Distrutto il patrimonio vegetale della Cisgiordania. Colpire i semi della vita: l’attacco a La Via Campesina e la volontà di cancellare la Palestina

 Distrutto il patrimonio vegetale della Cisgiordania. 

Colpire i semi della vita: l’attacco a La Via Campesina e la volontà di cancellare la Palestina 

di Laura Tussi



Il primo dicembre, in Cisgiordania, l’occupazione israeliana ha superato un nuovo confine dell’intollerabile. Le forze armate hanno fatto irruzione negli uffici dell’organizzazione palestinese membro di La Via Campesina, a Ramallah e a Hebron, dando vita a un’operazione che non è solo militare, ma profondamente simbolica: un attacco al cuore della resistenza civile, agricola e culturale del popolo palestinese.

Secondo La Via Campesina, «le unità militari hanno sigillato l’intera area, bloccando ogni accesso e impedendo qualsiasi spostamento verso gli edifici». I membri presenti sono stati trattenuti, sottoposti a «trattamenti duri e umilianti», mentre soldati armati «effettuavano perquisizioni violente in tutti i locali». Molti sono stati arrestati e risultano ancora detenuti.

La distruzione è stata capillare: computer, hard disk, archivi amministrativi, documenti contabili, attrezzature. Distrutti gli arredi, sfondate porte, resi inutilizzabili gli strumenti di lavoro. È l’annientamento metodico di un’organizzazione che sostiene agricoltori, cooperative, comunità rurali. Un’azione mirata a paralizzare la vita civile e produttiva dei territori palestinesi.

Ma il gesto più grave riguarda la banca dei semi palestinese di Hebron. I militari hanno distrutto scorte che custodivano un patrimonio vegetale unico, frutto di generazioni di agricoltori che hanno protetto la biodiversità della Palestina. Non è solo la devastazione di un luogo: è l’attacco ai semi della vita, ai simboli dell’autodeterminazione, alla possibilità stessa di un futuro agricolo.

La Via Campesina denuncia un disegno chiaro: questi raid avvengono in un contesto di «crescente ondata repressiva» in Cisgiordania, dove «gli agricoltori, che custodiscono la terra e il territorio, negli ultimi mesi sono stati sistematicamente presi di mira da coloni e forze di occupazione». Gli attacchi alle organizzazioni contadine «mirano alla distruzione della sovranità alimentare, contribuendo all’impresa genocida contro il popolo palestinese».

Un attacco alla terra come strumento di annientamento

Colpire la terra, gli strumenti del lavoro e i custodi dei semi significa colpire la capacità di resistere. La storia della colonizzazione insegna che la distruzione delle basi agricole e culturali di un popolo è una forma di genocidio lento e strutturale. Non si tratta solo di violenza fisica, ma di una guerra contro l’identità e la memoria.

Distruggere gli archivi significa cancellare il passato.
Distruggere i semi significa negare il futuro.
Arrestare agricoltori e attivisti significa spezzare il presente.

È un disegno coerente con l’intero impianto dell’occupazione, che alterna bombardamenti a Gaza, espulsioni a Gerusalemme, confisca delle terre in Cisgiordania e assalti da parte di coloni ormai armati e protetti.

Un appello alla comunità internazionale che non può più tacere

La Via Campesina, nel suo comunicato, invita le organizzazioni di tutto il mondo a mobilitarsi e chiede ai governi di «pretendere il rilascio immediato e incondizionato dei membri arrestati», oltre che «un’indagine indipendente sul raid». Chiede inoltre che venga espresso «attraverso i canali diplomatici, che la repressione di organizzazioni civili che operano legalmente è inaccettabile».

Parole chiare, nette, che dovrebbero risuonare soprattutto in un’Europa sempre più incapace di guardare in faccia la realtà, e troppo spesso complice per inerzia o convenienza. L’attacco alle organizzazioni agricole palestinesi non è un episodio isolato, ma parte di una logica coloniale volta a spezzare ogni forma di autonomia, economica e culturale, del popolo palestinese.

Colpire una parte per colpire il popolo intero

Colpire un’organizzazione contadina significa colpire un intero popolo. E La Via Campesina lo ribadisce: «Colpire una delle nostre organizzazioni non farà che rafforzare il nostro impegno per l’autodeterminazione e la liberazione del popolo palestinese».

In queste parole c’è la consapevolezza che la lotta dei contadini palestinesi è parte integrante della lotta globale per la dignità della terra e dei popoli. Una lotta che oggi diventa più urgente che mai, di fronte all’avanzare di un progetto genocidario che vuole cancellare la Palestina non solo dalle mappe, ma dai campi, dalle memorie, dai semi.

Eppure, nella distruzione della banca dei semi, nella rabbia di porte sfondate, negli archivi spariti, resta qualcosa che non può essere annientato: la tenacia contadina.
La forza antica, resistente, ostinata, di chi lavora la terra sapendo che nessuna occupazione è eterna.
Che i semi ricrescono.
Che la giustizia, un giorno, tornerà a germogliare.

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