Elezioni presidenziali in Cile: al primo turno in testa Jara del Partito Comunista ma la destra si compatta intorno a Kast

 

Elezioni presidenziali in Cile: al primo turno in testa Jara del Partito Comunista ma la destra si compatta intorno a Kast



Come quattro anni fa, il primo turno delle elezioni presidenziali in Cile ha riportato in primo piano la polarizzazione tra sinistra e destra, ma in un contesto socio-politico profondamente mutato dopo 4 anni di presidenza di Gabriel Boric. Il giovane presidente ormai a fine mandato, pur non avendo fatto peggio rispetto ai suoi predecessori della Concertacion, è venuto sicuramente meno alle speranze popolari e generazionali emerse dall’Estallido social del 2019, le cui lotte lo avevano portato a La Moneda. Inoltre è significativo rilevare come l’affluenza al primo turno abbia superato l’85% grazie al ritorno del voto obbligatorio.

Dopo il primo turno del 16 novembre è in testa Jeannette Jara, candidata della sinistra e del centro-sinistra uniti, con il 26,85%. Ex ministra del Lavoro e militante storica del Partito Comunista cileno, Jara è riuscita a rappresentare una candidatura di sintesi del fronte progressista: radicata socialmente, vicina ai mondi del lavoro e dei movimenti, ma capace di moderare il linguaggio per parlare a un elettorato più ampio. Tuttavia il risultato è inferiore al “pavimento storico” della sinistra cilena posto intorno al 34%, segno che una parte dell’elettorato progressista resta disillusa dopo i risultati deludenti dell’era Boric. Il rischio concreto è che Jara abbia già raccolto quasi il massimo possibile al primo turno e che le sia difficile espandersi senza conquiste esterne.

Sul fronte opposto emerge José Antonio Kast (23,92%), alla sua terza corsa presidenziale. Leader del Partito Repubblicano, rappresenta la destra più ideologica: ultraconservatore sui diritti civili, fortemente securitario e con una mai del tutto nascosta simpatia verso il periodo di Pinochet.

Alla sua destra c’è Johannes Kaiser (13,94%), ancora più estremo: liberista radicale in economia, vicino al modello di Javier Milei, legato a ambienti evangelici e apertamente apologeta del golpe del 1973. Una candidatura senza ambiguità ideologiche, ma che ha intercettato una fetta rilevante dell’elettorato più duro e identitario.

Più “istituzionale” appare Evelyn Matthei (12,26%), esponente della destra tradizionale di Chile Vamos. Manageriale, pragmatica, figlia di un generale del regime militare, ha cercato di presentarsi come opzione della destra moderata ma è risultata schiacciata tra la radicalità di Kast e Kaiser e il populismo di Parisi. Il suo risultato deludente mostra come lo spazio della destra liberista classica sia fortemente eroso.

La vera sorpresa è stata Franco Parisi (19,71%), economista, populista, outsider permanente, residente a Miami e distante fisicamente – oltre che politicamente – dal territorio cileno. Il suo elettorato viene soprattutto dal nord del Paese, aree segnate dalla crisi sociale e dall’immigrazione irregolare. Parisi non è organicamente parte del fronte conservatore. Il suo voto è composito: più anti-sistema che ideologico, fluido e potenzialmente contendibile. Qui si apre lo scenario decisivo del ballottaggio.

Carta 1: gli esiti del primo turno delle elezioni presidenziali in Cile del 16 novembre 2025

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Se la destra dovesse compattarsi completamente, come sembra con l’endorsement dei voti di Matthei e soprattutto di Kaiser verso Kast, la vittoria della destra diventerebbe quasi automatica: la somma dei loro consensi supererebbe comodamente il bacino della sinistra, mettendo Jara in una posizione di estrema difficoltà. Ma lo scenario non è così scontato: se una parte significativa dei voti di Parisi dovesse orientarsi verso Jara la contesa diventerebbe una vera battaglia aperta, combattuta voto su voto. È lì che si giocherà la partita, nella capacità della sinistra di parlare agli scontenti, agli esclusi e a chi non si riconosce né nella nostalgia autoritaria, né nel neoliberismo più spietato.

Il clima resta comunque molto lontano dall’euforia del 2021. L’onda delle proteste del 2019 e le speranze legate all’elezione di Boric si sono infrante contro l’insuccesso del processo costituente, affossato dal referendum del 4 settembre 2022, e un governo incapace di realizzare le aspettative di cambiamento.

La destra ha saputo capitalizzare questa disillusione facendo leva su sicurezza e immigrazione, temi diventati dominanti nel dibattito pubblico. La sinistra, invece, paga una gestione incerta e una difficoltà evidente nel riconquistare fiducia.

Il ballottaggio del 14 dicembre sarà dunque un vero bivio storico. Da un lato, una destra che punta sull’ordine, sulla nostalgia del regime di Pinochet e sul liberismo sfrenato; dall’altro, una sinistra che, con Jara, tenta di riaprire la prospettiva di giustizia sociale, politiche pubbliche e diritti.

Se l’intero fronte conservatore si ricompatterà intorno Kast, per Jara la battaglia sarà durissima. Ma se Parisi e una parte del suo elettorato dovessero scegliere di non consegnare il Paese all’estrema destra e Jara saprà recuperare voti dall’astensione  

 la partita resterà aperta e potrebbe trasformarsi in una delle finali elettorali più combattute della storia recente cilena.

Giovanni Rota

3 dicembre 2025

Attività del corso di Geopolitica e analisi dei conflitti internazionali

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