Non accontentiamoci di uno sciopero: guardiamo oltre
Abbiamo letto di tutto e di più su questo sciopero, invettive contro i sindacati del weekend che sciopererebbero per avere un giorno in più di festa (peccato che quel giorno determina la decurtazione di decine di euro nella prossima busta paga), invettive da sinistra per denunciare il grande ritardo della Cgil dopo anni di arrendevoli politiche subalterne ai governi di turno. In televisione non manca poi chi accusa la Cgil di avere favorito la delocalizzazione di Stellantis, peccato che a sostenere l'accusa siano gli stessi che firmarono l'uscita dell'ex Fiat da Confindustria per costruire un contratto nazionale specifico per le aziende aderenti al marchio decisamente peggiore di quello metalmeccanico.
Sia lungi da noi difendere l'indifendibile, se sottoscrivi contratti nazionale con paga oraria inferiore a un ipotetico salario minimo diventi complice dell'austerità salariale e alla fine quando chiami alla mobilitazione nasce lo scetticismo o il diniego alla partecipazione.
Occorre recuperare credibilità nello strumento sindacale ma per farlo non potranno essere cedimenti di sorta, serve coerenza , trasparenza e linearità a partire dai fondi pensione e dalla sanità integrativa ai quali partecipano i sindacati rappresentativi e che sono parte del problema dello smantellamento del welfare e del depotenziamento della previdenza pubblica
Dopo anni di arrendevole subalternità ai Governi di turno si è persa memoria dello sciopero generale, se la memoria è labile, l'opportunismo dilaga alimentando il becero populismo del "sono tutti uguali".
Le adesioni al 29 Novembre sono state diffuse ed elevate ma non in tutti i settori, i dati migliori arrivano dalle aziende dove maggiore è il livello conflittuale.
La prima riflessione utile e necessaria, lo diciamo da sindacalisti di base, è data dall'esempio fornitoci dai 3000 lavoratori , in prevalenza della logistica, sotto processo tra Piacenza e la Lombardia, la punta di diamante delle mobilitazioni contro il ddl 1660 che nei luoghi di lavoro e nelle realtà sociale sono state fin troppo blande come se la criminalizzazione delle lotte e dei solidali non determinasse un arretramento oggettivo delle nostre stesse agibilità sindacali e sociali. E i ritardi nella mobilitazione contro una società involuta e autoritaria sono ravvisabili anche nel sindacalismo di base.
La forza lavoro italiana, eccezion fatta per alcuni settori, è non solo vittima ma anche complice della concertazione portatrice di logiche perdenti improntate alla passività, alla delega e alla fine talmente arrendevoli da dimostrarsi nocive per il sindacato stesso. La concertazione è la gabbia del sindacato e non un valore aggiunto, ostacola la maturazione della coscienza di classe senza la quale non ci saranno passi in avanti per le classi lavoratrici.
In attesa di conoscere tutti i dati relativi agli scioperi nella Pubblica amministrazione possiamo dire che molti degli oltre 3 milioni di lavoratori non hanno partecipato alla giornata, numerosi gli uffici e le scuole aperte, adesioni fin troppo basse per un comparto i cui rinnovi contrattuali si fermeranno a un terzo della inflazione, per il quale la riduzione degli organici negli enti locali va avanti imperterrita (10 mila dipendenti in meno all'anno) per non parlare poi della debacle della sanità pubblica..
La delegittimazione dello strumento per eccellenza a disposizione della forza lavoro, lo sciopero, è data dalla limitazione imposta da oltre 30 anni a questo esercizio democratico, prima della legge del 1990 i sindacati rappresentativi firmarono un codice di autoregolamentazione solo per fermare l'avanzata del sindacalismo di base ma così facendo hanno minato il loro stesso terreno di azione specie ora che il Governo Meloni vuole porre fine alla concertazione o la sta ripensando in altri termini e solo ad appannaggio di alcuni sindacati compiacenti.
L'imposizione dei servizi minimi essenziali è servita a minare la efficacia dello sciopero, poi gli interventi continui del Ministero e della commissione di garanzia sui trasporti sono finalizzati a ridurre durata e portata dello sciopero stesso rispondendo a logiche securitarie.
Ma a tal riguardo, una delle organizzazioni che ha indetto lo sciopero, la Uil dovrebbe fare grande autocritica, al pari della Cgil, ad esempio per avere preconizzato la trasformazione del sindacato da strumento dei lavoratori in organizzazione dei cittadini.
Dinanzi a uno sciopero andrebbe sempre fatta una scelta preliminare, non puoi tenere il piede su due staffe, l'efficacia di una serrata dipende dalle adesioni e dalla incisività della protesta, i blocchi dei cancelli alla logistica fermano la circolazione delle merci, uno sciopero con i servizi minimi essenziali o limitato a una manifestazione rituale invece no.
Se poi giudichi prioritaria la salvaguardia del cittadino hai perso già in partenza, la cittadinanza non accetta la soppressione di bus e treni o di uffici e ospedali e alla fine costruisci solo compromessi al ribasso che lanciano un messaggio inequivocabile: lo sciopero non serve.
La limitazione del diritto di sciopero, le regole a disciplinarlo per ridurne la efficacia , sono state costruite dai legislatori anche con il sostegno attivo di Cgil e Uil quando in paesi come in Francia ci sono state settimane di serrate per impedire l'innalzamento dell'età pensionabile , serrate oggi impensabili in Italia per la legislazione assai ristrettiva approvata da oltre 30 anni.
Ecco perchè tra la forza lavoro l'idea che lo sciopero non serva è sempre più diffusa, hanno gioco facile le demagogie securitarie e conservatrici impossessatesi negli anni degli stessi sindacati.
Durante i volantinaggi nei luoghi di lavoro, numerosi lavoratori avevano annunciato di non potersi permettere la decurtazione della giornata di sciopero e alla base della loro motivazione non c'erano solo ragioni economiche ma anche lo scetticismo dilagante sulla efficacia dello sciopero.
Aumentando il livello di istruzione dei dipendenti pubblici è calata la loro sensibilità sindacale e politica, sono diminuiti gli iscritti ai sindacati ma anche gli scioperi e le proteste, le forme di conflittualità nei luoghi di lavoro, i contratti nazionali siglati da 20 anni ad oggi sono emblematici quanto a perdita di acquisto e di contrattazione lasciando alle Rsu il compito divisivo di entrare solo nel merito della distruzione del salario accessorio premiando alcuni a discapito di altri.
Urge quindi fare i conti con questa realtà e non eluderla dietro a proclami vuoti e inconsistenti.
Alcuni scioperi di categoria, scuola e sanità, del tutto legittimi e comprensibili, sono stati convocati in date ravvicinate rispetto alla data dello sciopero generale, erano parte di rivendicazioni settoriali perdendo di vista gli interessi generali. E se un tempo gli scioperi di categoria erano la preparazione dello sciopero generale oggi la situazione è invece cambiata anche per le spinte corporative presenti nel sindacato.
Se non sei abituato a confliggere finisci con il pensare che uno sciopero sia già sufficiente, serve quindi fare i conti con le asfittiche logiche categoriali che alla fine prendono il sopravvento sull'interesse generale e si accontentano di qualche mancetta in sede di Bilancio o di contrattazione.
Ci ha colpito la mancata adesione in settori che saranno le prime vittime degli appalti pubblici al ribasso o la assenza dalle piazze di tanti che hanno invece scelto di scioperare, disabituati nel tempo a dedicare tempo ed energie al conflitto, alla partecipazione collettiva a momenti di lotta. Non siamo solo davanti all'egoismo e all'individualismo imperante ma piuttosto a una sorta di delegittimazione strisciante del conflitto di classe a inficiare la validità dello sciopero.
La partecipazione alle piazze di Cgil e Uil è stata importante e con numeri decisamente elevati, lo stesso vale anche per le piazze organizzate dal sindacalismo di base e dagli studenti in lotta contro il decreto Bernini, ma questa prima giornata di mobilitazione dovrebbe indurre fin da ora a comprendere quale strategia costruire per contrastare i piani governativi.
Non tutte le manovre di bilancio nazionali rispondono a logiche padronali per salvaguardare i redditi elevati, esistono al contempo indirizzi comunitari che spingeranno sempre più gli investimenti verso il settore militare e le tecnologie duali, nelle piazze di Cgil e Uil non c'era consapevolezza dell'economia di guerra e delle sue conseguenze sui salari e sul potere di acquisto, allo stesso tempo la rivendicazione di un salario minimo e di una patrimoniale, di aliquote fiscali progressive non è stata considerata come elemento di forza sul quale puntare per promuovere lo sciopero
La domanda senza risposta, riguarda cosa intendiamo fare dopo il 29 Novembre, come allargare la mobilitazione nei prossimi mesi, manca quindi un dibattito reale e costruttivo sui contenuti e sulle pratiche da adottare per generalizzare lo sciopero e il conflitto in ogni ambito della società.
E da questi punti bisogna ripartire per portare in piazza numeri maggiori e cingere di assedio il Governo Meloni e le sue politiche in materia di lavoro, fisco, guerra e welfare.
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