La bufala dell'Age Management Come arrestare il progressivo invecchiamento della Forza lavoro nella Pubblica amministrazione?
La bufala dell'Age Management
Come arrestare il progressivo invecchiamento della Forza lavoro nella Pubblica amministrazione?
Una delle "grandi" novità rivendicate dai sindacati cosiddetti rappresentativi è la introduzione, nel futuro Contratto nazionale delle Funzioni locali, del monitoraggio dell'age management.
Ma di cosa stiamo parlando?
Del progressivo invecchiamento della forza lavoro con la crescita del personale tra la fascia di età tra i 55 e i 64 anni e la diminuzione degli under 30.
A forza di imporre blocchi del turn over, politiche assunzionali con il contagocce, patti di stabilità che determinano la riduzione degli organici, la fine della dotazione organica sostituita dai piani di fabbisogno, ci siamo ritrovati in una situazione di grave, a dir poco, criticità.
Per ciascun pensionamento dovrebbe subentrare una nuova assunzione ma da molti anni non è così. A ciò bisogna aggiungere che gli enti locali perdono una media di 10 mila dipendenti all'anno dalla pandemia in poi e il Governo Meloni, nella legge di Bilancio, prevede il turn over al 75%
Nel frattempo sugli Enti locali hanno scaricato oneri ed incombenze, il ricorso allo straordinario è divenuto strutturale, le figure più titolate cercano la mobilità in altri comparti della PA dove gli stipendi sono maggiori.
Invece di affrontare i problemi alla radice si licenzia l'ennesima fuffa del controllo sapendo che la volontà del Governo è quella di prevedere la possibilità,. su base volontaria, di restare in servizio anche dopo i 67,5 anni di età.
Una ricerca dell’Eurostat nel 2021 evidenziava che oltre il 53% della forza lavoro aveva superato i 55 anni di età quando 20 anni prima la situazione era diametralmente opposta con i lavoratori sotto 35 anni pari al quadruplo degli over 55
La fotografia statistica dimostra il palese fallimento delle politiche del lavoro ma anche delle regole di austerità che hanno bloccato le assunzioni per 9 anni nella Pa destinando uffici e servizi ai processi di esternalizzazione
Si parla allora di equilibrare i modelli organizzativi e gestionali in base all'età avanzata ma perfino le politiche orarie sono soggette a criteri improntati a rigidità assoluta e il mero buon senso suggerirebbe invece di rivedere la norma previdenziale che innalza progressivamente l'età di uscita dal mondo del lavoro costringendoci a restare in servizio fino a 70 anni di età anche per non incorrere in un assegno da fame grazie a quel modello contributivo che ha falcidiato il potere di acquisto.
L'Age Management dovrebbe tradursi in una serie di iniziative aziendali per valorizzare l'apporto del personale più anziano ma in assenza di organici adeguati questo processo resta aleatorio come avviene del resto con i cosiddetti passaggi di consegne in assenza delle quali per altro vengono alimentate disparità di trattamento salariale con istituti contrattuali destinati sempre allo stesso personale.
E questo diventa un vero paradosso nella Pa se pensiamo al fatidico criterio della rotazione che dovrebbe valere non solo negli affidamenti e nelle gare di appalto ma anche nei processi organizzativi del personale. Per raggiungere allora la età media di 44 anni nella Pa, come prevede anche il Ministero, dovrebbero essere aggiunti oltre un milione e 300 mila nuovi dipendenti favorendo un passaggio dalle scuole superiori e dalle università alla PA per il quale mancano tutti i necessari presupposti.
Non resta allora che affidarsi agli spot pubblicitari invece di dare vita a nuovi concorsi, rivedere al ribasso l'età di uscita dal mondo del lavoro e accrescere gli stipendi nei comparti meno pagati.
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E il tutto con la complicità dei sindacati "rappresentativi"
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