti di pace nel quotidiano. Secondo
Montessori, il bambino è portatore di pace già nel suo contesto quotidiano, a
livello microsociale, per arrivare a un livello di costruzione della pace
universale e globale.
Il libro “Il Dialogo per la pace” ricorda il motto di Vittorio Arrigoni
“Restiamo Umani”, nel continuare a credere convintamente in un mondo senza
bandiere, barriere, limiti, confini. La “coscienza planetaria” può essere
costruita e con quali mezzi?
Il mondo vive continui e nuovi processi storici che stanno trasformando il
nostro macrosistema. Le donne e gli uomini sono connessi e interdipendenti e
rafforzano in tal modo una “coscienza planetaria” che unisce i figli della
Madre Terra in un’unica comunità di origine e di destino, in quanto
appartenenti al genere umano e abitanti globali, nell’opportunità condivisa di
creare nuovi spazi e ricche forme di incentivazione al pensiero riflessivo, al
dibattito democratico e partecipativo, con la formulazione di proposte
alternative, nello scambio di esperienze e nell’azione congiunta. Negli ultimi
anni è aumentata la consapevolezza che l’attuale modello di sviluppo risulta
insostenibile perché l’umanità vive al di sopra delle proprie possibilità: le
capacità del pianeta e dell’ecosistema non sono più in grado di fornirci il
necessario. Il modello di sviluppo dei paesi ricchi del nord impone il
radicamento dell’impoverimento e della dipendenza dei paesi del sud, perché la
ripartizione del benessere, delle risorse, del potere è esponenzialmente
disuguale. Le povertà e l’emarginazione sociale incidono anche sulle economie
in transizione e sui paesi industrializzati e non sono esclusivamente fattori
appartenenti ai tanti sud del mondo. Nel mondo attuale tutto viene
globalizzato, in particolare la comunicazione e il mercato, con gravi rischi
per la politica partecipativa, le economie e le culture locali. Il modello di
sviluppo della globalizzazione, ingiusto e insostenibile, favorisce il processo
della concentrazione del capitale e delle ricchezze nelle mani di pochi,
piegandosi alle logiche di mercato, obbedendo ai dettami del neoliberismo, che
sono basati sull’individualismo solipsistico, sulla precarietà a oltranza,
sulla competitività esacerbata, generando un aumento smisurato delle povertà,
dell’esclusione, dell’emarginazione sociale e l’incremento sempre più massiccio
delle migrazioni forzate. Tuttavia siamo coscienti che non esiste una lettura
univoca della globalizzazione. È necessario discernere tra una pluralità di
punti di vista, alcuni dei quali evidenziano anche le enormi potenzialità dei
processi globali in chiave di partecipazione, azione comune, solidarietà. La
comparsa di tecnologie dell’informazione e della comunicazione può incrementare
l’esclusione sociale. I massmedia e i nuovi media sono sempre più cruciali e
costituiscono una delle più importanti chiavi di accesso al dibattito pubblico
nella moderna agorà globale. Dunque occorre interrogarsi sulle regole che
governano il sistema mondiale della comunicazione e promuovere forme di
informazione più accessibili, democratiche e plurali, che necessitano di
cittadine e cittadini non solo competenti, ma anche critici, responsabili,
riflessivi. Contro l’idea dell’assimilazione, fortemente perseguita da alcuni
settori sociali e politici, è necessario costruire regole di un’etica pubblica,
un ethos civile condiviso, partendo dal dialogo tra culture, in una società al
contempo plurale e coesa, rispettando le necessità e le identità di genti,
popoli e minoranze. Le società ‘glocali’ sono sempre più plurali e eterogenee e
coabitate da diverse identità, culture e religioni. Le diversità culturali sono
una ricchezza e costituiscono contemporaneamente sfide educative, sociali,
politiche, rispetto al modello di inte(g)razione e coesione sociale in
prospettive interculturali. Il tessuto ecologico si sta lacerando per la
perdita di biodiversità, causata da processi di deforestazione e dallo
sfruttamento incontrollato dei mari, con l’impatto dei nostri stili di consumo e
spreco che devastano l’ambiente e mettono a repentaglio la nostra salute,
tramite la tendenza alla privatizzazione e alla liberalizzazione dei beni
comuni dell’umanità, tra cui l’acqua e le sementi. Non esiste futuro per l’uomo
se non nel rispetto e nella tutela del sistema ambientale: per questo ogni
progetto capace di futuro deve essere necessariamente ecocompatibile.
L’attivismo e l’impegno contro il degrado ambientale, contro le cause dei
cambiamenti climatici, contro la riduzione della biodiversità e per il diritto
all’acqua e agli altri beni comuni essenziali comportano così il coinvolgimento
di tutti gli attori sociali e politici a costruire un nuovo contesto culturale
che comprenda la prospettiva della decrescita e altri stili di vita personali e
comunitari più sobri e responsabili. Le donne sono più colpite dalla povertà e
faticano a accedere alle opportunità, all’istruzione, subendo disparità di
genere. In diversi paesi di tutti i continenti, le donne sono le vittime più
frequenti della violenza e si continua a favorire la discriminazione tramite la
diffusione di ruoli e stereotipi che non promuovono il cambiamento nelle
relazioni tradizionali, tipiche del patriarcalismo, tra donne e uomini. Per
questo occorre favorire le relazioni di genere egualitarie che facilitino le
pari opportunità, l’opposizione ai sistemi di conoscenza androcentrici, il
superamento del sistema patriarcale, la corresponsabilità. La guerra e la
violenza irrompono tra persone e società con interventi armati umanitari,
guerre preventive contro il fondamentalismo e il terrorismo fondamentalista,
guerra chirurgica, interventi che si giustificano con il pretesto di esportare
democrazia, scontro di civiltà: sono fattori sempre diffusi dai poteri forti,
politici e economici e che penetrano nell’opinione pubblica mondiale. Le spese
militari per gli armamenti continuano a crescere, provocando miseria, guerre e
pericoli per l’umanità come il rischio dell’apocalisse nucleare. Interi popoli
vivono situazioni disumane di conflitto armato e di genocidi perpetrati in
funzione dell’interesse di pochi potenti. La speranza in un superamento della
guerra e della piena promozione dei diritti umani deriva da una sapiente
politica multilaterale, coraggiosa nella difesa dei più deboli e che accordi
veramente all’Onu la sua funzione, con la crescita e la maturazione di una
società civile, di una cittadinanza attiva e una democrazia partecipativa
vigili, capaci di denuncia e mobilitazione. Una nuova “coscienza planetaria”
che si rifaccia ai principi della cultura della Terrestrità come ampiamente
spiegano Edgar Morin e Stéphane Hessel.
Pace, memoria ed inter-cultura: sono questi gli snodi critici su cui è
possibile ricostituire le relazioni sociali sotto l’egida della giustizia e
della libertà?
L’educazione interculturale è condizione strutturale della società che
presenta molteplici culture, perché il compito educativo, in questo tipo di
tessuto sociale, assume il carattere specifico di mediazione tra le diverse
realtà, animatore di un continuo attivo confronto tra modelli differenti.
Il confronto e l’interazione tra molteplici istanze culturali avvalora il
significato della democrazia, perché la diversità valoriale e identitaria
risulta una risorsa positiva per i complessi processi di crescita delle persone
e del sistema comunitario e sociale multiforme. La convivenza costruttiva
all’interno dei singoli Stati democratici deve essere promossa nella
prospettiva della ricerca della pace a livello mondiale, come processo che
congloba lo sviluppo economico, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente,
la democrazia, il rispetto della diversità e della dignità di ogni uomo e dei
diritti umani. La prospettiva interculturale permette di educare alle tematiche
della pace che comportano il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dello
sviluppo, perché viviamo in una società multiculturale composta di mosaici
etnici in cui la diversità non è eccezione, ma norma. La valorizzazione delle
differenze sviluppa la capacità di favorire la comprensione dell’altro e
l’eliminazione dei pregiudizi, con la consapevolezza che la compresenza di
diverse culture testimonia l’apertura al plurale e permette di promuovere
l’armonia interetnica e gli scambi interculturali, nello sviluppo di una
migliore comprensione tra differenze, grazie all’evidenza di valori,
attitudini, pratiche e credenze. L’interculturalità riconosce l’interdipendenza
tra persone in un processo comune verso una società multietnica, dove non
esista la divisione in razze, ma la concezione di un’unica specie umana,
sperando in un avvenire di progresso per l’umanità, dove non esista una civiltà
inferiore e superiore, ma diverse società creative.
L’interculturalità permette di tessere ponti tra le varie identità, dove
l’incontro e il riconoscimento dell’altro conducano alla creazione di una
collettività identitaria del nostro vissuto quotidiano, ricevendo gli apporti
culturali dell’altro, in modalità positive, offrendo contemporaneamente le
nostre ricchezze, nella solidarietà, nella tolleranza e nel confronto che
valorizzi le alterità. L’apporto interculturale si esprime con il rispetto nei
confronti dell’altro, non necessariamente lo straniero, ma anche il portatore
di handicap, il compagno di classe rumoroso che disturba, l’alunno che non
capisce le lezioni, colui che non condivide o contrasta le idee altrui.
L’insegnante si incammina così verso la realizzazione di una pedagogia
dell’interazione e non solo dell’integrazione, poiché la valorizzazione delle
culture, delle identità, delle differenze altre equivale ad una pratica
educativa che conduce oltre l’espressione di una solidarietà verso il più
debole, in quanto, suscitando interazioni e il riconoscimento dei diritti del
diverso, il formatore educa alla convivenza e alla democrazia culturale.
La pedagogia si occupa di organizzare le condizioni più favorevoli
all’integrazione e all’interazione fra mondi di diversa origine e tradizione
etnica, preoccupandosi di facilitare la conoscenza reciproca, la disponibilità
all’incontro e allo scambio, ma anche il cambiamento vicendevole di chi ospita
e di chi è ospitato. Una mente formata in senso plurietnico è più complessa e
ricca di capacità connettive, propensa alla teorizzazione e a comprendere le
ragioni degli altri, in una vocazione cosmopolita e laica, attenta, più che
alla difesa incondizionata del particolare e dell’interesse locale,
all’interazione sistemica tra le parti, tra le persone e i soggetti
interessati, in un ambiente di confronto, scambio e di cambiamento delle varie
identità interagenti. Compito della pedagogia interculturale è porre le
condizioni per far convivere le diverse culture senza ignorarsi, perché la non
conoscenza del pensiero dell’altro da sempre innalza muri, barriere, limiti e
confini, aggravando stereotipi e pregiudizi e alimentando conflitti aperti e
sotterranei. La didattica dell’educazione all’interazione delle culture e allo
sviluppo sostenibile conduce l’interessato a coltivare valori che condizionano
realmente l’espletamento concreto del concetto di pace e, di conseguenza, dei
diritti umani, delle pari opportunità, della tutela dell’ambiente, della
solidarietà internazionale, dell’importanza del ricordo e della memoria
storica, in un’ottica pluralista dei contenuti e dei concetti culturali e
valoriali. La didattica dell’educazione allo sviluppo sostenibile e
all’interazione deve fornire agli allievi una cultura del vivere e costruire
insieme un altro mondo, evidenziando e formulando i problemi dell’attualità,
ponendosi in situazioni problematiche, incentivando la ricerca, lo studio, il
sorgere di questioni aperte tra generazioni.
L’obiettivo di tale procedimento deve sfociare in una sensibilizzazione dei
giovani ai concetti di solidarietà, tolleranza, diversità e uguaglianza
culturale, nell’importanza di predisporre le menti a una costruzione del sapere
critica e aperta al confronto, al cambiamento vicendevole e reciproco, al
rispetto e alla valorizzazione delle differenze.
Ogni disciplina scolastica si deve fondare sull’insegnamento delle
diversità concepite come propulsione al rispetto dell’ambiente del nostro
pianeta, alla tutela ecologica, alla rievocazione della memoria storica dei
diritti umani e delle pari opportunità, in una rivisitazione intergenerazionale
dell’importanza di questi concetti valoriali, dove la storia si ponga come
processo conoscitivo dialettico tra il passato e il futuro e tra le vecchie e
giovani generazioni. La costruzione dei programmi di ogni disciplina scolastica
deve permettere alla scuola di rinnovarsi, integrando continuamente le grandi
risoluzioni tratte dalle conferenze internazionali organizzate dalle Nazioni
Unite e rendere ogni disciplina scolastica il luogo ideale dove coltivare la
solidarietà tra generazioni. L’educazione interculturale, tramite l’intera
comunità educativa, deve orientare allo sviluppo sostenibile per creare negli
allievi una coscienza di pace e di solidarietà internazionale, per la
costruzione di un avvenire migliore, di un mondo globale di civiltà aperte e
interagenti, di differenze diasporiche e diversità pensanti, in prospettive
teoriche globali, cosmopolite ed internazionali. Intercultura, ambiente e
sviluppo sono profondamente connessi, perché l’educazione tra le culture pone
in evidenza l’intreccio dei grandi problemi del mondo, facendo comprendere i
legami tra il vicino e il lontano, il qui ed ora, il presente e il passato. Il
futuro dell’educazione è la cooperazione tra persone di culture diverse,
nell’integrazione e nel rapporto tra identità e alterità, dove la società
interculturale è la risultante di tensioni dialettiche che scuotono le certezze
abitudinarie nel prendere consapevolezza della crescente dipendenza tra i
popoli nella solidarietà, sancita dai valori di libertà e uguaglianza, per cui
l’educazione non deve essere compensazione del diverso, ma evoluzione
collettiva nelle diversità.
Chi è il costruttore di pace?
Il Costruttore di Pace è colui che agisce per la solidarietà e per la
cultura e il sentimento di Terrestrità, che comprende il concetto di
“coscienza planetaria”. Ognuno di noi è implicitamente Costruttore di pace.
Ognuno di noi può e deve costruire la pace.
Il Dialogo per la Pace mobilita ad una responsabilità all’interno degli
ambienti A.N.P.I., Scuola ed Associazionismo sociale e culturale affinché venga
attualizzato e concretizzato l’ammonimento del Partigiano, Deportato e Padre
Costituente dell’ONU Stéphane Hessel: “La nonviolenza è il cammino che dobbiamo
imparare a percorrere”. Quali sono le criticità che ravvede per
l’attuazione di siffatto monito?
Il Dialogo per la Pace richiama a un impegno all’interno degli ambienti
A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), nella Scuola e
nell’Associazionismo sociale e culturale, per attualizzare e realizzare il
monito del Partigiano, Deportato e Padre Costituente dell’ONU Stéphane Hessel:
“La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere”. Il nostro
contributo si focalizza su una innovativa “Pedagogia della Resistenza” (“Creare
è resistere, resistere è creare”, sempre Stéphane Hessel) che porti a
riconoscere l’Essere Umano quale appartenente a un’unica razza e famiglia:
quella umana. Per questo motivo il libro rievoca il motto di Vittorio Arrigoni
“Restiamo Umani”, nel continuare a credere convintamente in un mondo senza
bandiere, barriere, limiti, confini. La “coscienza planetaria” realizza
un’appartenenza culturale e cosmopolita della donna e dell’uomo contemporanei,
sempre uguali nei diritti e diversi nei propri caratteri, indipendentemente da
ogni longitudine e latitudine, “contro ogni razzismo”. Stéphane Hessel
(scomparso nel 2013) è stato anche un promotore di ICAN – Campagna per
l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e annuncia un alto
monito di speranza con il motto “Esigete un disarmo nucleare totale”. Questo
suo alto monito per la salvezza dell’Umanità si è concretizzato con il TPAN, il
trattato Onu del luglio 2017, trattato di proibizione delle armi nucleari
varato a New York a palazzo di vetro con 122 nazioni e la società civile
organizzata in ICAN – Campagna per l’abolizione degli ordigni di distruzione di
massa nucleari, che è valsa, a tutta la nostra vasta rete di attivisti a
livello mondiale, per il disarmo nucleare universale, il Premio Nobel per
la Pace nel 2017. E la nonviolenza è il tramite di questo percorso che
porti la persona a concepirsi figlia e figlio di una unica Madre Terra da
tutelare e salvaguardare, in una mondiale concezione di Terrestrità, ossia di
appartenenza alla complessità dell’esistente.
Laura Tussi: Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di
pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree
specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito
delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna “Siamo
tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN”: Rete Internazionale ICAN – Premio
Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale. Collabora con
diverse riviste telematiche tra cui Faro di Roma, Transform, Libera Cittadinanza,
Pressenza, Peacelink, Il dialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio
per l’impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. –
Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di
Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009),
Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze (Aracne
2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana – con
Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al
tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà. Con Prefazione del Cardinale
Carlo Maria Martini (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della
Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non
dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele
Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa, Antifascismo e
Nonviolenza (Mimesis 2017), con Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti. Collabora
con diverse riviste di settore, tra cui: “Scuola e didattica” – Editrice La
Scuola, “Mosaico di Pace”, “GAIA” – Ecoistituto del Veneto Alex Langer,
“Rivista Anarchica”. Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di
Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto
Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it.
Commenti
Posta un commento