Il pacifismo non sarà la nostra ancora di salvezza
secondo articolo su guerra e pace, autore G.L, militante di base, attivo in vari comitati
La pace non ci salverà ma solo la lotta dei popoli
Aprendo i giornali davanti a una tazza di caffè, come faccio ormai da 40 anni prima di entrare a scuola (sono un insegnante ormai prossimo alla pensione), leggo articoli sulla giornata studentesca No Meloni Day che vanno dalla condanna da parte di alcuni giornalisti e politici che invocano gli anni di piombo per descrivere il radicalismo giovanile. Le pagine dei quotidiani sono farcite da minuziose e parziali descrizioni dei fatti di cronaca per condannare le violenze studentesche contro la polizia.
Ieri c'è stata nella mia città una manifestazione partecipata e pacifica, da quanto riportano, con video e foto, solo in uno o due posti ci sono state manganellate ma a leggere la stampa odierna sembra di essere tornati alle giornate del 1977.
Per conoscenza diretta dei giovani posso dire che gli attuali liceali e universitari sono assai diversi da quelli degli anni settanta, il contesto culturale, sociale e politico è profondamente cambiato ma anche i rapporti tra generazioni diverse. Non sta a noi giudicare, si lavora ogni giorno con il materiale umano a nostra disposizione, spetta ai docenti mettere in condizione questi ragazzi di esprimersi al meglio.
Nei giorni scorsi in classe mi è stata posta una domanda bruciante da studentesse non politicizzate ma intellettualmente curiose, partecipi alle manifestazioni degli ultimi giorni: ma lei è pacifista?
Sono stato preso in contropiede, per usare il gergo calcistico degli anni giovanili, non volevo rispondere in modo approssimativo o fare la classica lezioncina, ho quindi cercato una via di dialogo partendo dal fatto che ogni guerra rappresenta una fonte di spesa ma anche di investimento, indebitarsi per fare guerra risultava un tempo uno sforzo economico al quale gli stati spesso non sapevano fare fronte. Ma allo stesso tempo oggi investire in armi, tecnologie duali a uso di guerra, indirizzare la ricerca tecnologica a uso e consumo delle imprese belliche rappresenta per molti la via di uscita dalla crisi.
E' quindi sufficiente dirsi pacifisti e pensare a una sorta di irenismo universale per porre fine alla guerra nel mondo? E' sufficiente educare alla pace e alle differenze quando un anno di insegnamento è ridicolizzato da qualche ora di trasmissione tv e messaggi social?
37 anni anni fa, erano i primi anni di insegnamento, mi trovano nella provincia industriale di...., in una scuola tecnica e molti studenti venivano a scuola per avere quel diploma che avrebbe loro aperto le porte di una fabbrica o di qualche azienda.
Ai ricevimenti arrivavano genitori sprezzanti del nostro ruolo educativo, poco interessati alla qualità dei processi di apprendimento ma interessati solo al business. Queste famiglie trasmettevano ai figli un messaggio chiaro: vai a scuola, prenditi un diploma e inizia a guadagnare. Poi, nell'arco di un ventennio, le fabbriche sono entrate in crisi e molti studenti di allora, oggi hanno superato i 50 anni, si trovano logorati, ammalati, senza alcuna visione critica dei processi produttivi, hanno creduto di far soldi e si trovano avviluppati in una crisi economica e sociale alla quale rispondono con l'odio verso i migranti, l'esercito industriale di riserva che ruberebbe loro il lavoro.
Non si accorgono, con molti di loro sono ancora in contatto via social, che quei migranti oggi svolgono mansioni che loro hanno sempre ritenuto poco gratificanti ed evitato sognando una classe operaia autoctona in camicia bianca a dirigere altri operai a bassa qualifica e sottopagata.
Questo esempio è calzante se riportato ai nostri giorni, chi di noi si chiede se le condizioni di vita e di lavoro nei paesi dai quali arrivano i metalli rari subiscono gli stessi ricatti degli operai nelle miniere di carbone di un tempo?
Agli studenti ho ricordato che esistono ancora dei dominanti e dei dominati e nei paesi che dominano ci sono tuttavia degli sfruttati che pensano di potere dominare i loro simili nei paesi dominati, li guardano come esseri inferiori e con la stessa lente osservano oggi i fenomeni migratori in casa nostra.
E' quindi sufficiente dirsi pacifisti quando la nostra pace nasce dallo sfruttamento di altri popoli o negando loro il diritto alla autodeterminazione o a decidere le sorti della loro stessa economia?
Possiamo dirci pacifici e pacifisti senza guardare alle dinamiche proprie del sistema di produzione capitalista e alla servitù di tanti popoli che oggi rivendicano una visione multipolare dei rapporti internazionali e di produzione?
Agli studenti e alle studentesse ho solo cercato di trasmettere un messaggio: non accontentatevi delle versioni ufficiali, cercatevi in giro le fonti delle informazioni, chiedetevi a quale costo da decenni siamo stati in pace esportando la guerra nel terzo mondo o negando la autodeterminazione dei popoli.
E chiedetevi infine se il pacifismo occidentale non sia stato una sorta di autodifesa ipocrita e finalizzata a difendere il nostro benessere? Ponetevi queste domande prima di leggere quanto avviene in Palestina o in Africa, non accontentatevi delle risposte comode e rassicuranti, abbiate sempre il beneficio del dubbio
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