Scrivevamo giorni or sono dei precari della ricerca e del Pnrr, dei mancati interventi legislativi atti a stabilizzare figure professionali che permetterebbero, se assunte a tempo indeterminato, un salto di qualità di tutta la Pubblica amministrazione, dei centri di ricerca stessi.
E parlavamo degli aumenti., si fa per dire, salariali, il sei per cento quando il costo della vita è cresciuto tra il 17 e il 18 per cento. E ci soffermavamo sul confronto tra i salari dei pubblici italiani e quelli europei, degli investimenti in tecnologia e strumenti di lavoro a dir poco carenti.
A distanza di pochi giorni leggiamo articoli suggeriti dal governo che in sostanza decantano le lodi dell'operato governativo ad esempio per il turn over nella Pa con quasi 600 mila assunzioni negli ultimi 3\4 anni
Ma quante sono le uscite di personale nello stesso periodo? E l'età media del dipendente pubblico non continua ad essere tra le più alte della Unione europea?
E sempre in Italia per lustri gli organici della PA sono stati in continua erosione salvo poi scoprire che con certi numeri non sarebbe stato possibile affrontare la sfida del PNRR.
Da tempo non riusciamo ad avere una visione complessiva della PA, abituati a ragionamenti parziali rinchiusi nei compartimenti stagni dei vari comparti.
Negli enti locali e nella sanità la fuga dal lavoro pubblico è un dato eloquente, davanti alla opportunità di scegliere tra un tempo indeterminato in un Comune o nello Stato la scelta avviene sempre a favore di quest'ultimo vuoi per i minori carichi di lavoro vuoi per lo stipendio decisamente maggiore.
Nell'ultimo contratto dovevano perequare gli stipendi enti locali a quelli dei ministeriali ma una operazione del genere avrebbe necessitato risorse economiche non disponibili dal Governo che preferisce spendere i soldi per detassare le imprese o favorire il Riarmo. Questione di scelte e di priorità e, a scanso di equivoci, i lavoratori sono solo oggetto di demagogia senza suscitano reale interesse, in caso contrario le scelte adottate sarebbero state ben diverse..
Quando si va a definire il peso del welfare locale nel supporto alle famiglie dovremmo ricordare gli impegni disattesi in materia di asili nido, dovevano raddoppiare il numero delle strutture pubbliche, soprattutto nel Sud, assumere migliaia di educatrici, inquadrare le stesse in fascia superiore ma invece di interventi sociali ed occupazionali hanno indirizzato i fondi PNRR alla guerra. E quando si parla di interventi per la forza lavoro, per le famiglie il parametro con sui si misura il problema è sempre l'interesse delle imprese, eppure se avessimo 500 nidi in più dei quali oltre la metà del meridione, se questa operazione fosse avvenuta anche in deroga ai tetti di spesa per il personale, non avremmo avuto effetti benefici sul lavoro?
Provatelo a spiegare alla demagogia governativa
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